24. SOS

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- Ma che cazzo succede? -. Le parole gli uscirono come proiettili sulla scena davanti ai suoi occhi. Intorno a lui c’era solo rumore. Le sirene della macchina della polizia che si era fermata a circa tre metri dal furgone, i tuoni nel cielo sopra di loro, tutto lo disorientava facendogli girare la testa. Slava era girato verso le sirene e Mickey osservò i suoi capelli irti scurirsi.
Cazzo, aveva cominciato a piovere. Cominciò a cadere lieve mentre i portellone del minivan dell’El Paso County Sheriff si aprivano e un gruppo di uomini saltava giù. Quando oltrepassarono il Cessna e fecero per avvicinarsi al furgone blindato, l’istinto ebbe la meglio e Mickey afferrò le maniglie dopo aver scambiato una breve occhiata con Slava, che aveva annuito e aveva fatto un passo indietro, e chiuse immediatamente i portelloni, sigillandoli di nuovo e blindandosi nel furgone con Axton.
- Cristo Santo – sbottò indietreggiando dalla posizione accovacciata e finendo proprio addosso ad Axton, il quale cadde sul sedere e spedì sul pavimento del furgone due casse contenenti le armi. –Non esiste che io perda qualcosa un’altra volta –
- Ma che diavolo… - gridò Axton, ma si rialzò immediatamente, gattonando verso l’abitacolo. – Cosa sta succedendo? –
Mickey era inginocchiato in mezzo alle sessantasette scatole. Nella mano destra teneva il GPS tascabile e premeva ripetutamente il segnale di SOS mentre impugnava saldamente la Glock con la sinistra. – Devo riflettere. Chiama i rinforzi, Axton –
- Porca puttana, non sono poliziotti Mickey. Hanno dei fucili d’assalto – sussurrò Axton sconcertato.
Le sirene si interruppero e calò un silenzio mortale; Axton aprì parzialmente la porta di accesso all’abitacolo per riuscire a vedere qualcosa almeno attraverso il parabrezza, dove due uomini, decisamente non vestiti in uniforme da poliziotto, stavano uscendo dalla macchina parcheggiata davanti a loro.
Per il momento, Mickey aveva contato sei uomini. Erano tutti sudamericani armati di fucili d’assalto e stavano per rubare degli oggetti di altissimo valore in quella che sembrava essere una squadra piuttosto ben organizzata.
SATG.
Dovevano per forza essere loro. Magari si erano espansi oltre alle loro solite rapine a mano armata o furti come aveva detto Ian, ma se messi all’angolo sembravano più che felici di tornare alle loro vecchie abitudini. Ian aveva assicurato che le armi fossero praticamente inaccessibili, eppure eccoli lì, ad un passo dal rubarle.
Un’immagine del volto di Ian gli attraversò la mente, seguita dallo stupido sorrisino di Slava, e una mano sembrò stringergli il petto. Avrebbe dovuto aspettare l’ordine di aprire la porta o aprirla subito? Cazzo, non sapeva cosa fare. L’unica cosa che sapeva era che quegli scimmioni non erano persone molto carine.
- Mickey, dovresti aprire - disse Axton come se gli avesse letto nel pensiero.
- Devo solo riflettere un secondo – sibilò tra i denti guardandosi intorno come alla ricerca di un miracolo.
- No – ripeté Axton. – Non devi. Apri la porta! –
Mickey spostò lo sguardo dalla sua faccia pulita e gli occhi imploranti.
- Quante volte Ian ci ha detto che se succede una cosa del genere non dobbiamo reagire? Non dobbiamo mettere nessuno in pericolo, ce l’ha detto almeno un centinaio di volte. Cheyenne è lì fuori –
- Lasciami pensare un attimo, cazzo. E chiama i fottuti rinforzi, Axton –
L’uomo sbuffò e si sedette sui talloni rivolgendogli uno sguardo duro mentre premeva continuamente il tasto del microfono sul localizzatore satellitare, elencando coordinate e informazioni nel ricevitore. Ma alla fine fu la voce di Ian a forzargli la mano, aprendo di nuovo la comunicazione con lui.
