aquiver 11.

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Non erano nemmeno le sei di mattina quando Olimpia lasciò l'appartamento

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Non erano nemmeno le sei di mattina quando Olimpia lasciò l'appartamento.

Con un nodo alla gola si era chiusa la porta alle spalle, stringendo con le dita di entrambe le mani la maniglia, e si era lasciata scivolare giù fino a toccare terra con le ginocchia.

Piangeva singhiozzando piano, per non farsi sentire dal suo cuore e dalla donna che aveva lasciato dormire nella stanza da letto, inconscia delle emozioni che ora la investivano.

Si era rivestita, si era lavata il viso, aveva rimesso a posto la sua parte del materasso e si era allacciata le scarpe con un nodo improvvisato, perché nessuno glielo aveva ancora insegnato a farlo come si deve. Fece le cose meccanicamente, come se le eseguisse da anni ormai, e non avesse la voglia di disimpararle.

Non erano nemmeno le due del pomeriggio quando Giulia si destò dal sogno che aveva fatto.

Era così bello, che non ne ricordava neanche un dettaglio, perché la sensazione d'amore era talmente forte da sentirla nella pelle, e non nella mente attraverso immagini visive. Era come se avesse scalato una montagna senza vetta, ma sul momento non poteva descriverne l'emozione. Si limitò a tastare la parte del materasso accanto alla sua, trovandosi però un palmo vuoto e arido, lo osservò e poi lo rimise nell'esatta posizione di prima. Strinse le lenzuola.

Giulia era sempre stata attratta da Holly in  un modo mai visto prima. D'altronde, non aveva mai conosciuto nessuno come Holly. Non c'erano ragazzi come lei nel quartiere in cui era nata. Holly era un fuoco fatuo, la vedeva entrare nel suo appartamento ad ogni ora del giorno e della notte, per poi andare via altrettanto velocemente. Sembrava che non le importasse di nulla tranne delle cose che le importavano (erano ben poche): la pittura ad olio su tela, Daniel, e la sua visione artistica, che difendeva fino allo stremo, mentre l'anima le si infuocava e i suoi occhi sembravano petrolio scintillante pronto ad esplodere.

Non aveva problemi a presentarsi al locale da fatta, o urlare davanti alla vetrina da ubriaca, ma quando Giulia apriva la porta d'ingresso per vedere come stesse e la incrociava sul vialetto, lei con gli occhi appannati le rivolgeva il sorriso di una bimba di otto anni colta sul fatto di qualcosa che non doveva fare. Raccontava tante cose di sé e della sua vita ma ogni volta cambiavano. Aveva detto di essere cresciuta da piccola in Europa e che un tempo sapeva benissimo il francese, ma che poi, sfortunatamente, un giorno era caduta dall'altalena del parchetto di casa sbattendo la testa. I suoi genitori erano impazziti dalla paura e avevano chiamato tutte le linee telefoniche (persino il sindaco di Parigi, dove avrebbe dovuto vivere), dimenticandosi che dovevano far arrivare anche un'ambulanza. Perciò quando giunsero sul posto i paramedici, era troppo tardi perché lei era già in coma. Per questo erano tornati in Giappone, perché una volta che si era svegliata da quest'ultimo, avevano scoperto che non si ricordava più nemmeno una parola di francese.

Olimpia le sfuggiva dalle mani come acqua, ed ogni volta le lasciava bagnate. Regalava un residuo di lei, e come tutti i residui era potente e difficile da ignorare. Ciò faceva aumentare il desiderio di conoscerla, stringerla in un abbraccio e non lasciarla più andare. La mora era stata assente per parecchi giorni, e solo lunedì era tornata regolarmente a frequentare le lezioni e lavorare. Vale non aveva fatto domande, un po' perché sapeva quanto ci tenesse Giulia alla sua privacy, un po' perché sapeva come erano andate realmente le cose. Sistemava i bicchieri di vetro mentre lanciava a Daniel, dall'altro capo della stanza con in mano uno spartito, un'occhiata d'intesa. Sorrise, scosse la testa e cominciò a parlare come era suo solito fare, rompendo il ghiaccio.

-''Dani, sapevi che Holly ha cominciato a lavorare? Come cameriera in una discoteca fuori città.'', Vale spostò un braccio verso la madia e si mise sulla spalla lo straccio che usava per asciugare le stoviglie. ''-E non le hai fatto nemmeno una ramanzina su quanto sia pericolosa la periferia di notte? mi stupisci, sul serio, Vale.'' Il ragazzo bevette un sorso del suo caffè dalla tazzina di ceramica e aggiunse sottovoce, ''-Non scherzo, gli omega di questi tempi non se la passano bene.''

