7. Linee Nemiche

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-E va bene, qual è il suo fottuto numero?- . Ian si lasciò cadere sul divano e allargò le gambe. Alle tre del mattino Carl lo aveva svegliato dopo essere tornato a casa e averlo trovato addormentato sul divano ancora completamente vestito e con le scarpe addosso. Ian si era semplicemente girato dall'altra parte ed era tornato a dormire, troppo ubriaco per preoccuparsi di svegliarsi il giorno dopo con il torcicollo e un terribile dopo sbronza. Ora erano le tre del pomeriggio e la nausea e il mal di testa non gli erano ancora passati, quindi l’idea di un appuntamento al buio organizzato da Lip non era molto allettante. – È meglio che non sia un cazzone – lo avvertì con un’occhiata pungente.
-Dovresti riformulare la frase, fratello –
- Ah-ah -. Non lo trovava affatto divertente, sia per il mal di stomaco sia per il fatto che fosse davvero abbattuto. Il venerdì sera con Mickey era cominciato così bene e finito così male. Non aveva voglia di ripensarci.
Lip sospirò con fare drammatico e gli strappò dalla mano tesa il cellulare per cominciare una nuova conversazione, per poi ributtarglielo in grembo una volta finito di scrivere.
-Ma che cazzo?- sputò fuori Ian guardando lo schermo. – Stai scherzando, Lip? Francis? –
- Non è colpa sua se il suo nome ci fa venire l’orticaria –
- Sì fa chiamare Francis, vero? Perché non lo chiamerò di certo Frank -. Ian rabbrividì al ricordo del padre ubriaco marcio che si trascinava oltre la soglia di casa.
Lip si sedette sul bracciolo del divano costringendo Ian a spostare i piedi. – In realtà lo chiamiamo Frankie –
Ian aprì gli occhi. Anche questo era troppo simile ad un nome che cercava di dimenticare. – Ugh –
-Dai, manda il messaggio Ian – lo incoraggiò Lip colpendogli la coscia con il piede. – Ti conosco, rimarrai a pensarci sopra e allora saremo tutti perduti –
- Quanto sei drammatico? –
- Quanto sei sfuggente? –
- Chiudi quella bocca –
- Fottiti –
- Cosa mi sono perso? – chiese Carl chiudendosi la porta dell’appartamento alle spalle. – Sembra divertente –
- Ian si sta comportando come un bambino per non dover uscire con Frankie –
Carl buttò le borse della spesa sul tavolo, prese una confezione di Pringles e una Hershey e si sedette sulla poltrona di fronte al divano, appoggiando i piedi sul tavolo e passando ad Ian la sua barretta di cioccolato. – Frankie? È lo studente del college a cui stai dando ripetizioni o il meccanico che sta riparando il tuo rottame? –
-Lo studente – rispose Lip calciando di nuovo Ian sullo stinco, ma Ian lo ignorò e strappò l’involucro della barretta.
- Wow, possono farselo venire duro a vicenda parlando di saggi noiosi tutta la notte – gli sorrise Carl.
- Voi due stronzi volete venire all’appuntamento? Sembrate interessati più voi che io –
Ian non aveva ancora scritto nessun messaggio, quindi Lip decise di prendere l’iniziativa. Saltò in piedi, rubò il cellulare ad Ian e scappò in cucina per digitare, leggendo ad alta voce:  - “ Ciao Frankie, sono Ian. Sono libero stasera se vuoi andare a bere qualcosa” –
-No, niente alcool, per carità – urlò Ian, ancora sdraiato.
- Potreste andare insieme in biblioteca – suggerì Carl.
Lip tornò agitando la mano con il cellulare di Ian. – Fatto. Al massimo ti prendi un’acqua frizzante –
-Va beh -. Ian dimenticò la barretta sul tavolino e si girò dall’altra parte chiudendo gli occhi. Aveva accettato solo perché sapeva di dover fingere che Mickey non esistesse. La sua sanità mentale aveva bisogno di questo pseudo-appuntamento.
Ding.
-Oh, qualcuno è ansioso di vederti – rise Carl. – Gli hai mandato una foto di Ian? –
- Cosa? – esclamò Ian alzando la testa. – È meglio che tu non lo abbia fatto, Lip –
Il suo fratello testa di cazzo lo ignorò e lesse il messaggio: - “Esco volentieri, Ian. So dove abita Lip quindi potrei passare a prenderti alle otto se per te va bene” –
-Aw- cinguettò Carl. – Sembra dolce –
- Gesù… - farfugliò Ian da sotto il cuscino che usava per coprirsi la testa. – Sì, certo –
- L’amore è nell’aria, lo sento -. Il cuscino colpì Carl dritto in faccia.