“Mickey”
Fu tutto ciò che disse e tutto ciò che servì. Seguì un urlo, un rumore di colluttazione e poi silenzio. Mickey si accovacciò di nuovo e sganciò il catenaccio, in preda alla rabbia accecante e alla paura. Il pensiero che la storia si stesse ripetendo lo avrebbe tormentato per tutta la vita ma niente era paragonabile alla perdita di anche solo una delle persone lì fuori.
Prima di tirare indietro il catenaccio aprì il microfono per avvertire quei bastardi ed evitare che lo colpissero quando avrebbe aperto le portiere. O almeno così sperava… - Sto aprendo -. Si girò a guardare oltre la propria spalla. – Chiuditi davanti, Axton. Uno di noi due deve restarne fuori –
I portelloni si spalancarono e si ritrovò davanti un’altra volta pioggia, luce e la fusoliera del Cessna. Ma questa volta, invece del sorriso complice del suo collega, incrociò occhi incupiti e rabbiosi e pelle butterata e coriacea. Guardò dietro a questa prima figura, trovano Ian inginocchiato sull’asfalto in mezzo a Slava e Cheyenne, le mani alzate dietro la testa. Vide anche il logo di Elite Security sul petto di Slava, il che significava che stava guardando la sua maglietta e non il giubbotto antiproiettile: non c’era più. Spostò lo sguardo anche su Ian.
Merda.
Il sudamericano davanti a lui imbracciava un fucile d’assalto che Mickey ebbe appena il tempo di riconoscere come un M-16 prima di essere afferrato, trascinato fuori dal furgone e buttato per terra con la faccia sull’asfalto bagnato. Qualcuno premette la canna di un altro M-16 sul suo collo, provocandogli un sussulto.
Riuscì a malapena a girare la testa sull’asfalto ruvido che gli graffiò la guancia, ma vide parecchi uomini allineati tra le macchine della polizia e il retro del furgone che si passavano a braccia le casse contenenti le armi. Probabilmente avevano capito che il furgone era munito di GPS e scaricare le casse sarebbe stato più veloce che cercare i localizzatori.
La pressione della canna sul suo collo diminuì quando l’uomo si girò verso gli altri ad urlare ordini in spagnolo. Mickey cercò di appoggiarsi sulle mani e alzarsi per vedere quanti uomini ci fossero e riguadagnare un po’ di controllo  ma uno stivale lo colpì sul fianco e lo rigirò sulla schiena. La pioggia gli inondò gli occhi, costringendolo a sbattere rapidamente le palpebre per guardare l’uomo che lo fissava a sua volta rabbioso. Si scambiarono un lungo sguardo ostile e questa volta la canna aderì sulla sua fronte.
- Basta! –
Mickey serrò così tanto la mascella da farsi male ai denti. Fu travolto dalla tentazione di urlare ad Ian di stare zitto e non attirare l’attenzione su di loro. Erano passati cinque minuti da quando avevano udito le sirene e ce ne sarebbero voluti parecchi prima che arrivasse qualcuno in soccorso. Anche se in quel momento fosse arrivata la sicurezza dell’aeroporto, non sarebbero stati preparati. Sarebbe servita una squadra SWAT.
- In piedi, pendejo – ringhiò l’uomo che lo teneva sotto tiro. Mickey si stropicciò gli occhi per vedere meglio e cercare Ian mentre si rigirava sul fianco ma probabilmente non fu abbastanza veloce perché l’uomo caricò l’M-16.
Mickey amava le armi, da sempre. La potenza, la precisione, la meravigliosa simmetria dell’insieme, ma odiava che un’idiota qualsiasi sulla faccia della terra potesse metterci sopra le sue stupide mani. Era un insulto a quelli che rispettavano quanto potessero essere pericolose. E ora uno stronzo sudamericano stava usando una cosa che amava per obbligarlo a fare qualcosa che odiava.
Arrendersi.
La canna si spostò sopra al suo orecchio quando si mise in ginocchio e incrociò le mani dietro alla testa.
- No! –
Oh Ian, dai amore, stai zitto.
Non poteva dirlo ad alta voce per paura di attirare l’attenzione sul suo punto debole. Ma ormai era troppo tardi. Il fucile si spostò dalla sua tempia e l’uomo si girò verso il gruppo in ginocchio davanti al Cessna. – Tráeme el perrojo –
Dieci anni di viaggi in Messico gli avevano insegnato un po’ di spagnolo e quello che udì gli fece contrarre la mascella per la rabbia e il fottuto terrore. Il rosso.
