eye candy 12.

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Al mio primo amore, chissàcome sta lì, dove non riesco a toccarlo nemmeno con un dito

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Al mio primo amore, chissà
come sta lì, dove non riesco a
toccarlo nemmeno con un dito.

Una cascata di capelli neri le cadevano sulle spalle e le sue guance si dipingevano di rosso quando alzava lo sguardo e incrociava quello dell'amata. La sua pelle abbronzata era la dimostrazione che il sole la baciava ogni mattina, senza vergogna e senza pudore, le sue labbra si piegavano in un sorriso quando cercava di cantare le parole della sua canzone preferita. Quando giocava con il cuore di vetro di Holly. Da dove veniva lei la primavera finiva nello stesso istante in cui iniziava, il sole sapeva come non rinunciare a far brillare sotto al suo audace tocco tutto ciò che si poneva sul suo cammino. (E li gli angeli non sono fatti di soffici nuvole bianche, ma di dolce e vigoroso zucchero filato.) L'acqua era fatta di cristalli sciolti e il cielo era azzurro, le file di perle allineate adornavano i lunghi e sottili colli delle signore dalla pelle scura che chiamava nonne. Lei veniva da un posto più a sud di Nikko, e ancora non sapeva abituarsi al rumore della pioggia ticchettante al di là del vetro appannato della finestra, nè al giallo ambrato degli occhi di Holly e al silenzio della sua anima. Ma viveva nella speranza di riuscirci, un giorno.

Giulia si mordeva le mani, quella sera era vestita di intelligenza, spiccata creatività dettata dal poco alcool che aveva trangugiato in fretta e furia, e di uno strano senso di inquietudine. Aveva visto la donna per cui aveva raggiunto il locale spostarsi verso il bagno, traballando, in un groviglio di gambe e braccia scomposte. La sua schiena era ricurva, le ginocchia tremanti, l'abito che avvolgeva il suo torace stropicciato, l'osservò chiudersi la porta dietro le spalle scoperte. La sua immagine era come si ricordava però, bella e imperfetta, soprattutto quando era trasandata e macchiata di vernice. Quella che però le sporcava la pelle lattea non era vernice, e Vale se ne accorse per prima, fremette sulla sedia deglutendo a vuoto. Fu allora che la mora si mosse, senza pensarci, verso quelle mani che volevano stringerla se possibile ancora più vicina al cuore. I suoi capelli ora erano di un castano scuro, le sue labbra tinte di rosa pallido, lo stesso colore dei fiori di ciliegio calpestati senza ritegno e lasciati marcire sul cemento, ma lei li aveva visti e si era inginocchiata a raccoglierli uno per uno, fregandosene delle ginocchia sbucciate. Aveva contato l'alba sorgere tutte le mattina, una per una, domandandosi quale fosse il reale significato delle parole sospese, dimenticate durante i tramonti dalle pennellate dolci di polpa di pesca.

La luce era tremolante nella stanza gelida e le spesse vetrate non lasciavano passare nemmeno un briciolo del tepore esterno. L'acqua stagnate, la puzza innaturale e chimica dell'intonaco bagnaticcio sulle pareti, e Holly accasciata a terra stonava con tutto quell'inferno. Pareva stesse urlando da come le vene sulla sua fronte pulsavano, ma il suono normalmente prodotto dalle sue grida era assente.

Il sangue era ovunque. Era surreale. La scena di un film.
Un campo sterminato di papaveri in fiore. audaci e prepotenti. Il sole rosso bruciava e sorgeva all'orizzonte, incendiando la tela di stoffa alle sue spalle.
Non era reale.
Non poteva esserlo.
Troppo rosso e Olimpia era così bianca.

Giulia ricordava una scena simile in uno dei tanti cassetti della sua mente. Pensava a quando erano sdraiate sul suo letto, passando le giornate a sfamarsi dei loro sguardi e delle loro gesta, e ripercorreva le mani della bionda che sfogliava uno dei suoi tanti libri. Lei si era tagliata con la carta per la seconda volta in quei giorni e aveva lasciato che quell'oro scintillante che le scorreva nelle vene macchiasse le pagine di quel volume.

<<Mi dispiace>>

Aveva sussurrato guardando Giulia con occhi di vetro ricolmi di lacrime.

