Capitolo 6

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Nella palestra ora il silenzio regnava sovrano, mentre il riscaldamento era l'unica cosa che rendeva ancora in grado alle ossa di Mattia di rimanere solide. Si, perché l'annuncio felice della mamma del nero gli era penetrato nelle ossa. Quella ragazza era tornata, per qualche strano motivo, nonostante dopo le superiori avesse deciso che la danza non era più il suo mondo, come gli aveva raccontato Christian, e che volesse solo impegnarsi nello studio all'unversità.

E sapeva esattamente che quella era la scuola di danza della mamma del suo ex.

Mattia si portò le gambe vicine al petto, stringendole con le braccia, mentre se ne stava seduto vicino al muro ad osservare Christian che chiacchierava con la madre, sorridendo. Si chiese se stessero ancora parlando di quella rivelazione, se il più grande stesse sorridendo perché felice di quella notizia e si chiese cosa ne sarebbe stato di lui, di loro, di quello che era appena successo, di quel primo bacio che gli aveva riempito il petto di felicità e gioia.

Non aveva per nulla idea di cosa pensasse l'altro, nonostante poco prima ci fosse stata quella situazione, quell'intimità tra di loro. Potevano più considerarsi solo amici? O Christian lo aveva baciato solo perché aveva notato qualcosa in lui? Magari per il nero era stata solo una prova?

In quei mesi non aveva mai avuto una prova che l'altro potesse provare qualcosa per lui, nemmeno un segno che potesse provare che stesse nascondendo quel sentimento, mentre riteneva palese che, dopo gli ultimi risvolti, Christian sapesse perfettamente quali fossero i suoi sentimenti. Ma più i suoi pensieri confluivano nella mente, più Mattia si stringeva a guscio, su se stesso, in preda all'ansia e alla paura, vittima della sua stessa mente, da più di un anno abituata ad avere solo film mentali e convinzioni di non poter avere delle chance con quel ragazzo stupendo.

In preda ai più terribili dei propri pensieri, decise di fare la cosa peggiore che potesse decidere, lasciando agire totalmente la propria parte irrazionale. Si alzò in piedi uscì dalla palestra, passando proprio accanto ai due, che ancora parlavano, ma che, molto probabilmente, si accorsero che se ne stava andando senza nemmeno salutarli, anche perché alle proprie spalle sentì la voce di Christian che lo chiamava. Ma la nebbia oscurava il suo cervello, la tenebra stava circondando il suo cuore e, invece che rallentare e tornare indietro, accelerò e andò alla porta della palestra, uscendo al freddo del cortile, venendo investito dalla pioggia che cadeva fitta dal cielo.

Non si aspettava che stesse piovendo, così, semplicemente, abbassò la testa e si incamminò alla ricerca del primo riparo che potesse trovare, la prima tettoia disponibile, possibilmente al di fuori di quella scuola, di quel cortile, lontano da Christian, dove sarebbe potuto tornare a pensare lucidamente.

Corse fuori dal cancello, passando anche accanto a quella che riconobbe come la macchina della mamma dell'altro, e si fece spazio tra le pozzanghere che si erano già create a terra. Si chiese da quanto tempo stesse piovendo e che ore fossero esattamente, visto che perdeva sempre la cognizione del tempo quando stava con il nero, dato che le ore e i minuti passati con lui erano sempre i migliori della sua vita. Tirò fuori, così, il telefono dalla tasca del proprio giubbino e vide sullo schermo segnate le 18:50. Avevano passato quasi cinque ore in quella palestra quel pomeriggio, eppure non si era accorto del tempo che passava.

Infine voltò l'angolo, in una via nascosta, trovando riparo per come poteva, sotto il balcone di una casa.

Si mise a terra, seduto, prendendo fiato per la strada percorsa velocemente e permise alle lacrime di abbandonare i suoi occhi. Perché stesse piangendo non lo sapeva esattamente. Perché fosse andato via, non lo sapeva esattamente. Probabilmente Christian in quei minuti lo stava cercando o si stava chiedendo dove fosse andato, cosa stesse facendo, perché se ne fosse andato.

Partire da te [zenzonelli]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora