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Silenziosamente, scese dalla groppa del suo cavallo per poi dirigersi verso l’uomo seduto poco distante dalla postazione.

  «Buongiorno, signor Ackerman» lo salutò chinando di poco la visiera del copricapo, sorridendogli furbamente.

Una volta tolto il berretto, lo posò sul tavolo di fronte a lui, mostrando i capelli corti, a taglio militare scuri assieme agli occhi color cioccolato fuso. Stampato in volto aveva un sorrisetto che irritò il corvino ancora di più di quanto già non fosse.

Jacob Smith.
Quello era il suo nome.

Chiunque lo pronunciasse, tremava di paura. La sua fama lo precedeva in qualsiasi cosa.

Spietato.
Senza scrupoli.
E a capo degli Inglesi.

Tra lui e Alessandro non scorreva buon sangue, tanto che, ogni volta che si incontravano, cercavano sempre di portare l’altro al proprio limite, cercando una scusa per spararsi a vicenda.

  «Buongiorno» disse sedendosi nel posto libero proprio di fronte alla sua figura e, senza dire altro, si accese un sigaro.

Il gesto fece storcere il naso all’uomo che non protestò, bensì cercò di allontanare il fumo da lui.

  «Quindi, perché siamo qui quando potevo benissimo stare nel mio ufficio a bere qualcosa?» chiese Alessandro, innervosito dal silenzio dell’uomo.

  «Come ben sapete, signor Ackerman...sta giungendo qui in città un investigatore privato» iniziò lui congiungendo le mani sotto al naso, fissando con attenzione il corvino.

Alessandro collegò subito tutti i punti arrivando a una semplice conclusione, ovvero quella che il signor Smith avrebbe cercato di vederne ogni sua minima espressione e ogni suo minimo comportamento.

  «Tutti noi ci stavamo chiedendo cosa avesse in mente di fare» continuò, facendo roteare un liquido dorato dentro il bicchiere di vetro. «Noi celebreremo il funerale del nostro uomo deceduto alcuni giorni fa, ma voi? Cosa farete in questi mesi?» socchiuse leggermente lo sguardo, esaminando ogni minima sfaccettatura del suo volto in cerca di qualche cosa che lo facesse dubitare del corvino.

  «Questi sono affari miei e della mia famiglia, non di certo di Inglesi ficcanaso» rispose stringendo i pugni sulle ginocchia, sporgendosi leggermente verso il bruno seduto dinnanzi a lui.

  «Ha ragione, signor Ackerman...noi eravamo solo curiosi di sapere come si muoverà da ora e in avanti, nulla di che. Volevamo solo essere preparati a ogni evenienza» ribatté ridendo di gusto, facendo innervosire ancor di più Alessandro che si morse l’interno guancia per evitare di urlargli contro le peggio cose. «Intendo nel caso che voglia fare qualche colpo di Stato. Sapete, in tal caso vorremmo partecipare anche noi» continuò.

  «In questo caso, vi do un consiglio» disse spegnendo il sigaro e alzandosi lentamente dal posto assegnatogli, dirigendosi verso il bruno che seguì ogni sua mossa. Gli mise una mano sulla spalla, avvicinandosi al suo orecchio. «Tenetevi la vostra curiosità per voi e non venite più a rompere i coglioni alla famiglia Ackerman, intesi?» sussurrò stringendo la presa su di lui, guardando di sott’occhio le guardie che, dietro il bruno, parevano pronte a sparare a un suo minimo movimento sgarrato. «Ah, e un’ultima cosa...se oserete avvicinarvi ancora un’altra volta al “Angels and Kings”, per voi Inglesi sarà la fine» dandogli delle pacche sulla spalla, prese la sua giacca nera poggiandosela sulle spalle, per poi dirigersi verso il suo stallone albino e salirgli in groppa.

Prima di imboccare la strada verso la sua abitazione, si voltò per l’ultima volta il bruno ancora seduto al tavolo.

Vide come i suoi uomini si avvicinarono in fretta a lui, per vedere se stava bene per poi venir liquidati con un mero gesto della mano.

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