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Dopo molti giorni di pioggia, finalmente, in città, giunse il sereno, ma non in casa Ackerman.

Il corvino non uscì dalla propria camera, rimanendo tutto il tempo seduto sul letto con la testa fra le mani a borbottare tra sé e sé fino a quando non bussarono alla porta.

Sospirando, mormorò un «Avanti» per poi alzare il capo e osservare la figura della madre varcare la soglia che si avvicinò al figlio, sorridendo amaramente con le lacrime agli occhi.

  «Vieni qui, piccolo mio» sussurrò la castana, aprendo le braccia, facendo segno ad Alessandro di abbracciarla, cosa che non si fece ripetere due volte.

Si accasciarono entrambi sul pavimento freddo, ancora stretti uno tra le braccia dell’altra.

Cercavano entrambi di reprime le numerose lacrime che riempivano i loro occhi, invano.

La prima a crollare fu Monica che iniziò a singhiozzare silenziosamente, cercando di non farlo notare al figlio.

Il suo corpo era smosso da lievi sussulti, le tremava il labbro inferiore e il groppo alla gola le impediva di respirare nel modo corretto.

Si mordeva l’interno della guancia per reprimere ogni qualsivoglia suono.

Ma a un certo punto non ce la fece più.
Singhiozzò.

Merda! Merda! Merda!, pensò lei, tremando, con le lacrime agli occhi. L'aria faticava sempre di più a raggiungerle i polmoni.

Il respiro era sempre più corto e accelerato, finché non si bloccò, facendole portare di scatto una mano al petto.

Tutto attorno sembrò girare mentre sentiva la testa improvvisamente leggera e il rumore dei suoi battiti accelerati che pompavano nelle sue orecchie.

Il mondo intero pareva crollare tutto attorno a Monica, pezzo dopo pezzo, come un castello di carte che viene spazzato via da una semplice folata di vento.

Guardava di fronte a sé con gli occhi sgranati, in cerca di un appiglio, qualsiasi cosa che le dia una qualsivoglia certezza per salvarla dal baratro nel quale stava per cadere.

Il corvino l’afferrò per le spalle, stringendola maggiormente contro il suo petto caldo. 

  «Va tutto bene» Monica si aggrappò a quelle parole appena sussurrate al suo orecchio, mentre cercava di regolare il respiro pesante. «Non ti lascio, va tutto bene»

Strinse quel vestito nero tra i pugni all'altezza del cuore, mettendosi le mani davanti alle labbra, sentendo la necessità di vomitare tutta quella frustrazione che stava accumulando.
Terrore.
Quella era l'unica emozione che riusciva a provare in quel momento.

Brividi e tremori erano padroni del suo gracile corpo. Si sentiva bloccata, sentiva la necessità di fuggire via il più lontano possibile da quella situazione, ma era come se un mostro la stesse tenendo incatenata.

Da quella sera lei non si sentiva più la stessa. Restava ore a fissare il vuoto o in camera propria, abbracciando la maglia del bruno fino a tarda sera quando, ormai esausta, cadeva finalmente nelle catene di un sonno ormai tormentato dalla figura del figlio in fin di vita.

Lorenzo andava a vedere come stava ogni mattina, sussultando sempre visto il suo sguardo privo di emozioni, assistendo, un giorno, a uno dei suoi numerosi attacchi di panico. Nessuno riusciva più a sorridere dall’assenza, molto evidente, del minore in casa.

Alessandro sospirò, accarezzando i lunghi capelli castani della madre che, una volta calmatasi, chiuse gli occhi, addormentandosi sul petto confortante del figlio.

La prese in braccio per poi poggiarla, successivamente, sul morbido materasso.
Le accarezzò dolcemente il volto, notando le numerose rughe attorno agli occhi e i vari capelli bianchi che iniziavano a sostituire, lentamente, quelli castani.

Uscì dalla sua stanza a passo felpato, diretto verso il suo studio.

Osservò come i fratelli sembrassero spenti, senza la solita vitalità.

