25. Disperso in azione

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DUE MESI DOPO…

Dopo settimane di secco e torrido caldo estivo ci voleva un po’ di pioggia. Lo dicevano tutti in continuazione ma Mickey non era così contento di vedere il cielo pisciargli addosso. Ultimamente gli era difficile essere contento più o meno per qualsiasi cosa, soprattutto parlare delle fottute previsioni del tempo. Ancor di più se le previsioni del tempo gli riportavano alla mente brutti ricordi.
Avrebbe dovuto essere felice, visto che stava guardando la pioggia cadere sul traffico perenne della città dalla finestra del suo nuovo ufficio al sedicesimo piano di Capital Building. Non avevano completato i lavori solo i muratori, ma anche gli imbianchini e i tappezzieri. Circa un mese prima avevano tolto il cartello “LAVORI IN CORSO” appeso alla porta dell’ufficio del Coordinatore dell’Unità dei Servizi di Protezione.
Erano successe tante cose dopo El Paso. Vari pezzi del puzzle avevano cominciato a combaciare ma mancava quello più importante. Quando Mandy gli aveva annunciato che lo avrebbero spostato di nuovo, ma questa volta in un vero ufficio, non se lo aspettava affatto, soprattutto perché era ancora preoccupato per il suo… per Ian. Il pezzo mancante.
Ma anche perché dopo il furto delle armi aveva avuto così tanti interrogatori con la divisione dell’FBI che si occupava dI gravi reati di furto e con la sede generale di Elite da pensare che ormai la macchia sul suo nome non sarebbe mai andata via.
Ma non era stato assolutamente così.
La sede centrale lo aveva chiamato su Skype due settimane dopo essere tornato per ringraziarlo dell’ottimo lavoro e una settimana dopo gli avevano mandato una lettera in cui gli avevano offerto il posto di Coordinatore. Non si era fatto troppe domande su cosa diavolo avesse fatto per guadagnarsi una cosa del genere ma aveva semplicemente accettato e aveva cominciato a preparare le sue cose per “traslocare”.
E due settimane prima era entrato nell’ufficio appena rinnovato, sistemando immediatamente i suoi piccoli sulla credenza vicino alla finestra. Ed erano ancora lì che si godevano quel poco di luce che quella giornata uggiosa offriva. Si stavano abituando bene al cambiamento, adattandosi, prosperando persino; riusciva già a vedere un piccolo germoglio.
Prese le piccole cesoie da primo cassetto della scrivania e si chinò sul bonsai per guardarlo meglio. Probabilmente era la pianta con la crescita più lenta del mondo. Quando l’aveva ricevuta pensava che sarebbe stata una sfida prendersene cura. Ma aveva scoperto che la vera sfida non era curarla ma lasciare semplicemente che facesse da sola. Dieci anni dopo, Mickey aveva imparato ad aspettare pazientemente potando solo il necessario. Un piccolo taglio e si ritornava da capo.
Accanto al bonsai c’era un’altra pianta, che non sapeva neanche perché avesse ancora. Era uno stronzetto alto e asciutto in un grande vaso metallico. Mickey tagliò una foglia gialla; aveva costantemente bisogno di potatura, cresceva come le erbacce. Non esistevano piante più diverse, eppure ora il bonsai sembrava in qualche modo incompleto senza l’altra pianta.
Buttò nel primo cassetto le cesoie, che atterrarono su una barretta Snickers, e lo richiuse con più forza del dovuto. Rivolse uno sguardo torvo alla pianta cercando di non pensare troppo al rosso che gliel’aveva data il giorno prima del volo per El Paso, ma Ian era sempre lì nella sua testa, aspettando solo che Mickey lo lasciasse entrare. Mickey non faceva niente senza che Gallagher invadesse i suoi pensieri, soprattutto nei momenti in cui era solo. Tutto sembrava volergli ricordare Ian e il più delle volte doveva sforzarsi più del solito per tenere a bada quei ricordi, finendo con l’arrendersi.

“Guarda cosa ti ho preso, Mickey!”. Aveva alzato la testa dalla scrivania per guardare Ian sulla soglia del cubicolo che aveva teso verso di lui una pianta verde e rigogliosa quando si era avvicinato. “Indovina come si chiama!” aveva continuato, pronto a dirglielo lui  se ci avesse messo troppo a rispondere.
“George” aveva risposto Mickey. “No aspetta, ultimamente nessuno ha nomi normali quindi… Jackson con quattro X”
Ian era scoppiato a ridere proprio come voleva Mickey. “No, che tipo di pianta è secondo te?”
“Ti sembrò un fottuto orticoltore?”
“E va bene, allora te lo dico”
“Guarda, non riesco a stare seduto per l’emozione”. Si era appoggiato ancora di più allo schienale.
“Coglione”. Ian aveva stretto le labbra ma il suo sguardo era rimasto allegro. “No aspetta, non si chiama così!”
Mickey aveva solo scosso la testa.
“È un fico”
Era evidente che Ian si aspettasse una battuta ma Mickey non riusciva a smettere di sorridere e la pianta era rimasta nel suo cubicolo fino al trasferimento nel nuovo ufficio.

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