Dal suo tavolo isolato in un angolo, Ian aveva osservato al porta di “Benitto’s Cantina” aprirsi e chiudersi per quasi due ore. Ogni volta che la porta si apriva lasciando penetrare un fascio di luce che illuminava il pavimento di legno, sentiva le proprie viscere contorcersi per l'ansia, il terrore, la speranza, una combinazione letale che presto avrebbe dovuto sfogare in qualche modo o sarebbe partito di testa. Aveva già perso la pazienza con la cameriera che gli aveva chiesto gentilmente in un inglese stentato se volesse ancora da bere.
Dopo quattro giorni di passeggiate per Guayabitos e di visite quotidiane alla “Cantina” era pronto a rivedere Mickey. Se la stava facendo sotto dalla paura ma era pur sempre pronto. Non lo vedeva da cinquantasette giorni e non aveva idea di come fosse riuscito a sopravvivere così tanto. Prima di El Paso sopportava a malapena di stare una sola notte senza di lui. Magari da quel giorno in poi non l’avrebbe più passata da solo. O magari l’avrebbe passata da solo per il resto della sua vita.
No, non avrebbe gettato la spugna ancora prima che Mickey arrivasse al villaggio. Restò aggrappato al suo asso nella manica, alla sicurezza che Mickey avrebbe voluto sapere ciò che sapeva lui. Ma dopo, probabilmente, lo avrebbe mandato a quel paese, quindi Ian doveva provargli di meritarsi una seconda possibilità prima di raccontargli tutto ciò che sapeva su quelle rapine.
Forse gli avrebbe fatto comodo un terzo drink, quindi cercò di attirare l’attenzione della cameriera, la quale però non era più così propensa ad avere a che fare con il rosso lunatico che aveva stabilito dimora fissa alla “Cantina” negli ultimi giorni. Ian si alzò e si avvicinò al bancone per ordinarsi da solo una piñacolada. Lo avrebbe aiutato a rilassarsi un po’. Mentre si alzava dal tavolino si passò una mano tra i capelli, toccando morbide onde invece della solita pettinatura precisa e ordinata; gli confermò che la persona nuova che era diventato grazie a Mickey aveva il coraggio giusto per fare ciò che andava fatto.
Prima che potesse fare un altro passo, la porta si aprì ed entrò Mickey. Rimase immobile nella luce del tramonto mentre abituava la vista a quella soffusa del locale e Ian rimase semplicemente a fissarlo, lasciando che ogni dettaglio dell’uomo, ogni suo tratto, lo riempisse d’affetto; la canotta nera, i jeans Levi’s larghi, i suoi pungenti occhi azzurri che vagavano per la stanza per poi fermarsi bruscamente su Ian.
Inizialmente, non era sicuro che Mickey sarebbe passato da Benitto’s non appena arrivato, ma l’istinto gli aveva suggerito che probabilmente avrebbe voluto bersi una birra e mangiare qualcosa. Ma guardandolo socchiudere lentamente gli occhi, Ian sentì crescere il panico al pensiero che forse avrebbe dovuto aspettare che avesse mangiato e si fosse rilassato un po’ dopo il lungo viaggio per strada da Puerto Vallarta prima di sganciargli quella bomba. L’espressione sul viso del moro lo intimoriva, cercando di fargli dimenticare tutto il suo coraggio. Era ovvio che non fosse contento di vedere Ian nel suo buco di bar preferito, quindi non si aspettava proprio che lo accogliesse a braccia aperte. Ma quello che si aspettava ancora meno era che lo ignorasse e si girasse dall’altra parte.
Uscì dalla porta secondaria che dava sul patio. Ian esitò; forse era meglio dargli tempo di abituarsi per un attimo alla sua presenza per poi magari seguirlo. Ma aveva troppa paura che Mickey salisse sulla sua moto e sparisse da un’altra parte del Messico, quindi decise di farlo subito.