-Com’era vivere a Washington? –
Ian giocherellò con uno wonton nel piatto. Sembrava buono ma lo stomaco non voleva saperne.
-Ian? –
- Scusa? –
- Ti ho chiesto com’era vivere a Washington –
- Oh, normale. In quel periodo volevo solo allontanarmi da Chicago, sai, ripartire da zero. E le grandi città sono più o meno tutte uguali –
Frankie annuì mentre finiva gli wonton che avevano condiviso. Aveva suggerito un tapas bar proprio dietro l’angolo rispetto all’appartamento di Ian così avrebbero mangiato qualcosa insieme al drink. Frankie aveva preso un Martini e Ian aveva storto il naso al ricordo della serata precedente per poi fare una battuta alla “Bond, James Bond”. Si era sentito piuttosto ridicolo subito dopo quindi aveva cercato di fare conversazione per rimediare. Era solo stanco, troppo stanco per cercare di far scattare quella scintilla. Si stava persino sforzando di trovare anche solo la miccia. Non che non fosse interessante o attraente in un certo modo, con i capelli ricci e la barba rada. È solo che non era… - Scusami, puoi ripetere? -. Stava cominciando a sentirsi uno stronzo.
-Ti ho chiesto che cosa studiavi a Georgetown -. Frankie non sembrava rendersi conto del suo disinteressamento e questo portò Ian a chiedersi se anche lui fosse così cieco nei confronti di Mickey. Era talmente incantato da non rendersi conto che Mickey non ricambiasse? Merda, aveva cominciato a ripensare ai loro incontri un’altra volta. – Ehm, forse dovremmo andare Ian –
- Oh, scusami -. Respirò profondamente e si abbandonò contro allo schienale. – Non sono molto in forma oggi. Credevo che stasera mi sarei sentito meglio ma a quanto pare non è così - . Frankie lo imitò, probabilmente aspettando una mossa da parte sua questa volta. Gesù… - Comunque ho fatto un master in Sicurezza Internazionale con specializzazione in valutazioni di sicurezza –
Frankie appoggiò i gomiti sul tavolo, totalmente coinvolto nella conversazione, e Ian non poté fare a meno di indietreggiare ancora di più. – Come sei finito a studiare in quel campo? –
Per rispondere a quella domanda ci sarebbe voluta tutta la notte e poi non aveva voglia di condividere con lui la sua vita privata. Persino la sua famiglia non sapeva tutto, quindi scelse la risposta tipica che dava ogni volta che gli veniva posta quella domanda. – Quand’ero ragazzo ero un cadetto e mi incuriosiva la sicurezza militare. Ho scelto la via dell’istruzione piuttosto che arruolarmi -. Si fermò lì ma magari avrebbe potuto spaventarlo un po’ e farlo scappare a gambe levate raccontandogli di come avesse mandato tutto a puttane permettendo a sua madre di insinuarsi nuovamente nella sua vita nel peggior momento possibile, risucchiandolo nella sua orbita distruttiva da cui aveva impiegato anni per uscire.
Se prima si sentiva stanco, ripensare a quel periodo della sua vita lo lasciò completamente esausto. Doveva essere abbastanza evidente perché il ragazzo scelse di giocare la carta del cavaliere. – Sembri distrutto, Ian. Che ne dici se ti accompagno a casa ora? -. Ian avrebbe preferito tornare da solo ma immaginava che fosse un buon compromesso. Dopotutto aveva accettato quel dannato appuntamento.
Frankie insistette per pagare il conto. Quando Ian si oppose, disse che lui avrebbe potuto farlo la prossima volta, che però non ci sarebbe mai stata. Ma se avesse risposto in questo modo il tragitto verso casa sarebbe stato imbarazzante e non ne aveva proprio voglia.
Era una bella serata primaverile e rimasero in silenzio per tre isolati. Frankie sfiorò la sua spalla con la propria ogni dieci passi ed Ian glielo lasciò fare, troppo stravolto per preoccuparsene. Quando arrivarono all’ingresso del palazzo, Ian era già deciso a salutarlo ma il ragazzo aspettò che girasse le chiavi nella toppa e gli tenne la porta aperta, per poi seguirlo fino all’ascensore.