''-Sai com'é fatta quella ragazza, non mi ascolterebbe nemmeno sotto tortura, Daniel. Nonostante questo ci sono già stata in quel locale, mi ha invitato personalmente lei, non è malaccio come si possa pensare. In più é l'unico posto in cui accettano ancora omega come Olimpia.'' Lo disse con un certo rammarico, come se fosse realmente dispiaciuta di quel che stessero passando uomini e donne come lei, chiusi in casa in un vortice di paura e ansie, che li divoravano, li uccidevano peggio di qualsiasi altro assassino. Poi, dopo quella discussione, eruppe la voce aspra di Giulia, e gli altri due non si stupirono perché sapevano quanto quest'ultima tenesse alla loro amica.

Spinta da uno strano e inquietante presentimento, e un'irrefrenabile impazienza di vederla dopo giorni, pregò: "portami da lei, per favore."

La notte di Nikko era aspra e viscida e scivolava nelle ossa di Holly. L'aria era umida sul suo viso perlaceo, su cui si stendevano finissime goccioline grigie. Stringeva al petto incavato le braccia sottili, avvolte in due manicotti che lasciavano scoperte le spalle. Alzava lo sguardo sulla luce a neon che scandiva in blu cobalto l'insegna del locale, che sfrigolava e gracidava interrottamente ormai da qualche ora. Nonostante l'orario c'era ancora un gran viavai di piccoli ragazzi all'interno, ed entravano ed uscivano dalle porte girevoli, ed emettevano grida di divertimento e ballavano facendosi spazio tra la folla. Volteggiavano confuse in una danza anonima e offuscata, imperturbabili, placidamente avvolti nei loro sottili involucri di plastica sigillata, le passavano accanto come spiriti. Agli occhi color ambra di Holly somigliavano a presenze sterili e artefatte messe sotto vuoto. Si accese una sigaretta e, aspirando benedisse l'esistenza della nicotina su questa terra. Si sentiva come una pianta privata di acqua, lasciata a dimenticare sull'elegante davanzale di una bella casa di lusso, dall'arredamento di alto design e i mobili spolverati con un'ossessione maniacale, tanto curata da poter finire in qualsiasi momento sulla copertina di un famoso settimanale. E lei, immersa in quest'immota bellezza plastica e perfetta, lentamente marciva nel suo solitario mutismo. Si odiava, si odiava così tanto che voleva strapparsi quella pelle che richiedeva di essere baciata, si odiava perché le sue labbra ne volevano altre, le sue braccia erano vuote come il suo cuore. Non si sopportava perché non si capiva e non capiva lo scorrere degli eventi che si erano susseguiti nella sua vita, a parer suo, troppo velocemente. Odiava non capire, voleva essere come Giulia, perfetta.

"-Allora, entri?" Le domandava austera la Signora G., le mani callose affondate nelle tasche del suo vecchio Calvin Klein, mentre troneggiava su Holly.

"-Tu vai avanti, io fumo una sigaretta e ti raggiungo." La donna le rivolse uno sguardo di ghiaccio e la bionda si offese un po' per il fatto che si doveva interrogare se lasciarla sola fosse una buona idea.

Giulia era seduta ad una tavola rotonda e rossa, attorno a lei volteggiavano camerieri, ragazzi, donne, uomini e alpha; tutti con lo stesso odore di alcool e feromoni nauseanti. In realtà era da alcuni giorni che non riusciva ad annusare nient'altro di buono oltre le sue lenzuola, che per precisione non aveva ancora cambiato, e la cose non sapeva se dispiacerle o entusiasmarla. No, a dire il verro non le piaceva per niente, perché la mancanza di Olimpia si stava facendo sentire, talmente tanto che non si sapeva immaginare in altre braccia; in un altro corpo. E la faceva soffrire.

La parte razionale della sua coscienza, però non poteva ammettere che la colpa del suo dolore fosse unicamente di Holly, e questo più per il suo solido orgoglio che per un'attenta analisi autocritica. Le mancava veramente quella ragazza, comprese tutte le sue esaurienti problematiche che si portava appressa ovunque andava. Se vuoi quella donna devi saper accettare il pacchetto completo, diceva Daniel. E i vetri rotti che la bionda si divertiva a lanciare sul terreno segnando la strada su cui poggiava i piedi, Daniel e Vale lo sapevano, la famiglia e la vita stessa, li avevano sempre raccolti loro, E ora toccava alla mora. Olimpia era egocentrica. Le piaceva imporre la sua presenza anche dopo che se ne era andata, come uno spettro ti teneva legata, seminando i suoi ricordi in pezzi. Che sia stata proprio lei a prosciugare tutte le emozioni che componevano le fibre di Giulia?

Arte Moderna.

Una tela dipinta nel caos della sua mente e del tempo, ferma all'età di sei anni, eppure seguendo un movimento frenetico di pennellate pesanti e violente come era stata la sua vita fino a quel momento. A Holly piaceva tanto il rosso ma aveva sempre odiato i colori acrilici. Li trovava finiti e fuori moda. Si era tagliata le vene ed aveva intinto il pennello.

Praticità, l'avrebbe rinominata lei.

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