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Passarono un paio d’ore da quando la porta si chiuse dietro i tre giovani Ackerman e Veronica prese la donna sotto braccio, allontanandola lentamente dal figlio cercando l’uscita in quella sala ormai vuota di ogni qualsivoglia invitato.

  «Venite, signora Ackerman...» le sussurrò, conducendola verso la cucina. «Vi andrebbe una tazza di the?» chiese, voltando il capo verso di lei, trovandola con gli occhi persi nel vuoto, per l’ennesima volta.

Prese la teiera di ceramica e ne versò al suo interno dell’acqua.

Si appoggiò con la schiena al ripiano della cucina, cercando di far chiarezza coi suoi pensieri.

A riportarla alla realtà fu il fischio proveniente dalla teiera che segnalava l’ebollizione dell’acqua. Sospirò silenziosamente, prendendo una tazza dalla credenza dove, successivamente, versò al suo interno del the nero.

  «Come si sente?» sussurrò, avvicinandosi a lei.

  «Beh...sento come se mi avessero appena strappato il cuore dal petto» rispose con un sorriso forzato e occhi stanchi e rossi per il pianto. «Ma non potrò rimanere così per sempre, no? Bisogna andare avanti...» mormorò, cercando più sé stessa che Veronica.

La bruna annuì, spostando lo sguardo sul paesaggio fuori dalla finestra.

Ormai è quasi l’alba..., si accorse. «Mi potrebbe parlare di lui?» chiese, voltando il capo verso la padrona di casa, sperando di non risultare scortese.

  «Era un ragazzo dal cuore d’oro...ha sempre ammirato suo fratello, Alessandro. Era il suo punto di riferimento in famiglia...fin da piccolo diceva che sarebbe diventato come lui. Diego era...era il cuore pulsante e la parte più dolce della famiglia. Anche se non sembra, era lui che ci teneva uniti» ridacchiò appena, stringendo le mani al petto. «Certo, era il più piccolo, eppure, con quei suoi sorrisi, riscaldava il cuore di tutti...lui era solo il mio piccolo bambino innocente» sussurrò infine, lasciando libere le lacrime, riprendendo a singhiozzare.

Veronica le si avvicinò, stringendola in un caldo abbraccio.

Restarono in silenzio per molto, aspettando il ritorno dei ragazzi che, nel frattempo, giunsero di fronte alla villa del signor Smith.

Lorenzo, sospirando pesantemente, fissò il proprio sguardo su quelle grandi vetrate, da dove si intravedeva la sala.

  «Sicuri che è questa la villa?» chiese guardando di sott’occhio il gemello.

Era a capo chino, stringeva i pungi lungo i fianchi e cercava di calmare il respiro affannato.

Rimase in silenzio, non disse nulla consapevole che le parole non sarebbero servite a placare la sete di vendetta che cresceva dentro di loro.

  «Si, è questa» rispose freddamente Alessandro e, stringendo la mandibola, ricaricò la sua Colt M1900. «Andiamo» si limitò a dire, avvicinandosi alla porta d’ingresso e sfondarla con un calcio.

Vide tutti gli Inglesi intenti a passare la serata in modo tranquillo che, dopo la loro entrata, si alzarono di scatto e fecero saettare lo sguardo verso di tre Ackerman all’uscio della porta.

  «Fatevi sotto, bastardi!» esclamò, sparando il primo colpo e dando via all’inferno.

In pochi istanti in quel soggiorno, scoppiò il caos più totale.

I mobili erano rivoltati sul pavimento, mentre dei proiettili rompevano vetri, lampadari e vasi.

Gli Inglesi, colti alla sprovvista, si trovavano in netto svantaggio nonostante la maggioranza numerica giocasse a loro favore.

Alessandro uscì allo scoperto, continuando a mietere vittime, senza alcun rimorso uccideva qualsiasi cosa si trovasse sul suo passaggio.

Un proiettile gli colpì la gamba, ma non se ne curò minimamente, ci avrebbe pensato dopo.

  «Adesso ci porterete dal vostro capo di merda, sono stato chiaro?» sussurrò, avvicinandosi a dei novellini tremanti sotto al tavolo. «Ho detto...sono stato chiaro?!» urlò facendoli annuire impauriti.

  «Tsk, mettono delle armi in mano a dei bambini» mormorò Tommaso, sputando sulle solo scarpe.

I tre ragazzi, tremanti, si alzarono, indicando ai fratelli Ackerman una stanza in fondo al corridoio.
  
  «Il capo dovrebbe essere lì dentro» sussurrò, con voce spezzata, uno di loro.

  «Bene» disse Lorenzo, guardando i novellini con uno sguardo triste in volto.

  «Che luridi vermi» sussurrò Tommaso, disgustato.

  «Tommaso!» lo richiamò il gemello, impugnando bene il coltello. «Non ne vale la pena...lasciali andare» mormorò con lo sguardo spento.

I suoi occhi erano puntati in quelle iridi verdi, eppure sembrava come se non stesse guardando seriamente il gemello.

Tommaso annuì, seguendo il maggiore fino ad arrivare di fronte alla porta di legno scuro.

  «Siete pronti?» chiese Alessandro saettando lo sguardo verso i due, ricevendo in risposta un cenno col capo. «Bene» disse per poi spalancare la porta facendo saltare la serratura con un semplice colpo di pistola.

Aprirono di scatto la porta, trovando il signor Smith alla scrivania, incurante dell’entrata dei tre.

  «Sapevo che prima o poi sareste arrivati fin qui...» disse semplicemente mentre continuava a firmare varie carte. «Il trambusto di là deve essere opera vostra, right?» alzò di poco lo sguardo, incontrando subito le iridi gelide del corvino, che si avvicinò a passi pesanti alla scrivania.

  «Tu, figlio di puttana, hai fatto uccidere mio fratello» mormorò, prendendolo per il colletto della camicia.

  «Intendi quel piccolo moccioso?» chiese ironico, facendo scattare la furia incontrollata dei gemelli, che si avvicinarono minacciosamente verso la scrivania, ma lo sguardo che gli lanciò subito dopo il corvino li congelò sul posto.

  «No, Alessandro, sono stato zitto per troppo temp-!» si interruppe non appena vide come il fratello maggiore, con uno scatto, aprì la bocca del bruno prendendogli la lingua e avvicinando il coltello a essa.

  «Dì un’altra parola e saranno le tue ultime» il bruno, in risposta, ghignò alzando le mani in segno di resa.

Alessandro allontanò il coltello, riponendolo dentro il suo federo, asciugandosi la mano bagnata di saliva sulla camicia dell’uomo che guardò, con fare saccente, i tre uomini davanti a lui, facendo accrescere il loro nervosismo.

Il corvino poggiò la pistola sulla sua tempia, mormorando a denti stretti «Dimmi, lurido bastardo, come vuoi che ti uccida?» per poi far scattare la sicura dell’arma.

In quel momento fece ingresso un ragazzo identico al bruno che, non appena si rese conto della situazione, tentò di scappare, invano.

I gemelli lo tennero fermo e, colpendo alla nuca con la base della pistola, lo fecero svenire sotto gli occhi terrorizzati e preoccupati del padre.

Il signor Smith cercò di avvicinarsi al ragazzino, con scarsi risultati data la presenza del corvino a bloccargli il passaggio per raggiungere il figlio.

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