49.

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Passeggi premuroso
ed inabitato  

canticchiando
mi semini adagio

fremi a liberarmi
lungo  
innevati bianchi
prati d'inverno

tenendomi per mano
comodo al mio fianco

ti rivolgi a me

complicato ed
acquietato.

Taciturno come vento

ora mi
parli,

mi sorridi.

Schernito
ma mai distante 
forse ancora rabbuiato
m'insegni a danzare

ma in punta di piedi.

Così ti nascondi ad altri
scalzo
non mostrandoti
assumendo una delle forme
più semplici da ricordare

e da disegnare.

Così ti nascondi
custodito ma soprattutto
incastrato 
nei miei caldi dormienti

discorsi.

M'eri mancato.

Dimentichiamoci
e magari addormentiamoci

però
addormentiamoci 
guancia contro guancia
naufraghi

naufraghi in letti
di foglie morte

di foglie morte di
Prevert .

Giacche intransigenti
han tasche
scucite 

labbra incrinate  
che ancor tremano

m'era mancato avvicinarti
a me,

richiamare la tua attenzione

accomodarmi spensierata
nei tuoi soliti disinvolti
modi di fare.

Quando scrivi di noi 
dimmi
posso svelarmi 
a te?

Saresti in grado di
cogliermi e
non strapparmi?

Non ho mai compreso
come annaffiare affetto
e germogliare amore.

Insegnami tu,
insegnami ad aver
cura.

Noi
navi cabinate,

noi
scettici reclusi
e privi di remi.

Eccoci relegati
offuscati da
assordanti e
grondanti 
fischi di
onde di vetro
ghiacciato.

Onde impigliate
e trascurate
fra scogli invernali
malfatti
deformi,

scogli sgualciti.

Non smettere,
scrivimi altre lettere.

Tu mio respinto
guscio scartato 

spalanca a me
i tuoi rancori
e spala i
dissapori
riponi quest'armi insanguinate e
ammetti

ammetti d'esser
stanco e sgranato  

incespicato

come me.

Rinasci e porgimi la mano
mentre
affoghi
boccheggiando
senz'aiuto
in pensieri e rancori
che non
posson più dormire
la notte.

Sai mi riempie a quest'ora
anche solo
esistere in silenzio
con te.

Non lasciarmi.

Ascoltami e non fermarmi
stracciami di graffi
ma di graffi innocui,

sfiorami con ruvide labbra

ruvide labbra comprensive
trattieni e stringi

stringi questa mia vivida pelle 
impaurita
ma soprattutto parlami

con tenerezza

parlami.

Non lasciarmi.

Ultimamente però
m'amavi
a giorni alterni
a volte era abbastanza

ma di notte sai
m'eri nitido rovente
covo di rabbia.

Bambole di porcellana
spettinate.

Coltello ombrato
affilato
lentamente
fruga ed insiste
dentro di noi.

La mia ferita così
simile alla tua.
I miei difetti
così mal interpretati
da te
che pregandomi
temi di capire.

I miei pianti quasi identici
ai tuoi.
Possono specchiarsi
rivedersi e percepirsi
tentando
magari senza fatica
di congiungersi poi
in un unico solo
punto fermo.

Accogli l'idea di proseguire
e risollevati
gioisci al crepuscolo

fa' che nuove albe
t'attendano.

Effonditi verso il fiume

e spargi in me i
tuoi viaggi segreti
ed i tuoi progetti 
rinchiusi

bisognosi 
d'esser considerati
validi.

Io sarò libera di far
altrettanto 
di poter giacere con te di
polverose
folli speranze.

Riesci a vedermi calpestata 
accerchiata
dalla grigia paura di 

confidare?

Questo coltello che
testardo non smette
fruga 
cerca caparbio
in me
oscurità.

Mentre sanguino
se puoi

reggimi.

È lo stesso coltello sai
che da anni
ferisce
e poi offre pace
disposto a guarirmi
ma solo dopo aver
ucciso.

Da tempo però
non mi spaventa più
da quando sei qui tu

lo ospito.

Proprio come adesso
in questo modo
in questo mare
in questo letto

ospito te.

Tu però non tradirmi,

ma sii la luce che sgorga
dalla tenue ferita
risanandola.

E non dimenticare mai
come in autunno
riempivamo i nostri fossi
attraverso la nebbia 
con combacianti
risa impacciate 
ingenuamente occultate
goffi e commossi
dalle strofe e dai
versi che s'aprivano
dinanzi a noi.

Non smettere e

scrivimi altre lettere.

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