12. Effetto collaterale

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Mandy era appoggiata al bancone della cucina e ammirava il fichissimo corriere mentre faceva retromarcia con il furgone nella zona di scarico merci davanti al suo palazzo. Veniva ogni mattina e aveva impostato il timer della macchina del caffè sull'orario delle sue consegne per poter cominciare bene la giornata con una vista del suo sedere stretto in quell'orrenda uniforme marrone. Ma quel giorno indossava un paio di pantaloni corti che mettevano in mostra i polpacci definiti per la prima volta da quando aveva istituito il suo rituale mattutino. Non sapeva che cosa stesse aspettando per trovare l’occasione di incontrarlo; probabilmente ci metteva così tanto perché non voleva rischiare di rovinare la sua fantasia dell’uomo perfetto facendogli aprire bocca. Ma mancava poco; gli stivaletti che aveva ordinato da Amazon sarebbero arrivati il giorno dopo secondo i piani, e non avrebbe scoperto solo se avesse un cervello che valeva tanto quanto il suo culo, ma lo avrebbe anche visto in faccia. Era sempre parzialmente nascosta dietro al cappellino della ditta, e quindi una mascella definita e accuratamente rasata era tutto ciò che riusciva ad intravedere.
Proprio quando il tizio scese dal retro del furgone con una scatola dall’aria piuttosto pesante e si avviò verso l’edificio dalla parte opposta della strada, il cellulare di Mandy si illuminò distraendola momentaneamente.
Ian.
Non lo sentiva dalla loro partenza per El Paso ma a giudicare dai ridicoli tentativi passivo aggressivi di Mickey di intimidirla aveva immaginato che avessero trovato una sistemazione, sperando magari che l’avessero persino sfruttata a loro favore. Selezionò l’icona dei messaggi e si accigliò, pervasa da una lieve sensazione di panico.

“Mickey sta tornando.Per favore, cambia la prenotazione del mio aereo per questa sera se ci sono posti disponibili"

Anche se il messaggio era piuttosto pacifico e non sembrava sospetto, Mandy aveva una certa dose di esperienza per esserne scettica. Sorseggiò il caffè bollente, scottandosi la lingua e alimentando ancora di più la fastidiosa sensazione di aver probabilmente combinato un disastro.

Tre ore dopo diventò una vera e propria convinzione quando Mickey passò davanti al suo cubicolo. Si aspettava un’occhiata in cagnesco e un paio di insulti per aver ficcato il naso nei suoi affari, ma lui non la guardò nemmeno e continuò semplicemente a camminare fino a scomparire dietro l’angolo. – Oh merda – sussurrò Mandy tra sé e sé. Era peggio di quanto pensasse.
Per quanto morisse dalla voglia di sapere che cosa fosse successo tra loro, era anche spaventata dall’umore nero di suo fratello. Decise di lasciargli un po’ di spazio e fece invece capolino nel cubicolo di Slava per un po’ di supporto, ma era vuoto. Si morse il labbro, riflettendo un attimo, e decise di lasciar perdere per il momento. A Mickey sarebbe passata, faceva sempre così. Ma poi Mandy si ricordò che Mickey non aveva mai mostrato un reale interesse per un ragazzo prima d’ora e qualsiasi cosa provasse per Ian era territorio inesplorato. Cavolo, forse era troppo, troppo presto per spingerlo verso di lui.
Cazzo, cazzo, cazzo.
Aprì il calendario virtuale di Google e controllò l'agenda di Mickey. Presto sarebbe dovuto andare in aeroporto a prendere Clive Janssen, l’amministratore delegato della Helix Pharmaceutical e lo avrebbe scarrozzato in giro per tutta la settimana, quindi sarebbe stato fuori ufficio per la maggior parte del tempo. Mandy prenotò il volo di ritorno di Ian per la mattina seguente e quando lo comunicò ad Ian lui rispose che sarebbe venuto direttamente in ufficio una volta atterrato. Questo le avrebbe dato un paio di giorni per scoprire che cosa fosse successo a El Paso, ma prima doveva convincere quel testone di suo fratello a parlarle.

Allora di pranzo, Mickey passò di nuovo davanti al suo cubicolo come se lei non esistesse. Ignorando il campanello d’allarme che la avvertiva che fosse ancora troppo presto, lo seguì fino alla reception dove stava aspettando l’ascensore. – Mick? –
Niente.
- Va tutto bene?-
Il segnale acustico che annunciava l’arrivo dell’ascensore cominciò ad agitarla e sussultò appena. Le porte si aprirono e Mickey entrò e si girò verso al pannello dei tasti. Raddrizzò la schiena e incrociò il suo sguardo, e Mandy fece un passo indietro. Cazzo, era arrabbiato con lei. Piegò la testa in un gesto di scuse ma lui evitò il suo sguardo e le porte si richiusero. – Cazzo, cazzo, cazzo -. Kyle alzò la testa per guardarla dal bancone della reception, attirando la sua attenzione sulla donna anziana seduta in sala d’attesa. Mandy le sorrise in segno di scuse e se ne andò.
Okay, aveva bisogno di un piano, cosa che però richiedeva sapere che cosa diavolo fosse successo tra loro. Mickey non voleva parlare con lei, ma magari sarebbe stato più ben disposto con il suo socio. Si precipitò nell’ufficio di Slava e gli tolse una delle cuffie nere che indossava. – Slava – lo chiamò sporgendosi verso il suo orecchio, per poi rimettergli la cuffia.
- Che c’è? – urlò lui in risposta.
Mandy aspettò che si fosse tolto le cuffie. – Mi sa che ho fatto un casino, Slava –
- C’entra l’incazzatura di tuo fratello? –
Mandy si tiro’ le maniche del maglione e spostò il peso da un piede all’altro. Non era il tipo da sentirsi in colpa, era il tipo che faceva ciò che andava fatto.
- Forza, allora – suggerì lui. – La mia borraccia è vuota. Spiegami mentre faccio il pieno –

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