Capitolo 15

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L'acqua tiepida della doccia lo cullava ritmicamente e, come quelle piacevoli gocce, i suoi pensieri fluivano senza nessun ostacolo nella sua mente.
Lasciando semplicemente che quel senso di pace continuasse ad avvolgerlo, senza soffermarsi su nessuna delle cose spiacevoli che la sua coscienza gli proponeva.

Fu la vibrazione del telefono, appoggiato sul lavandino, a risvegliarlo da quello stato di trance.
Gettò un'occhiata allo schermo. Pur non riuscendo a leggere chi gli avesse mandato il messaggio, vide l'orario e, facendo un rapido calcolo, decise che era giunto il momento di mettere fine a quella piacevole doccia.
Versato un po' di shampoo alla buona e insaponati i capelli, si risciacquò dal sapone e nel giro di qualche minuto uscì, accolto dal freddo della stanza.

Capitava ancora, nonostante fossero passate un paio di settimane, che guardandosi allo specchio rimasse stranito dal vedere i suoi capelli ora corti. Da che ne aveva memoria, aveva sempre portato una lunghezza almeno a metà del collo; ora, con quei pochi ciuffi ribelli a infastidirlo, si sentiva quasi più leggero.
Certo, con l'arrivo dell'inverno avrebbe rimpianto quel calore, ma il metterci un quarto del tempo per asciugarli era tanto di guadagnato.

A riconferma di ciò, diede un leggero colpo con il phon e, infilate addosso le prime cose che aveva trovato nell'armadio, si sistemò nella sua piccola cucina.
Gli piaceva il silenzio, l'aveva sempre apprezzato.
Non aveva bisogno di sottofondi come radio, televisione, o musica. Certo, i miagolii di un gattino non gli sarebbero dispiaciuti. Ma, in fondo, stava bene anche così.
Anzi, fare colazione senza nessuno a disturbarlo era una delle poche gioie che pensava di avere.

«Holaa!!»
Per l'appunto.

Un essere alto e dalla disordinata capigliatura celeste fece il suo spumeggiante ingresso in cucina, mentre lui, rannicchiato su una sedia, sorseggiava il suo caffè nero.

«Ricordami il motivo per cui hai ancora le mie chiavi di casa.» Sibilò, gli occhi ridotti a due fessure minacciose.
Ovviamente il ragazzo non provava nessun timore di fronte all'amico: quello sguardo minaccioso ormai non aveva nessun potere (se mai ne aveva avuto).
«Ti ho annaffiato le piante un anno fa. Da allora mi dimentico sempre di restituirtele.» Così dicendo fece roteare il mazzo tintinnante, l'anello del portachiavi infilato nel dito indice come fosse un hula hoop.

«Dammele allora.» Senza aspettare risposta, il corvino si alzò di scatto, afferrando il mazzo di scorta dalla mano dell'amico e mettendoselo al sicuro nella tasca dei pantaloni.
«Che noioso.» Borbottò Oboro, servendosi del caffè in una tazza.

«Cosa ci fai qui?» Che ne avesse memoria, non avevano dei piani in comune; anzi, si erano visti appena la sera prima e, conoscendo Oboro, avessero avuto qualcosa da fare assieme glielo avrebbe ricordato almeno venti volte, fino a fargli sanguinare le orecchie.
«Oh, niente di speciale. Sono passato a vedere come stavi.» 
Giusto. Dopo quella sceneggiata patetica con Yamada se n'era semplicemente andato, e lui aveva detto a tutti che si era sentito poco bene. 

«Puoi andare allora.» Si avviò verso la camera, per nulla desideroso di parlare con l'amico quella mattina. 
Lui però, per nulla soddisfatto, lo seguì, incurante del fatto che volesse cambiarsi i vestiti. 
«Direi di no. O almeno non finchè non mi dici che è successo con Hizashi.» Gli si era messo davanti, impedendogli di cercare nell'armadio qualcosa da mettersi addosso. 
Sperò che non avesse intravisto la sorpresa, l'insicurezza, sul suo volto.

«Cosa dovrebbe essere successo?» Domandò, cercando di non mostrarsi sulla difensiva. 
«Oh ma per favore! A cena eri tutto tranquillo e amichevole, poi arriva un bel tipo a fare il filo a Hizashi, e tu te ne vai.» 
«Stavo male.» Provò a insistere, ben consapevole che non sarebbe bastato così poco. 
«Balle. Lo sappiamo tutti e due.» Il celeste gli lasciò via libera per l'armadio, sedendosi sul letto dietro di loro. 