Quando uscì sul patio, Mickey era già sceso sulla spiaggia quindi Ian si infilò in mezzo ai tavoli di plastica colorati per stargli dietro. Ormai stava calando la notte ma la luna era quasi piena in cielo e la luce che proveniva dagli stabilimenti sulla spiaggia illuminava abbastanza l’ambiente circostante da permettergli di vedere dove stava andando. Lo vide rallentare per la difficoltà di camminare con dei sandali in mezzo alla sabbia, e Ian scalciò via semplicemente le proprie infradito non appena ebbe raggiunto il limite del patio di legno e il filare di palme che delimitavano Banderas Bay. Da lontano scorse una famiglia di quattro persone chiudere il loro ombrellone e avviarsi con i bambini verso la strada. A parte loro, erano le uniche persone sulla spiaggia.
Mickey non si era girato a guardare indietro neanche una volta ma probabilmente sapeva che Ian lo stava seguendo lungo la riva. Se avesse voluto davvero andarsene via sarebbe uscito dalla porta principale e sarebbe partito sulla sua moto. Invece si stava dirigendo verso un mucchio di scogli. Era una zona piuttosto isolata ed era il posto perfetto per parlare. O per mandare a fanculo qualcuno.
Ora che stava succedendo davvero, che si trovava con Mickey sulla spiaggia, riflette’ che forse aveva bisogno di più tempo per pianificare tutto e fare le cose come si deve. E se avesse rovinato tutto e detto la cosa sbagliata? E se non avesse mai più avuto un’altra possibilità di rimediare? E se…
Mickey interruppe la propria camminata energica e si fermò a pochi metri dalla riva rocciosa, lasciando cadere sulla sabbia lo zaino che portava in spalla. Si girò a fissare Ian con le braccia conserte con aria di sfida. Ian aveva la gola secca e il cuore gli martellava nel petto colmo di paura e speranza. Finalmente c’erano solo pochi metri di sabbia tra loro ma un vasto oceano di incomprensioni.
Ian si infilò le mani nelle tasche dei pantaloncini per tenerle a bada mentre parlava. – Ti trovo bene – disse, lasciando intendere molto più di quanto quelle tre semplici parole potessero esprimere. Doveva aver tagliato i capelli di recente e la canotta nera metteva in risalto le sue spalle e le braccia. – Sei passato ben oltre i 240 kg a quanto vedo –
Mickey fece spallucce, contraendo i muscoli nel movimento, e Ian cominciò a credere di poter esplodere se non l’avesse toccato subito. I suoi capelli, il suo viso, il suo corpo… ogni parte massiccia e solida di esso. Ora non provava più solo paura e speranza ma anche desiderio, e sapeva bene quanto questo lo rendesse vulnerabile e più incline a cedere ai propri impulsi, come accadeva quando era travolto da forti emozioni.
Alzò gli occhi verso il cielo notturno e fece un paio di respiri profondi poi tornò a guardare Mickey, sorridendogli timidamente per dimostrargli che non era venuto lì con l’intento ostile di attaccarlo. Era lì come alleato, non come nemico.
Il continuo scroscio delle onde riempiva il silenzio e la brezza tropicale soffiava in mezzo a loro. Era tutto così stupidamente romantico e dolorosamente perfetto per quel momento, e Ian pregò che Mickey provasse la stessa cosa.
- Come cazzo facevi a sapere che sarei stato qui? –
Non era proprio così che sperava di cominciare perché Mickey si sarebbe solo incazzato ancora di più, ma alla fine niente di ciò di cui avrebbero dovuto parlare sarebbe stato facile. – Beh, tecnicamente… - cominciò, ma si interruppe, ripercorrendo con la mente i loro ricordi. Magari era solo un illuso ma sperava che Mickey si addolcisse almeno un minimo.
- Rispondi alla cazzo di domanda o me ne vado. E questa volta non mi seguirai –
Che illuso, per l’appunto.