Oh, la ragazza dai capelli come inchiostro doveva stare molto attenta a non farla cadere, perchè il vetro è fragile e se si infrange è un disastro raccogliere i frammenti e ti ferirai i piedi ogni singola volta rammentando il tuo errore, e ti maledirai perchè non sei stata abbastanza attenta.

<<Non ti scusare Holly, non è successo nulla>>

Provava a rassicurarla, nonostante fosse tardi ormai, il sole era calato lontano dietro ai monti e la donna dai capelli biondi aveva perso la strada di casa, e piangeva e piangeva.

<<Ma ho sporcato tutto e il sangue non va via facilmente>>

Giulia chiuse gli occhi, sfiorava il viso di Olimpia scacciando via le lacrime di quel pianto.

Aveva iniziato a nevicare, durante la notte, e il bianco ricopriva le strade, i tetti, i sogni e le speranze, soffocandole lentamente in un gioco malato fatto di illusioni distorte.

E nevicava e nevicava, e la ragazza dai capelli di zucchero filato guardava tutto quel soffice bianco ad occhi spalancati.
Aveva paura, ma non lo voleva ammettere.
Era terrorizzato, ma non riusciva a capire cosa la spingesse a volere toccare e giocare con quel manto candido.

Ma la neve finta non è fredda e prima o poi ti brucia.

Eppure la ragazza dai capelli come l'alba era oro colato, meravigliosa, pura e innocente essenza d'angelo, allora perchè il sole l'aveva abbandonata, lasciandola così pericolosamente esposta alle fauci del buio e del gelo?

Giulia era tornata alla cruda realtà, non aveva avuto nemmeno il tempo di pensare ad una soluzione che si era messa accanto ad Holly e l'aveva abbracciata stretta a se. Non riusciva a parlare, per la prima volta in vita sua aveva paura che una persona potesse soffrire di un male che lei non potesse curare.
Il volto della bionda era rovinato e sanguinava e chiedeva disperatamente di un bacio, così come Holly aveva fatto l'ultima mattina di calore con lei. Impresse le sue labbra sulla sua fronte madida di sudore e inspirò il suo profumo dolce e pulito; che ormai aveva sotto pelle e di cui non poteva disfarsene. Il suo sangue era rosso, e Giulia riusciva solamente ad annegarci le mani. Rosso come la più grande delle passioni, come la più bella delle rose.

Ma la sua pelle era bianca, bianca e bellissima, di quelle bellezze rare, di quelle bellezze irraggiungibili e intangibili.

E avrebbe voluto rivelarle che vederla splendere nella pallida luce del mattino che si insidiava dalle tende, che ti immergeva in un bagno d'argento con scintille che giocavano a rincorrersi su quella sua pelle, era la vista più spettacolare a cui avesse mai assistito. Avrebbe potuto passare gli anni a scrutare la luce argentea sfumarsi gradualmente in tonalità di azzurro, giallo, oro che si mescolavano e diventavano poesia su quella sua pelle bianca e addormentata.
Perché lei era bianca, e il suo impetuoso amore di un rosso scarlatto.

<<Mi hanno picchiata>> uscì più una specie di rantolo sussurrato che una frase, ma Holly non si perse d'animo, si sollevò sulle ginocchia e la baciò.

Possono due corpi cercarsi così tanto?
Mancarsi, appartenersi.
Possono, due corpi?
Carne fredda, cruda, marcia, deteriorata.

Carne Tremante, scattante, vibrante.
Semplice carne viva.

Si amarono, lì, nella sporcizia di un bagno malmesso. Anzi no, si baciarono, lì, nella sporcizia di un bagno malmesso, come avevano fatto la prima volta. Giulia aveva in testa un tumulto di domande ed era incapace di darne davvero delle risposte, sentiva il sapore metallico del sangue della bionda colarle sulle labbra, goccia per goccia, e pensò che quello sarebbe stato lo stesso retrogusto del morso che si sarebbero concesse in futuro. Disgustoso quanto appagante. Due vite che apparivano schiuma di mare che si adagiava indifferente sul bagnasciuga in una torpida giornata d'agosto.

<<Ti amo>>

<<Cosa Holly?>>

<<Niente>>

Un circolo vizioso.

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