feel 9.

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Erano le due del mattino

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Erano le due del mattino. Il mondo, fuori dalle mura del piccolo appartamento, era caldo ed incandescente come l'inferno.
O forse era solo la mente di Olimpia a pensarla così, soggiogata dal calore imminente.
La casa di Giulia era troppo spoglia per appartenerle veramente.
Le pareti erano sbiadite tanto quanto la maglietta che le aveva donato per dormire, tessuto in cui ogni tanto faceva sprofondare il naso per il solo vizio di sentire il suo profumo. Olimpia si aggirava in punta di piedi per le camere, come il fantasma delle storie che le raccontava nonna prima di metterla a letto, e a volte tossiva.
Non riusciva a dormire sul divano del salotto, nemmeno nella vasca da bagno che aveva scoperto stranamente più pulita della sua, e neanche sul pavimento del corridoio. Perché i pensieri le stavano corrodendo il cervello piano, in maniera tanto atroce quanto bellissima, benché, nella stanza accanto, sentiva il dolce suono del respiro di Giulia.
Farsi lento e calmo, al contrario del suo. E per un attimo Holly si chiese se anche lei sentisse il suo cuore battere a velocità malata, pompare sangue tanto velenoso da farle male le vene e ogni capillare visibile; voleva entrare ma non ne aveva il coraggio.
Giulia le aveva offerto di dormire da lei qualche ora prima, timorosa che la sua bionda potesse cacciarsi nei guai ancora una volta, e un po' sperando che la sua presenza la facesse sentire meno sola. Le aveva preparato da mangiare, godendo del suo viso stupito, e le aveva rifatto il divano per passare la notte; nonostante avesse desiderato dormisse abbracciata a lei.
Ci pensò un po', e sì, una vita così l'avrebbe anche potuta sopportare.
Si erano guardate negli occhi quella sera, mentre Holly le tendeva una sigaretta ancora spenta nel vano tentativo di ringraziarla, ma a Giulia non serviva.
Le aveva detto che non fumava, ma in realtà, nel profondo della sua anima, voleva dichiarare quanto le piacesse averla intorno.
Infatti c'era qualcosa di assolutamente attraente e nuovo nell'omega, come barasse a carte senza farsi scoprire o canticchiasse motivetti di tanto in tanto.
Poi le aveva pulito le ferite sul viso, l'aveva salutata e si era messa a dormire; nonostante sentisse in petto suo la sensazione ardente di baciarle la guancia.
Holly ora si era aggrappata con le unghie al ripiano sella cucina, si sentiva drogata e paralizzata sul posto, mentre le pareti sembravano sciogliersi e accumularsi per il troppo caldo; che sentiva in corpo e annebbiava la mente. Ma nella stanza di Giulia era fresco e si stava bene, pensava lei.
Le restava che affidarsi alla corrente davanti al suo corpo, che la invitava a lasciarsi andare, a divertirsi come aveva sempre fatto; per non provare più quel dolore familiare.
Illuminata dalla luce lunare, Olimpia tentava di ripercorrere la sua memoria.
Ricordava i suoi soppressori scivolare giù, lungo le fognature, inondati dallo scoscio dell'acqua della tazza, ma non sapeva bene perché l'aveva fatto. Le faceva male la testa e scottava, che non sapeva dare risposte razionali; ma ora si sentiva una stupida.
Le sue gambe pareva gelatina, fragili sottro il suo stesso peso.

Stava già male dalla cena, forse?

Quando, appoggiata al lavello, aveva osservato Giulia sparecchiare la tavola con i capelli sciolti e arruffati, immaginandoci di affondare le dita e stringerli in un pugno. O ancora, sul piccolo balcone della mora, quando da seduta le aveva dato la sigaretta.
Lei le aveva guardato il torace magro e pallido, era bella e perfetta. Che quando gli scultori lavorano la pietra, la foggiano a sua immagine.
<<Sto per morire.>> la voce rarefatta le uscì dalla gola sotto forma di gemito acuto, si muoveva lentamente cercando di barcollare il meno possibile, sino ad arrivare alla cucina e rannicchiarsi lì; tra gli sgabelli e le sedie. La casa ora profumava dei suoi umori, ne era consapevole, ma non riusciva a reagire.
Era una sensazione che non si poteva esprimere a parole.
Le pareva tutto finzione, lei stessa sembrava una nuvola di fumo; così anche la stanza e il freddo del pavimento. Per un attimo si compiacque di quella pace cosmica, l'irrilevanza, forse anche un po' patetica, della sua persona.
La luce del corridoio bastava per illuminarle il viso ancora ferito e segnato dal rossore, le arrivava a tratti riscuotendola da quel dolce rimuginare.
Si era portata le ginocchia al petto e aveva affondato la fronte tra queste per attenuare quei maledetti crampi, che da ore la stavano torturando.
Era davvero uno spettro lei, il fantasma di se stessa.
Bloccata lì in basso, affamata di un qualcosa di irraggiungibile, il corpo che avvizziva, e poi la morte.
Mugolava sperando che qualcuno la sentisse, si accorgesse di lei e la guarisse. Era tutto ciò che riusciva a pensare, o almeno ad alludervi.
E poi un rumore, quello di un dardo o lo scoppio di un palloncino, farsi sempre più vicino fino a colpire le orecchie della biondina.
Tutto era grottescamente deformato, i mobili non erano più mobili e le pareti non erano più pareti, i suoi gemiti erano fusa e lei sembrava impazzire.
Aveva la gola talmente secca da non riuscire a deglutire, la sua schiena s'inarcava e sbatteva contro la moquette dell'appartamento, ma ora il dolore non era più nemmeno quello; era una sensazione anomala e unica.

<<Santo cielo>> aveva detto la figura dai capelli scuri alla sua destra,<<Holly.>>

Era un tono triste quello? Deluso?
La bionda si preoccupava solamente di attutire le sue grida con una mano, urli che avevano disturbato il sonno di Giulia che preoccupata era scesa a controllare. Ed ora era spettatrice di un'immagine impossibile, che le si parava davanti con brutalità accendendo il suo animo.
Si accorse che il suo odore dolce appestava ogni angolo della casa, rendendo impossibile sia camminare che respirare. S'intossicava di quel profumo inebriante, che poco a poco le si insinuava sotto pelle in maniera permanente.
L'aveva sedotta con i suoi occhi carichi di lussuria e i suoi baci schiumosi che andavano a sfumarsi col passare del tempo.
Si erano guardate ancora una colta e fortunatamente si erano capite.

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