- Non prendertela con lei. Non è colpa sua -. Non avrebbe fatto direttamente il nome di Mandy, si sentiva già abbastanza in colpa per averla messa in mezzo, anche se tecnicamente si era messa in mezzo da sola, e non ne avrebbe approfittato. – Vuole solo il meglio per te –
- Ti sei messo in contatto con lei? –
- Sì. Pensavo… pensavo che fosse meglio farlo qui –
- Vuoi usare il mio paradiso tropicale contro di me? –
- No, io… -. Alzò le spalle, sconfitto. Basta bugie. – Sì –
Mickey esalò dalla narici, disincrociò le braccia e si grattò il labbro inferiore. Ian percepì la sua incertezza; avrebbe voluto buttarsi in ginocchio ai suoi piedi e supplicarlo di ascoltare. – La bocca della verità, eh? –
- Sì, solo verità d’ora in poi, promesso -. Si portò la mano sul cuore in segno di giuramento ma in realtà lo fece per calmare i battiti impazziti. – Mi ascolterai? –
- A quanto pare te lo devo –
E tutto ad un tratto il suo cervello smise di funzionare. Non sapeva da dove cominciare. Ma non aveva un piano? E qual era? Rimase in silenzio per un bel po’ quindi Mickey parlò al suo posto.
- Vuoi lasciarmi sulle spine? – sbottò. – Ti piace che io resti ad aspettarti come una puttanella? –
- No – continuò ad farfugliare. – Certo che no –- Ben, tanto ero occupato mentre tu non c’eri – continuo Mickey.
- Bene, sono contento –
Mickey socchiuse gli occhi in uno sguardo pericoloso. – Magari ho un nuovo ragazzo che mi tiene occupato –
Sentì le gambe credergli per lo shock a quelle parole ma fece qualche passo verso di lui, fermandosi solo quando riuscì a vedere le sue iridi azzurre. Non gli importava se in quel momento quegli occhi ardevano di rabbia. Quel furore era diretto a lui ed era tutto ciò che gli serviva per proseguire. – Non ti credo –
- Non ce n’è bisogno –
La sua animosità era tangibile. Era andato a cercare qualcuno solo per provare a sé stesso di aver dimenticato Ian? Lo aveva già fatto prima, più di una volta. Ma solo perché non era andato fino in fondo allora, non significa che non l’avrebbe fatto adesso. Perché adesso si sentiva ferito, abbandonato, arrabbiato.
Ian strinse le labbra e cercò di prendere un profondo respiro per tranquillizzarsi. Ma prima che potesse inspirare completamente, gli tornarono in mente un paio di labbra lucide di burro cacao e una carnagione abbronzata. Merda. – Chi? – chiese.
Mickey sorrise complice.
- Paolo? – sbottò Ian serrano i pugni. Mickey fece semplicemente spallucce, senza confermare né negare. – Mickey – sussurrò, liberando tutta la sua sofferenza in quell’unica parola.
- Cosa cazzo credi? – esplose il moro. – Che avrei passato il resto della mia vita a farmi seghe da solo nella mia stanza pensando a te? –
- No! O forse sì, non lo so. Ma pensavo che avresti aspettato! – non riuscì più a trattenersi Ian, avvicinandosi ancora.
- Aspettare cosa? - . Gli occhi di Mickey scorsero rapidamente dal suo petto fino al viso, sfidandolo ad avanzare ancora a suo rischio e pericolo, ma Ian aveva troppa paura per curarsene.
- Me! – gli urlò in faccia, pochi millimetri a separare la punta dei loro nasi. Ansimavano, il petto ansante per l’intensità del momento, e Ian avvertì le sue mani afferrargli la camicia. Per un irrazionale momento credette che Mickey stesse per tirarlo a sé in un bacio, ma invece arricciò le labbra in una smorfia di disgusto.
- Ti ho aspettato, figlio di puttana! -. Il dolore dietro a quelle parole era così evidente che Ian avrebbe solo voluto prenderlo tra le braccia ma non ebbe il tempo di attuare quel pensiero perché le mani che stringevano il tessuto della sua camicia lo lasciarono e lo spinsero forte. Ian indietreggiò vacillando e cadde sulla sabbia. Istintivamente, allungò il piede colpendogli la caviglia e facendolo cadere in ginocchio, le gambe intrecciate a quelle di Ian.