Sospirò silenziosamente, chiudendosi la porta dietro le spalle, per poi andare direttamente alla scrivania.

Alzò lo sguardo verso il quadro del padre posto sul camino, le sue pozze gelide parevano fissare duramente Alessandro. I secondi parevano minuti e i minuti parevano ore.

Conscio che non sarebbe riuscito a concludere nulla, si alzò di scatto con fare frustrato, mettendosi le mani tra i capelli.

Fece segno ai gemelli di seguirlo e loro, confusi, si alzano avvicinandosi al maggiore, notando come egli guardasse la porta del seminterrato.

  «Andiamo» mormorò il corvino.
I tre Ackerman, silenziosamente, scesero le scale, trovandosi davanti a quella porta ormai logora e sudicia.

Dentro la stanza provenivano i mugolii del ragazzino, ancora imbavagliato, assieme ad altri suoni ovattati.

Alessandro spalancò la porta, guardandoli con il mento leggermente sollevato. «Lorenzo» richiamò il castano accanto a sé.

Il castano, intuendo, andò dietro al bruno, afferrandolo per i capelli e tirandogli il volto sollevato con lo sguardo sulla figura del figlio.

  «Bene» mormorò, avvicinandosi a quest’ultimo. «Una vita...per una vita, signor Smith» disse in un mormorio, alzando le sopracciglia con fare ovvio, per poi prendere il proprio coltello dal taschino e tirare indietro il capo del minore. «Ultime parole, marmocchio?» sussurrò al suo orecchio, senza distogliere lo sguardo da quelle iridi color cioccolato fuso dell’uomo dinnanzi a sé.

Il minore rimase in silenzio, guardandolo sott’occhio mentre le lacrime si raggruppavano tutte nei suoi occhi.

Alessandro poggiò la lama contro il suo collo, iniziando a premerlo contro la pelle.

   «N-No...Lucas» mormorò Jacob, guardando il figlio.

Il corvino sorrise sadico, premendo maggiormente la lama da una parte all’altra del collo.

  «Ecco fatto...adesso siamo pari» sussurrò, sputando tutto il veleno che aveva in circolo, lasciando andare il famigerato “Lucas” con uno strattone. Continuando a guardare come l’uomo si disperava per la recente perdita, Alessandro non poté trattenere un ghigno.

Alzò il capo, ispirando a pieni polmoni, osservando come le sue mani fossero intrise di sangue, per poi avvicinarsi al signor Smith.

  «Beh, come ci si sente?» chiese, prendendogli il mento tra le mani.

  «Sei morto, hai capito?!» urlò lui, sputandogli in faccia.

Alessandro chiuse gli occhi, aumentando la presa sul suo volto, e una volte che tornò a fissarlo, nelle sue iridi non regnava altro che odio e disgusto per l’essere dinnanzi a lui.

Si allontanò da lui e, con il dorso della mano, si pulì la guancia, macchiandola, però, di sangue ancora fresco.

  «Morirai nel modo più lento possibile...you will beg me to kill you!» continuò il bruno in un sibilo.

  «Non vedo l’ora che questo accada, signor Smith» rispose Alessandro guardandolo freddamente, per poi prendere uno straccio e pulirsi le mani ormai cremisi. «Non vedo l’ora» sussurrò in un sospiro, uscendo da quella stanza che sembrava opprimerlo sempre di più.

Prese il cappotto e, senza avvisare nessuno, aprì la porta diretto verso il bar “Angels and Kings”.

I passanti guardavano confusi e spaventati il volto coperto di quel liquido vermiglio, sapendo benissimo cosa avesse fatto, evitandolo come la peste, allontanandosi ancora di più per non infastidirlo.

Il signor Ackerman, intanto, percorreva il tragitto con il capo basso e i pugni stretti lungo i fianchi. Si sentiva così impotente che quasi non si riconosceva.

Erano anni che non si sentiva in quel modo e la cosa lo spaventava a morte.

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