Il ragazzino dietro ad Ian puntò il fucile contro alla sua schiena fino a farlo alzare in piedi in modo impacciato, spingendolo ancora una volta per incitarlo a muoversi più velocemente in direzione di Mickey. Tenne le mani dietro alla testa mentre avanzava esponendo la camicia sotto alla giacca del completo, ma niente giubbotto antiproiettile o Glock.
Mickey guardò Slava, che seguiva Ian con lo sguardo. Il suo volto era inespressivo, quasi di ghiaccio, ma chiuse la mano sinistra a pugno dietro alla testa stringendo due volte le dita, il bicipite contratto.
“Trattieniti”.
Stava avvertendo Mickey di non fare l’eroe. Sperava sicuramente di non dover arrivare a quel punto ma di sicuro non li avrebbe lasciati avvicinarsi ad Ian senza prima ribellarsi. Mickey sapeva che lo avrebbe protetto anche a costo della vita. Le cose stavano così e basta, come sapeva sarebbero state fin dall’inizio. Ecco perché aveva combattuto quel sentimento con così tanta ostinazione ed ecco perché sarebbe stato pronto a combattere ora. Quando si trattava di Ian, sì, avrebbe fatto l’eroe.
Ian fu condotto sul retro del furgone. I loro occhi si incrociarono per la prima volta dal cortile degli Handley. Ian gli era sembrato piuttosto stressato, ora sembrava totalmente esaurito. Ma rallentò i passi, fissando Mickey inginocchiato a pochi metri da lui. Per due brevi secondi furono liberi di guardarsi.
- Mi dispiace -. Vide le labbra di Ian muoversi per formare quelle uniche due parole e Mickey sperò che lui potesse capire dal suo sguardo che ci sarebbero stati l’uno per l’altro. Non importa cosa sarebbe successo, Ian avrebbe potuto contare su di lui.
Ma il momento finì in fretta perché lo stronzo dietro di lui spinse Ian un’ultima volta verso il furgone dove quello che doveva essere il suo capo aveva posizionato le ultime tre casse di fronte a lui. -Aprile – sbottò colpendo la prima cassa, la più grande, con la canna del fucile.
- Non sa il codice – scattò Mickey. Non conoscere il codice faceva parte del protocollo standard, sia per evitare possibili furti interni sia per eludere le domande di possibili criminali esterni. Il fucile fu puntato in faccia a Mickey e Ian gemette. Poi si girò verso le casse e inserì il codice senza esitazione. La cassa si aprì subito.
- Prendi il localizzatore – ordinò l’uomo facendosi da parte così che Ian avesse una chiara visuale del fucile puntato alla testa di Mickey. – Vàmonos –
Ian infilò la mano nella spugna sagomata che circondava la pistola, rimosse il piccolo dispositivo di forma circolare, lo gettò in fondo al furgone e passò subito alla seconda cassa. In modo efficiente, quasi come se fosse preparato.
Ma che cazzo?
Mickey scosse la testa cercando di liberare la vista offuscata dalla pioggia. Nella testa cominciarono a frullargli parecchie domande. Come faceva il criminale a sapere quali casse fossero provviste di GPS e perché diavolo Ian conosceva il codice per sbloccarle? Seguiva sempre il fottuto manuale alla lettera.
Quando Ian avvicinò la terza, udirono altre sirene in avvicinamento. Mickey era sicuro che fossero i rinforzi ma era troppo tardi. Il rumore spaventò Ian e inserì il codice sbagliato, guardando oltre la spalla l’uomo che imbracciava il fucile, che spinse la canna talmente forte contro alla tempia di Mickey che la testa gli cadde di lato sulla sua mano, corrugando furiosamente le sopracciglia e cominciando ad urlare allo stronzo ogni genere di oscenità. Si assicurò che fossero tutte in spagnolo così non ci sarebbero stato nessun problema di comunicazione.