- Beh, pensavo che avresti aspettato un po’ di più!- urlò di rimando Ian mentre la testa e la spalla di Mickey lo colpirono sulle costole quando lo placcò facendolo cadere all’indietro. Ian spostò il peso a sinistra e riuscì parzialmente a rigirare Mickey su un lato, infilando il ginocchio in mezzo alle sue gambe.
- Magari se tu avessi risposto ai miei messaggi! Cinquantasette fottuti giorni, stronzo! – continuò Mickey cingendogli la coscia con la gamba. – Vaffanculo, Gallagher –
Erano così vicini, Ian sentiva il suo respiro affannoso e il calore del suo corpo pressato contro al proprio, e questo gli tolse in un attimo tutte le forze. – Mickey – sussurrò il suo nome con tutto il desiderio che non riusciva più a contenere. Mickey si raggelò e Ian colse l’occasione per girarlo sulla schiena e ritrovarsi in mezzo alle sue gambe. Senza incontrare alcuna resistenza, Ian appoggiò gli avambracci sulla sabbia fissando il suo volto espressivo, sapendo di non trovarci il perdono ma sperandoci comunque.
- Vaffanculo. E vaffanculo a me che ci tengo – disse Mickey e lo spinse via finché non atterrò sulla sabbia accanto a lui. Rimasero vicini a fissare il cielo, i loro respiri pesanti e tuttavia In sincrono. Mentre cercava di trarre conforto dal contatto con la sabbia calda, Ian sospirò; non voleva farsi vedere cedere alle proprie debolezze ma il cervello viaggiava a modo suo.
- Paolo è davvero il tuo ragazzo? –
- Certo Ian, ci teniamo sempre per mano quando camminiamo –
Ian si coprì gli occhi con il braccio e emise un sonoro lamento per la frustrazione.
- Ho già deciso cosa mettere nella sua calza natalizia –
- Gesù, stai cercando di finirmi? – protestò, aggiungendo poi un quasi incomprensibile “stronzo”.
- Non è il mio fottuto ragazzo –
- Oh – sussurrò Ian. Si sentiva stordito e sapeva che avrebbe dovuto fare un passo indietro e ricominciare con un po’ più di calma ora che aveva guadagnato terreno, ma non si sarebbe dato pace finché non fosse stato sicuro. – Sei stato con lui? –
Udì la risata di Mickey accanto a lui e Ian girò la testa per guardarlo, sentendo i granelli di sabbia infilarglisi tra i capelli. - No, non sono stato con lui -
Disse quelle parole con una tale enfasi che Ian credette di esplodere. Si girò completamente verso Mickey, il quale continuò a restare sdraiato a pochi centimetri da lui, abbastanza vicino da poterlo toccare.
- Ho bisogno di una cazzo di sigaretta – disse ad un tratto il moro.
- Non mi offendo se lo fai -. Ian lo osservò mentre faceva traballare lentamente le dita sul petto coperto dalla canotta nera.
- Ho smesso –
- Oggi? –
- Tutti i giorni –
Ian sorrise con leggerezza al ricordo.
- Non fumo da quando mi hai… -
Lasciato.
Fu come se quella parola gli avesse lacerato il cuore e reagì nell’unico modo che gli veniva in mente per mostrare a Mickey che significava tutto per lui. Coprì il suo corpo con il proprio, fianchi contro fianchi, petto contro petto, bocca contro bocca. Fu dolce e cauto, un po’ esitante, ma comunque implacabile. E Mickey ricambiò il bacio, alzando persino la testa per avvicinarsi ancora di più. Le sue mani gli accarezzarono la schiena, sollevando la soffice camicia bianca. Ian emise un gemito quando sentì le sue dita scavargli nella schiena per stringerlo a lui. Dio, quanto gli era mancato.
