La rugiada si raccoglieva sull'erba, il terriccio si attaccava alle suole in maniera ostinata ed il cielo era coperto da nubi scure; così nere da sembrare l'inchiostro denso di una seppia viva.
Era ancora buio pesto quando i piedi di Giulia sfiorarono il terreno umido, sconquassato e morto del giardino dell'ospedale; era piccolo e dava sull'entrata illuminata. Le piante si arrampicavano sulle pareti chiare e bianche, raggiungendo le finestre chiuse e un po' appannate dal vento gelido d'autunno.
La donna dalla pelle lentigginosa affondò una suola consumata dentro una pozza d'acqua venuta a crearsi per via della pioggia, spezzando la tranquillità del suo riflesso. Increspò la superficie placida un paio di volte ancora, ma non ricevette cura per quell'angoscia che le divorava la gola ormai da ore.
La pozzanghera era poco più profonda di un dito e la sua espressione si contorse in un miscuglio di rabbia e tristezza.
Per un secondo le sembrò che la Terra avesse smesso di ruotare, e per far cessare il suo mal di testa si dovette premere una mano sulla fronte lucida; con le forze che le sembravano venire sempre meno.
I suoi capelli erano di un castano caldo, molto più corti di quelli di Valentina ma pur sempre belli e curati; ad Olimpia sembravano illuminati dalla flebile luce mattutina nata dalle crepe delle nuvole cariche di pioggia e umori.
In mezzo a tutto quel candido lerciume vi era lei.
Ella le esaminò gli occhi di miele e il disegno morbido delle guance roventi, delineò le sue labbra e ogni particolare di quel viso giovanile. Era una novità per la bionda, e non esisteva cosa più amata delle novità secondo il suo parere.
Se ne stava ferma, imbottigliata in quel via vai di barelle e macchine, patendo il freddo pungente del mattino, aveva preferito aspettare fuori dalla struttura e guardarsi le scarpe di tela zuppe.
Se solo Holly avesse capito che non era l'odore pungente dei disinfettanti, ne l'obbrobriosa vista del sangue sugli straccia bianchi ad impedire l'entrata dell'alpha in sala d'aspetto; ma la paura di rivederle sul volto la delusione in uno sguardo.
Se l'avesse compreso, magari con un po' di fortuna, l'omega l'avrebbe raggiunta per afferrarle la mano tremante; che cercava di nascondere dentro la tasca del giubbotto in pelle.
Tra il cubismo cittadino, una sirena in lontananza suonava a per di fiato avvicinandosi sempre più; sfrecciando a gran velocità qualche metro più in là della mora. Fu in quell'istante che Giulia alzò lo sguardo verso la vetrata, forse per la prima volta da quando erano arrivate lì, e si assicurò che la ragazzina baciata la notte prima non stesse piangendo. Se si concentrava abbastanza, riusciva ancora a percepire il tocco schiumoso e pieno di passione che le aveva donato Olimpia; ancora una volta.
Dietro il vetro sottile, illuminato dalla luce decrepita di un lampione, aveva veduto la bionda sfiorarsi il collo e corrucciare la fronte; mentre aveva dato inizio ad una sana conversazione con un chirurgo. Quest'ultimo si era sfilato la mascherina dalle orecchia e con una disinvoltura mai vista aveva poggiato una mano grande sulla spalla di Holly; anche se l'espressione sul suo volto non trasmetteva nessuna emozione conosciuta.
Giulia squadrò il medico più volte, ma il primo particolare che le saltò subito all'occhio fu il colore vivido delle labbra di egli.
La tinta naturale sembrava invadergli ogni centimetro della bocca sottile, di un rosso scarlatto che tutte le altre persone dovevano invece dipingersi.
Aspettò. Aveva conosciuto tempo prima, quando ancora era una bambina di famiglia benestante, una fanciulla con lo stesso colore di labbra.
Non le stava un granché simpatica, il tempo che non veniva impiegato nelle lezioni o nei giochi della ricreazione passava nelle mani della bimba dalla bocca scarlatta e dalle lunghe trecce. Si divertiva a tirare i capelli a Giulia.
Un giorno a tavola aveva provato perfino a parlarne con i suoi genitori, che allora non erano così portati per dare consigli a loro figlia.
<<A scuola c'è una bambina che continua a tirarmi i capelli.>>
Poggiò la forchetta sul piatto di ceramica bianca, non ebbe il coraggio di alzare lo sguardo ne su sua madre, ne su suo padre seduto a capotavola. L'uomo si era accigliato e si era scambiato con gli occhi una muta richiesta d'aiuto dalla moglie.