Ma si rese conto che forse non era una brillante idea quando l’uomo si avvicinò, torreggiando su di lui e bloccando quei pochi raggi di sole che cercavano di insinuarsi tra le nuvole con la sua figura. Questa volta, quando cominciarono un’accesa lotta di sguardi, il criminale gli sorrise ma questo non lo tranquillizzò affatto. La canna gli accarezzò la tempia, scese lungo il viso, seguì il contorno della guancia e della mascella e scivolò sotto al suo mento, costringendolo a reclinare la tesa all’indietro fino a quando non riuscì più a piegare il collo. Moriva dalla voglia di strappargli di mano l’arma ma Ian ora li stava guardando. Doveva aver inserito il codice corretto e rimosso anche l’ultimo GPS, perché ora era immobile in attesa di altri ordini.
Quando l’uomo lanciò un’occhiata ad Ian, la canna spinse dolorosamente nella gola di Mickey, finendo quasi con lo strozzarlo, e Mickey afferrò istintivamente l’arma. Un tuono assordante esplose sopra di loro, talmente forte da fargli vibrare tutto il corpo con un sussulto.
Ma non tanto forte quanto la voce di Ian.
- NO! –
Ian si lanciò sull’uomo con tutto il suo peso, facendolo cadere di lato e trascinando Mickey con loro.
- NO!-
Mickey cercò di capire cosa stesse succedendo esattamente; la sua spalla sbatte’ per terra e il gomito sfregò sull’asfalto ruvido. L’uomo indietreggiò allontanandosi da Mickey e spedì Ian per terra. Prima che il rosso potesse ritornare all’attacco e concludere qualsiasi cosa gli fosse venuta in mente, risuonò il boato di uno sparo, tagliando l’aria più di un tuono e terrorizzando Mickey ancora di più perché lo sapeva. Sapeva che il colpo era diretto ad Ian, che non te la cavavi se attaccavi il capo anche senza armi. Lo sapeva perché fu sicuro di sentirlo sulla propria pelle quando Ian barcollò cadendo sulle ginocchia e si afferrò le costole.
Mickey scalciò come un forsennato liberando le gambe dal corpo dell’uomo caduto sopra di lui, sorpreso dal suo stesso colpo. Strisciò indietro e gattonò disperatamente verso Ian. Sentiva delle parole uscire dalla propria bocca e, anche se non era sicuro di cosa stessero dicendo esattamente, era abbastanza sicuro che la maggior parte fossero “Ian”.
Era accasciato contro ad uno dei portelloni, i capelli scuriti dalla pioggia e completamente smessi. Irrazionalmente, Mickey avrebbe voluto passarci in mezzo le dita finché non fossero stati perfettamente pettinati. Ian aprì gli occhi quando Mickey gli afferrò le braccia.
- Stai bene? -. Il tono di Ian era secco ma si abbandonò pesantemente alla presa di Mickey, ispezionando il suo corpo alla ricerca di possibili ferite.
- Sì, credevi… credevi che mi avessero sparato? -. Vedeva il sangue macchiare sempre di più la sua camicia. Ma prima di poter fare qualsiasi cosa doveva portarlo al sicuro.
- Non è così? – ansimò, il petto che si alzava e abbassava rapidamente.
- Dio santo, era un tuono, non uno sparo –
Mickey udì vagamente delle voci, il suono continuo delle sirene e il rombo dei motori ma non riusciva a fare mente locale e non capiva perché nessuno gli stesse impedendo di trascinare Ian dalla parte opposta del furgone, lontano dal caos. Dopo averlo sistemato con la schiena contro alla ruota posteriore, si mise a cavalcioni su di lui e gli aprì un bottone della camicia per poi strappare tutti gli altri, scoprendo non solo quel petto solido che adorava così tanto ma anche troppo sangue.
- Cazzo Ian, ci hai sempre detto di non reagire – sibilò in tono rabbioso. – C’è scritto nella sotto-sezione, o come cazzo si chiama, di quel fottuto manuale -. Stava praticamente urlando ora, quasi al limite di una crisi isterica, mentre tutto ciò su cui posava le mani era zuppo di pioggia e sangue rendendogli impossibile capire dove lo avesse colpito il proiettile.