Quando Mickey avvolse la gamba intorno alla sua, Ian fece scivolare la mano sul suo sedere fasciato dai jeans, afferrando la natica piena quasi selvaggiamente. Mickey emise un gemito tra le sue labbra e abbandonò di nuovo la testa sulla sabbia. Ian osservò il suo viso arrossato per un momento, poi le sue labbra si spostarono sulla sua mascella coperta da uno strato di barba incolta, succhiando la pelle morbida fin sul collo. Non voleva pensare a quanto fossero entrambi eccitati. Non era proprio il momento, ma Mickey gemette un’altra volta e Ian rischiò di venire nei pantaloni. – Ti amo, cazzo –
- Levati –. Lo disse sottovoce e senza rabbia, attenuando un po’ del calore che Ian irradiava dal proprio corpo.
- Merda, scusami – disse rotolando su un lato e rigirandosi sulla schiena, rivolto di nuovo verso il cielo. Rimasero in silenzio mentre riprendevano fiato.
- Come sta la tua ferita? – chiese Mickey.
Ian sollevò la camicia quanto bastava per rivelare la cicatrice circolare raggrinzita sotto alla costola sinistra. Ne tracciò il profilo con il dito per un momento, ricordando come se l’era procurata. Ricordava la voce di Mickey che lo distraeva affinché non svenisse, che lo fermava dall’andare nel panico, che gli dava altro su cui concentrarsi invece del dolore e il terrore che Mickey fosse stato colpito. L’immagine del fucile che scorreva sulla sua guancia e scendeva fino al collo era così nitida nella sua mente da sembrare molto più che un semplice ricordo. Quando quel tuono era scoppiato sopra di loro, era stato così sicuro che fosse uno sparo da morire quasi di paura, perché nessuno sarebbe mai potuto sopravvivere al proiettile di un M-16 alla gola. Neanche Mickey.
Aveva trascorso i due mesi precedenti a ripensare a tutto ciò che era successo dopo, soffermandosi perlopiù su un momento in particolare.
Amore.
- Sta guarendo – rispose infine. – In realtà non era così grave. Hanno dovuto rimuovere il proiettile e riparare alcuni vasi sanguigni ma i miei organi sono intatti. Ho avuto parecchia fortuna a dire il vero –
- Se lo dici tu –
- Mi è rimasta una cicatrice fica – disse ironico cercando di alleggerire la tensione, ma non la odiava davvero perché ci aveva legato quel ricordo.
- Ti sei fatto un po’ di reputazione da strada finalmente –
- Già. Vuoi vedere quanto sono tosto? –
- Magari un’altra volta –
Ian cominciò a nutrire una vera e propria speranza per il tono spontaneo con cui pronunciò quelle parole. – Magari più tardi puoi darle un bacio per farla guarire prima – lo stuzzicò; aveva bisogno di sentire ancora quella voce serena.
- Forse –
- Cosa? – chiese Ian alzando di scatto la testa dalla sabbia.
- Fottiti, lo sai che voglio farlo, stronzo –
Ian riabbassò la testa e tornò a fissare il cielo; si chiese se magari Mickey non stesse immaginando di toccare la cicatrice con le labbra, guarendola lentamente con la sola forza di volontà. Sospirò. Certo, stava sicuramente pensando a quello.
- Per chi cazzo lavori? –
Ian si aspettava quella domanda ma fu colto comunque di sorpresa, soprattutto dopo quel momento scherzoso tra di loro. Era qui che avrebbe scoperto se Mickey avrebbe voluto ascoltarlo o no. – Per l’Unita dell’ FBI che si occupa di gravi casi di furto -. Lo disse velocemente, ma facendo comunque in modo che si capisse forte e chiaro.
- Lo immaginavo -.
Ian si rilassò. Non era stupido, Non era un colpo improvviso con cui Mickey avrebbe dovuto fare i conti ora, ci faceva i conti da due mesi ormai. – Visto che sei uno stronzo… probabilmente ti sei anche laureato con il massimo dei voti -. Fece un sorrisetto e Ian cominciò ad interpretarlo come una piccola crepa nella sua corazza.