- Posso farcela da solo da qui – disse scherzando Ian.
- Servizio porta a porta –
- Ookay –
Nell’ascensore rimasero uno di fianco all’altro in silenzio. Sei piani non erano mai stati così lunghi. Una volta arrivati a destinazione aprì la porta di casa sua ancora prima che le porte dell’ascensore si fossero richiuse. Frankie appoggiò la mano sulla parte bassa della sua schiena e gli cinse la vita quando Ian entrò nell’appartamento ancora illuminato. Rabbrividì interiormente e cercò di spostarsi in modo da rendere difficile il contatto tra loro. – Beh, allora buonanotte –
- Buonanotte, Ian – mormorò in tono dolce, speranzoso e ugualmente determinato.
Ehm, no, pensò Ian. Non succederà niente. Appoggiò con fermezza la mano sul suo petto per respingerlo. – Non mi sento bene. Buonanotte –
Frankie sembrò rimanerci estremamente male ma era troppo educato per fare altro se non imbronciarsi. – Ti scrivo allora, Ian –
Era troppo stanco per rispondere. Ci avrebbe pensato Lip. Chiuse finalmente la porta e si appoggiò alla superficie legnosa, sbattendovi contro la testa nella speranza di rimuovere tutti i ricordi delle ultime ventiquattro ore.
- Mi sa che non scopi stasera –
Ian sobbalzò. – Cazzo, mi hai spaventato, Lip –
- Forse io e Carl saremmo dovuti venire con te perché non sembra che tu ti ricordi ancora come si rimorchia – disse con una tazza di cereali in mano e un cucchiaio nell’altra. – Ero davvero sicuro che andasse in porto –
Ian lo guardò con una smorfia e si sedette su una poltrona, siccome Carl era mezzo addormentato sul divano. Che cosa ridicola… Ian poteva rimorchiare come e quando voleva. Ma il fatto è che non voleva rimorchiare nessuno. Voleva… voleva qualcosa di vero. E ora che aveva una minima idea di cosa si provasse, lo voleva ancora di più. Tutto il resto non contava, era una perdita di tempo.
Tirò fuori il cellulare dalla giacca e lo passò a Lip. – Rifiuta Frankie, ma fallo con gentilezza. Non ci sarà un secondo appuntamento -. Nonostante la loro insistenza, Ian apprezzava che i suoi fratelli lo avessero ascoltato e cercato di aiutarlo. Si erano allontanati quando Ian si era trasferito, prima perché si era lasciato influenzare da sua madre e poi perché era stato troppo occupato a rimettersi in piedi. Lip si era iscritto al college e Carl era cresciuto. Faceva male ripensare a tutto il tempo che avevano perso insieme ma quando era tornato a Chicago avevano trasformato la loro stanza degli ospiti in una terza camera da letto ed Ian era tornato ad essere il fratello di mezzo.
- Grazie per averci provato comunque, ragazzi – disse sollevando la testa dallo schienale della poltrona. Carl era completamente sveglio ora e Lip digitava sul cellulare di Ian. – Gli stai dicendo che non sono interessato? –
Lip fece spallucce.
- Cosa stai facendo? -. Forse aveva ringraziato troppo presto.
- Niente – rispose Lip in tono esageratamente vago.
- Dammi il cellulare -. Tese il palmo aperto ma Lip lo ignorò e andò a sedersi sull’altra poltrona. – Dai, Lip. Non mi fido di quella faccia –
- Hai bisogno che ci pensi io per te, Ian – spiegò Lip evitando il suo sguardo per dedicarsi a qualsiasi cosa stesse facendo son il suo cellulare. – Vuoi dimenticarti di questo Mickey? Allora facciamo in modo che succeda –
- Io… -. Non sapeva come rispondere. Non voleva farlo davvero ma non sembrava ci fossero altre alternative.
- Senti, -. Lip buttò il suo cellulare sul tavolino, apparentemente soddisfatto. – sei stato tu a dire di volerti concentrare sul fare un buona impressione al lavoro e non scoparti il tuo collega –
- Gesù, potresti usare altre parole –
- E in che altro modo dovrei dirlo? -. Si fissarono. Lip naturalmente non capiva e Ian non aveva voglia di spiegargli. – Spiegami, Ian. Aiutami a capire se ti va –
Ian alzò gli occhi al cielo. – Non importa –
- Sono serio –
- Lui è… -. Alternò lo sguardo tra i due fratelli nella speranza di trovare una scappatoia da quella conversazione. Non avrebbero mai capito, lui stesso era il primo a non capire. – È diverso –
- Diverso? – chiese Lip agitando la mano per incoraggiarlo a proseguire.