- Mi dispiace, Mickey – biascicò Ian sussultando ad ogni movimento delle mani di Mickey. Abbassò la testa guardando il suo corpo. – Credo che mi abbiano colpito –
- Ian – sussurrò Mickey. Doveva fare subito pressione sulla ferita per fermare il sangue. Aprì il giubbotto antiproiettile, lo lanciò via e si sfilò la maglietta, la appallottolò in uno straccio improvvisato e lo premette sotto alle costole di Ian. Imparare che la pressione esercitata doveva essere al limite del doloroso faceva parte della formazione medica standard, quindi si preparò alla reazione travagliata di Ian. Colpì Mickey dritto a cuore come un vero e proprio sparo ma durò pochi secondi e Ian sembrò rilassarsi di nuovo, probabilmente sul punto di svenire.
Mickey si scervellò su cosa fare senza un kit di pronto soccorso adeguato. La localizzazione della ferita era un'aggiunta. Era lontana da cuore e polmoni, probabilmente era stato colpito un organo minore, ma ciò che lo preoccupava erano le dimensioni del proiettile e la distanza da cui lo aveva  colpito. Un M-16 era letale, più di qualsiasi pistola. Non sapeva chi avesse fatto fuoco ma chiunque fosse stato non era lontano. Era stata la velocità a provocare la maggior parte del danno.
Cazzo. Cercava di ripercorrere tutti gli eventi nella sua testa per capire cosa avrebbero potuto, e avrebbero dovuto, fare diversamente. E chi avrebbe dovuto uccidere se fosse successa qualsiasi cosa ad Ian.
La maglietta di cotone diventava sempre più zuppa e aumentò la pressione. Ian aprì gli occhi, guardandosi freneticamente intorno per poi posarli su Mickey. – Cosa… aaaahhh! -  gridò cercando di respingere la mano che premeva sul suo fianco, ma Mickey lo bloccò fermamente alla ruota con la mano libera.
- Smettila di muoverti, cazzo. Ti hanno sparato, Cristo Santo –
Ian sbatte’ le palpebre; si sforzava di tenere gli occhi aperti ma la pioggia e la perdita di sangue glielo rendevano piuttosto difficile. – Stai bene? –
- Gesù, sì -. Cercò di rivolgergli un sorriso rassicurante.
- Cazzo – gemette di nuovo Ian espirando lentamente attraverso le narici. – Credevo che avessimo tutto sotto controllo –
- E invece… - sbottò Mickey asciugando il proprio viso e quello di Ian dalla pioggia. – Ma dove diavolo sono finiti tutti? -. Aveva messo Ian al sicuro ma così non vedeva più che cosa stesse succedendo dall’altra parte.
- Dovrebbero essere già arrivati – mormorò Ian; il suo viso si rilassò e chiuse gli occhi, lasciando  cadere lentamente la testa sul petto.
Mickey si sentiva sul punto si soffocare ed ebbe l’impulso di urlare ma Ian aveva bisogno che mantenesse la calma. Espirò dal naso come Ian; forse aveva bisogno di un po’ di yoga. – Ehi – chiamò ma non ottenne risposa. – Ian, svegliati –
Ancora niente, e Mickey strinse istintivamente le labbra per il bisogno di urlare con tutta la forza che aveva nei polmoni. – Ian – riprovò. – Resta con me. Ti prego amore, su –
Ian riaprì gli occhi un paio di volte in rapida successione. Quando rimasero definitivamente aperti le sue labbra si incurvarono verso l’alto e alzò la mano abbandonata sull’asfalto bagnato, appoggiandola sulla coscia di Mickey. – Mi hai chiamato amore? -. Gli strinse leggermente la coscia e lasciò cadere di nuovo la mano per terra. – Dillo ancora –
Mickey avrebbe voluto piangere. Un nodo gli costringeva la gola e non era sicuro di riuscire a dirlo senza crollare.
- Non fa niente, non… -. Ian chiuse gli occhi, un’espressione di dolore sul viso.
- Ian, amore, guardami -. Dopo aver pronunciato quelle parole la sua voce era più calma, decisa. Sarebbe crollato più tardi, quando sarebbero stati accoccolati insieme nel letto discutendo su chi avesse infranto quale fottuta regola del manuale. – Guardami per favore –
Quel paio di occhi verdi cercò di concentrarsi su di lui ancora una volta. – Certo, dove altro dovrei guardare? Sei molto carino -. Le sue labbra si incurvarono in un piccolo sorriso ma Mickey vedeva quanto si stesse sforzando. Appoggiò la fronte contro a quella di Ian sentendo la sua pelle fredda.