- Sì in effetti –
- Ti hanno dato anche una targhetta? –
- In realtà hanno preso il nome della targhetta da me –. Mickey si mise a sedere, cingendo le ginocchia con il braccio ed esalando un respiro profondo. – Mickey, mi dispiace di non averti contattato –
Dopo un duro e profondo sospiro, Mickey alzò gli occhi al cielo. – Beh sei uno stronzo, quindi… -. Tornò a concentrarsi sulla sabbia. – O è per quello o perché avevi un’amnesia –
- C’è una terza opzione –
- Che immagino tu ora mi spiegherai –
- Sì. Ti stavo proteggendo –
- Ah, quindi la terza opzione è che dovevi fare l’eroe – disse in tono beffardo, lanciando una conchiglia in mezzo ad un’onda che si ritirava. – Dovrei esserti grato per la tua stronzaggine quindi?-
- No, non sto dicendo questo. È che… non sono più un federale –
- Ah, merda. Ti hanno buttato fuori? –
- Praticamente sì. Hanno incoraggiato le mie dimissioni –
- Non soddisfacevi abbastanza il requisito di ficcare il naso negli affari altrui? –
- No, sono andato a letto con il sospetto di un’indagine in corso e me ne sono fregato pure alla grande –
Mickey gli lanciò una rapida occhiata. – Ah sì? Beh, sembra una cosa piuttosto stupida –
- In realtà avrei potuto tenermi il posto se ci avessi solo scopato e basta ma non potevano chiudere gli occhi dopo aver saputo che mi sono innamorato. Pensavano che avrebbe influenzato il mio lavoro e che avrei potuto insabbiare delle informazioni sul caso –
- Hai un modo bizzarro di dimostrare il tuo amore -. Continuò prima che Ian potesse rispondere. -Perché hai dovuti farti tremila miglia per venire a rovinarmi la vacanza quando avresti potuto scrivermi? Sempre se ti ricordi come si fa –
- Mi dispiace –
- Non sapevo niente – sibilò tra i denti, e Ian si irrigidì. Ecco il fulcro dei problemi tra loro.
- Ti ho detto che stavo bene dopo l’operazione. Ti ho mandato quel messaggio appena sono stato abbastanza lucido da trovare un caricabatteria e scriverti –. Si era risvegliato in ospedale totalmente disorientato, la gola secca e il corpo rigido come un pezzo di legno, ma il suo primo pensiero era stato Mickey, il terrore che fosse ferito o che lo avessero ucciso, e poi tutti i ricordi erano tornati. Amore.
- Oh beh, grazie per la spiegazione esaustiva, Ian – replicò. – E per essere sparito nel nulla –
- Però ti avevo avvisato – mormorò.
- Avvisato di cosa? –
- Che sarei dovuto andarmene per un po’ -. Si girò verso Mickey cercando di vedere se avesse capito. – Che volevo venire in Messico con te –
Mickey lo guardò e i ricordi di ciò che era successo a El Paso aleggiarono tra di loro. La pioggia, lo sparo, il sangue, le promesse, il dolore. Si alzò in piedi e si avvicinò al mare. Si fermò, rimanendo semplicemente lì immobile. La luce della luna si rifletteva sui suoi capelli corvini e le spalle pallide. Ti prego non andartene, avrebbe voluto dirgli Ian, ma sapeva di dover lasciare a Mickey il tempo di prendere le sue decisioni ora. Dopo tutto ciò che era successo, Ian ne sarebbe ancora valsa la pena?
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Cubicle Wars
RomanceCome esperto di sicurezza, Mickey ha protetto tutti i tipi di merce di alto valore, ma non avrebbe mai pensato che anche il suo cubicolo, o il suo cuore, avessero bisogno di protezione. °la storia non è mia,la trovate su efp. (traduzione di sidphill...