- Vorrei… -
- Oh mio Dio, Ian, dillo e basta – lo interruppe Carl. – Ti stai innamorando –
- Cosa? – gridò Lip.
- Come?-. Quasi gli mancò un battito.
- Cosa? – li imitò Carl, guardandoli impassibile. – Si sta innamorando -. Parlava come se stesse spiegando a dei bambini come usare il vasino.
Era davvero così? Era così semplice eppure così monumentalmente complicato? Ripensò alle prime ore da Murphy’s, a com’era stato facile passare il tempo giocando a biliardo con Mickey e a come Mickey lo avesse fissato con uno sguardo ardente poco prima che arrivasse Paolo, facendolo così allontanare da lui.
Era arrivata Mandy, aveva cinto le spalle di Paolo con il braccio e gli aveva messo un bicchierino tra le mani. Lui l’aveva ringraziata, lo aveva alzato verso Mickey in segno di salute e aveva bevuto. Liz si era unita a Mandy nell’adulazione del barista e Mickey aveva finito la sua birra. Erano rimasti tutti e cinque uniti in un cerchio disordinato in mezzo ai tavoli da biliardo e Paolo aveva cercato di mostrarsi gentile ed educato, ascoltando Mandy che gli elencava tutti i cocktail russi che avevano bevuto fino a quel momento, ma chiaramente era venuto lì solo per un motivo: Mickey.
Un conto era ascoltarlo blaterare sulle preferenze di Mickey, come avrebbe fatto ogni barista che si rispetti, ma un altro era guardarlo mentre gli faceva una radiografia, come se avesse voluto gustarsi l’intero menù. Ian era rimasto a fissare il suo bicchiere di coca e rum; chissà se qualcuno si sarebbe accorto di lui se fosse improvvisamente scomparso, o se a qualcuno sarebbe importato.
Il qualcuno a cui era interessato stava risistemando le palle da biliardo e Ian aveva colto l’occasione. Paolo era ancora tra le grinfie delle ragazze, troppo educato per scaricarle. – Che ne dici della scommessa? – aveva chiesto a Mickey, ma aveva desiderato immediatamente non averlo fatto. Mickey si era irrigidito e aveva colpito la palla bianca con forza sparpagliando le altre intorno al tavolo, mentre la sua testa mora era rimasta china a fissarle una a una finché non si erano fermate.
Paolo si era avvicinato a lui, spalla contro spalla. – Pensi che tua sorella stia cercando di farmi ubriacare?- aveva sussurrato con aria di cospirazione.
- Sta cercando di far ubriacare tutto il bar, non prenderla sul personale –
Paolo aveva riso e aveva appoggiato il sedere stretto nei jeans contro al bordo del tavolo per avere una vista migliore del panorama. Ian si era reso conto di sembrare uno stalker ma non riusciva a muoversi. – Magari potresti offrirmi da bere – aveva continuato con la sua voce sensuale, scivolando finché il suo fianco non sfiorava quello di Mickey.
- Ehm- aveva risposto Mickey indeciso, e Ian aveva sentito tornare un barlume di speranza. “Di’ di no. Di’ di no. Di’ di no”. – Certo –
Ian era stato risparmiato dalla risposta di Paolo grazie a Slava che gli aveva cinto le spalle con il braccio. – Ehi capo, tu hai bisogno di qualcosa da bere e io di un compagno -. Stringendo di più la presa lo aveva indirizzato verso il bancone. Il biondo gli aveva rivolto uno sguardo eloquente ma aveva deciso di ignorare il messaggio. -Vedi le due bambole laggiù? – aveva chiesto indicando un angolo lontano del bar.
- Bambole? -. Ian si era sforzato di sorridere almeno un po’.
Slava aveva riso. – Vogliono giocare a freccette. Com’è la tua mira? –
- Lo scopriremo-. Il braccio di Slava era persistente e lo aveva guidato lontano dai tavoli da biliardo; forse era stato meglio così.
- Che cosa bevi? Offro io per ricambiare il favore –
- Rum, coca e limone –
- Oh, raffinato –

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