- Ti amo. Ti prego, resta con me okay? –
- Non odiarmi -. Prima che Mickey potesse capire il senso delle sue parole, Ian continuò. – Incastrati-
Si, li avevano incastrati, era ovvio. Qualcuno li aveva traditi, qualcuno che conosceva il loro itinerario e i loro tempi. Qualcuno che sapeva che il furgone era munito di GPS, che sapeva quali casse contenessero i localizzatori.
- Hanno preso i diamanti? –
La voce di Ian lo riscosse dal suo vortice di pensieri. Cosa? – Vuoi dire le armi? –
- Armi – ripeté Ian. -Sì, le armi –
- Perché conoscevi il codice, Ian? -. Ma il rosso stava di nuovo chiudendo gli occhi. Mickey gridò al proprio cervello di stare zitto, con tutte le cose che lo costringeva a pensare. Non avrebbe mai creduto che Ian potesse averli traditi.
Mai.
Non quando una voce nella testa gli suggeriva che Ian conosceva tutti i dettagli del piano. Non quando gli ricordò che era con loro solo da poche settimane. Non quando gli ricordò che Ian non gli aveva mai detto con chi avesse parlato al telefono quel giorno a Sotheby. Non quando gli ricordò di aver visto i documenti sul SATG sui sedili posteriori della Escalade.
Dovevano solo andarsene da lì, così avrebbe potuto pensare più chiaramente. Sembrava passata un’ora ma erano trascorsi solo una quindicina di dannati minuti da quando aveva aperto il furgone e si era ritrovato davanti il brutto muso di Slava che gli sorrideva.
Porca puttana, Slava! Non aveva sentito spari e le sirene sembravano provenire dall’hangar ma il suo collega sarebbe stato lì ad aiutarlo se avesse potuto. Fu pervaso da un’altra ondata di terrore e adrenalina e credette di essere sul punto di vomitare. Non aiutava che ora la sua mano fosse coperta di sangue di Ian.  La maglietta non era più molto utile e l’unica cosa a fermare il flusso di sangue era la pressione che stava esercitando. La sua preparazione medica non era sufficiente ad aiutarlo, a  parte ricordargli che il tempo ideale per trattare una ferita di arma da fuoco erano dieci minuti.
Doveva portare Ian via da lì. La portiera del furgone dalla parte dell’autista era chiusa ma non poteva comunicare con Axton in nessun modo e non poteva nemmeno smettere di fare pressione sulla ferita. Il GPS gli era caduto quando lo avevano buttato giù dal furgone. Non aveva via d’uscita.
- Andiamo in Messico? – mormorò Ian. Il suo corpo era completamente rilassato, solo le mani di Mickey lo tenevano su.
- Sì, presto. Molto presto -. Lo baciò sulla fronte, trattenendo le labbra contro alla pelle morbida e bagnata. – Sandali e tequila -
- Crema solare –
- Cazzo, sì -. E Mickey pianse, forse giusto un pochino, ma la pioggia lavò via le lacrime quindi non ne era sicuro.
- Prima devo andare via –
Mickey si staccò da lui.
- Mick! – urlò Slava accovacciandosi di fianco a lui, la mano appoggiata sulla sua spalla. – L’ambulanza è arrivata –
All’improvviso ci furono persone ovunque che lo allontanarono e sollevarono velocemente Ian su una barella. La pioggia diminuì e il cielo si tinse di azzurro; gli sembrava così sbagliato in quel momento.
- Mickey? – lo chiamò Ian dalla barella.
- Sono qui – rispose facendosi stretto per infilarsi in mezzo a due uomini, uno in uniforme da paramedico che gli bendava il fianco e l’altro con un completo blu scuro e occhiali da sole, che bloccò il passaggio a Mickey – Sono qui – ripeté in tono fermo. Potevano anche sparargli ma non avrebbe lasciato Ian. Appoggiò la mano sulla sua, abbandonata sulla coperta; il tessuto bianco si macchiò immediatamente con il sangue incrostato sulla mano di Mickey. Il sangue di Ian. I loro occhi si incontrarono, quelli colmi di panico di Mickey fissi dentro quelli annebbiati di Ian, in cerca di risposte, promesse, ma più di tutto rassicurazione.
Non lasciarmi, avrebbe voluto implorare.