Lei si sporse in avanti, sfiorando la mano della bimba che impugnava la posata faticosamente, tra indice e medio, mise le braccia in grembo e le sorrise maternamente.
<<A volte succede.>> Tirò su col naso, quel giorno era leggermente raffreddata e lo si poteva notare dal volto arrossato; i suoi colleghi in ufficio probabilmente non si badavano mai di chiudere la finestra per bene.
<<Hai provato a chiede perché lo fa?>> tentò ancora, notando come le sue parole non avessero turbato minimamente la figlia, ancora con il volto rivolto alla tovaglia ricamata. Giulia scosse la testa, le parole della mamma le sembravano così blasfemie, come se non avesse provato a discutere prima sulla questione. Ma tanto, come da tempo si usava fare nella sua famiglia, tutto veniva presto dimenticato. Un vizio che la stirpe Satō si porta dietro ancora oggi.
Tuttavia suo padre fu più conciso: "E allora tiraglieli pure te."
Mai si sarebbe permesso di dire certe cose in presenza della bambina, o meglio, della sua famiglia; benché sapeva quanto ricca e potente fosse.
Giulia davanti a lui lo guardava, non si era mossa nemmeno per scacciare una mosca o sistemare il tovagliolo sulle cosce, come le aveva insegnato la madre; era rimasta influenzata dalle parole di suo padre tanto quanto si viene influenzati dai testi di Shakespeare. Di certo ella era ancora troppo piccola per intuire il tono ironico del signor Satō, e il giorno dopo mise in pratica ciò che le aveva consigliato il vecchio.
In quel momento si sentiva tanto come in quella cena di famiglia.
La mora si risvegliò, le sue mani erano ancora fredde e affondate inutilmente nelle tasche in cerca di calore e le sue scarpe di tela erano zuppe d'acqua piovana; aveva lo sguardo ancora fisso sul vetro sporco dell'ospedale.
Vide la donna dai capelli ramati e dal sorriso di miele uscire a passo veloce dalla struttura, si chiuse le due porte alle spalle salutando con un cenno del capo la segretaria alla scrivania; teneva un orecchio poggiato al telefono e di tanto in tanto alzava la cornetta in ascolto.
Il suo viso era corrucciato in una smorfia arrabbiata, non l'aveva mai vista così furiosa e fuori di se. Non l'aveva mai vista arrabbiata per nulla. Anche così il suo volto era bello, e Giulia non se ne capacitò.
La bionda aprì le braccia come un pastore, attese qualche secondo prima di spiccicare le labbra in una frase concreta. Prima si era solamente limitata a qualche sussurro.
<<I parenti si rifiutano di venire a prendere il corpo.>>
Aveva detto piegando la testa e mordendosi l'interno guancia con decisione; lo stringeva tra i denti talmente forte da farlo sanguinare. Non udì più niente della sua voce, lasciò che la brezza e il canto dei passeri sui rami spezzasse quell'angoscia che le avvolgeva. E respirava così bene Giulia, il vento freddo trasportava l'aroma dolce della donna fino a lei; impedendole di pensare a nient'altro che al suo umore.
Il viso di Holly era stagliato verso l'albeggiare del cielo.
<<Perciò?>> Giulia l'aveva chiesto con un certo tono d'incertezza, timorosamente si era avvicinata alla biondina; il suo cuore si struggeva al pensiero di vederla in lacrime per colpa sua.
La scrutava spezzarsi piano, come i cocci di una collana rotta.
Perle brillanti luccicavano sui tavoli e sui pavimenti luridi quelle stanze eteree chiamate emozioni.
Giulia ne era certa, poteva udire senza sforzi l'umido squarcio della sua pelle sul suo corpo, le costole sgretolarsi poco a poco sotto ogni respiro e battito.
<<Non avrà nessuna sepoltura,>> si strofinò gli occhi arrossati, e si portò una ciocca chiara dietro l'orecchio, la mora avrebbe giusto voluto soffermarsi su quel punto; e poi sarebbe perfino potuta evaporare sotto il suo sguardo vigile.
<<È morto solo Giulia!>> le urlò.
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adrenaline
Romance"Holly era fermamente convinta che nessun posto potesse essere tanto accogliente quanto il lago di Nikko; eppure quel giorno si dovette ricredere."