«Cosa vuoi che ti dica?»
«Come ti senti, tutto qui.» Sorrideva, comprensivo. Sapeva bene quanto per lui potesse essere difficile fare una cosa così semplice. 
«Io- Io non lo so.» Rispose sincero, abbassando lo sguardo verso il pavimento. 

«Ti manca Hizashi?» Era una domanda bruciapelo, che non si aspettava. Pensandoci non avrebbe saputo cosa rispondere, ma il suo corpo, i suoi sentimenti, reagirono per lui. La sensazione di quel "bacio" della sera prima, i suoi sorrisi durante la cena...
«Credo di sì.» Il volto di Oboro si addolcì. 

«Beh, pensa a cosa ti manca allora, così puoi capire quali sono i tuoi sentimenti verso di lui.» Consigliò, alzandosi dal letto e dandogli una sonora pacca sulla schiena nuda. 
«E poi? Che dovrei fare?» 
«Se pensi di esserti innamorato...» A quella parola il suo cuore mancò un battito. Era quello, che stava provando? «Allora dovresti dirglielo. Ma se ti manca solo avere qualcuno che ti dimostri affetto, devi lasciarlo stare, e trovare un tuo equilibrio.» 

Sembrava tutto dannatamente complicato.

«Come capisco se sono innamorato, scusa?» Più volte si era fatto questa domanda. Ricordava bene l'istante in cui si era innamorato di Takeru, eccome se se lo ricordava... Un vero colpo di fulmine, dicevano di quelli che si hanno una volta nella vita. Era questo ad averlo sempre preoccupato.

«Mmm... Puoi uscire con lui, vedere se, sesso a parte, ti trovi bene.» Nella sua mente riaffiorò quella stupida proposta che Yamada gli aveva fatto. 

"Esci con me. Un appuntamento soltanto." 

Gli era sembrato così stupido, così disperato. 
E ora era lui a dovergli chiedere una cosa del genere? Il suo corpo faceva fatica ad immaginare una cosa del genere. 

«Non è la fine del mondo sai? Una cena, una passeggiata al parco, e stai a vedere come si evolvono le cose.»
Lui però era pieno di dubbi e domande. Era tutto così semplice, e complicato allo stesso tempo. 

«E- e se non vuole uscire con me?» Lo aveva costretto a baciarlo, lo aveva trattato come uno straccio. E lui sembrava pronto a vedere uomini diversi da lui. 
Una pausa da parte dell'amico gli fece capire che, forse, anche lui aveva intuito che qualcosa tra loro non era andato nel verso giusto, quella sera. 
Per sua fortuna, sorrise semplicemente, senza approfondire la questione.
«Potrebbe succedere. Ma non lo saprai se non ci provi, giusto?»

Sospirò grave. 
Oboro gli scompigliò i capelli; da quando li aveva tagliati questa cosa lo divertiva particolarmente. In una situazione come quella però, a Shota sembrava quasi di avere un fratello maggiore a prendersi cura di lui, nonostante avessero la stessa età.

«Sai, quando fai così sembri quasi intelligente.» Sussurrò, un piccolissimo sorriso da dedicare al suo amico. 
«Ah si eh?!» Amico che gli afferrò la testa e iniziò a strofinarvi il pugno sopra con una certa energia.
«Mi fai male cretino!» 
«Così impari! Io ti aiuto e tu mi ripaghi così!» Quella lotta improvvisata finì solo per merito di Nemuri che, contro ogni probabilità, aveva deciso di chiamare il celeste proprio in quel momento. 

Stabilita quella tregua e con i benedetti vestiti addosso, Shota accompagnò l'amico alla pota.
«Oboro...» Lo richiamò che ancora non si era infilato le scarpe. 
«Come- Come faccio a chiedergli scusa?» L'altro gli sorrise e, chiamandolo con una mano, lo trascinò praticamente fuori casa. 
«Facciamo un salto al centro commerciale. Ti insegno io come si trattano gli amanti!»

Siamo a posto...

****

Salve a tutt*
Sono viva 🌈

Ovviamente ormai la storia di base che avevo scritto è stravolta: è forse un po' più cruda, ma devo dire che ne sono comunque contenta.

Spero che stia continuando a piacervi e vi ringrazio per letture, commenti, stelline 💜

A presto 💛🖤

Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 06, 2022 ⏰

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