- Mi scusi – disse il paramedico spingendogli via gentilmente il braccio. – Deve spostarsi –
- Mickey – ripeté Ian piano, il viso sporco di un miscuglio di sangue e pioggia. – Devo andare –
- Sì, all’ospedale – annuì alle parole di Ian anche se i suoi occhi verdi ora erano chiusi e sembrava svenuto. – Vengo con te – sussurrò.
Cominciarono a muovere la barella verso l’ambulanza. Mickey notò distrattamente che le macchine Sheriff’s erano sparite e avevano preso il loro posto alcuni veicoli della sicurezza aeroportuale di El Paso, vetture del Customs and Border Control, una macchina della polizia federale e l’ambulanza.
- Signore, deve allontanarsi dalla barella ora – ripeté quel fastidioso paramedico. – Dobbiamo caricare il paziente –
- Vengo anch’io – ringhiò, sperando che qualcuno lo ascoltasse. Era ridicolo, lo sapeva, Ian aveva bisogno di essere visitato subito, ma sapeva anche che non lo avrebbe perso di vista per un secondo.
- Che relazione ha con il paziente? – chiese l’uomo seguito da un altro che si avvicinò alla barella.
- Sono il suo… -. La voce gli morì in gola per le lacrime. “Tutto” avrebbe voluto dire.
- Compagno – rispose Slava dietro di lui. – È il suo fottuto compagno –
- Beh… - disse il paramedico afferrando la leva per abbassare la barella e prepararla ad essere caricata sull’ambulanza. Slava oltrepassò Mickey, sporgendosi verso l’uomo.
- In tutti i sensi –
Prima che chiunque potesse dire altro, un voce profonda lì interruppe. L’uomo imponente in completo e occhiali da sole si intromise nello spazio personale di Mickey. – Stai indietro –
- Vaffanculo - sputò Mickey sentendo salire in superficie ed esplodere tutta la rabbia accumulata negli ultimi quindici minuti. – TU stai indietro -. Si ritrovarono muso a muso ma la loro differenza di altezza probabilmente lo rendeva solo ridicolo. Doveva piegare il collo per riuscire a guardarlo.
- Non andrà a finire bene per te, ti avverto –
- Ti sembri che me ne freghi qualcosa? – sputò. – Federale del cazzo –
- Mick – lo chiamò Slava afferrandogli le braccia per tirarlo indietro. – Vedremo che cosa fare poi, lascialo andare ora –
- Ma… -. Non sapeva cos’altro dire. Ora Ian era in quell’ambulanza e le porte si stavano chiudendo. Sembrò ricordare improvvisamente che Ian poteva anche essere in pericolo di vita e lui se ne stava a discutere con degli idioti. – E va bene, cazzo -. Si scrollò Slava di dosso e si girò lasciandosi l’ambulanza alle spalle. Era pieno di persone che camminavano, parlavano, gesticolavano. Cheyenne e Axton stavano avendo una conversazione privata con un poliziotto, i due piloti con un altro. Nessuna traccia dei criminali o delle fottute casse di armi.
Una folata di vento attraversò l’hangar e Mickey rabbrividì; cercò di chiedersi che cosa sarebbe successo ora ma si sentiva perso. Slava gli stava parlando, gli spiegava che i ladri erano passati attraverso un buco che avevano tagliato nella cancellata che circondava l’aeroporto, scappando nello stesso modo. Avevano lasciato la macchina della polizia parcheggiata davanti al furgone di Elite perché i loro minivan rubati erano adibiti a tutti i tipi di terreno. Erano fuggiti sulle montagne.
- Siamo stati incastrati, Mick – continuò Slava. Mickey fu attraversato da un altro brivido. – Come due anni fa –. La sirena dell’ambulanza interruppe Slava ma la sua mano sulla spalla di Mickey lo distrasse dal veicolo che partiva. – Vieni a metterti una maglia, okay Mick? –
La sua voce era gentile, così gentile che Mickey dovette abbassare lo sguardo sul proprio corpo. Non si era nemmeno reso conto di essere mezzo nudo e prese un respiro pesante quando si ricordò il perché. Sotto alla pelle nuda, il suo cuore si stava spezzando. Incurante del sangue sulle mani, si premette i palmi sugli occhi.

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