Capitolo II

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Il pontile dondolava dolcemente, per via delle onde. Il vento scompigliava i capelli di Sofia. Le sue labbra erano fisse in un'espressione rigida. Non traspariva nulla dai suoi lineamenti, se non una ragazza smarrita, come se fosse estranea al mondo; gli occhi erano spalancati, quasi ad accentuare intenzionalmente il loro colore, che si intonava perfettamente a quello dell'acqua.
Quando il battello giunse alla fermata chiunque spingeva e si dimenava per farsi largo nella folla di passeggeri. I posti a sedere erano pochi ed ognuno ambiva ad averne uno.
Sofia salì a bordo, noncurante della confusione generale.
Il rumore del battello era diverso da quello dell'autobus. Meno potente, ma alquanto fastidioso. Sembrava quello di una vecchia caffettiera.
Sofia aveva una borsa nera di pelle, a due manici, di quelle che servono per contenere i libri. La appoggiò a terra appena si sedette sul sedile di plastica verde. Dentro vi era ben poco: un blocco ad anelli, qualche penna e due libri. Il primo era un volume piuttosto grosso di una scrittrice di narrativa italiana, il secondo si intitolava "The Body", di Stephen King. Sofia era irrimediabilmente attratta dalla lettura di quest'ultimo. Amava leggere in generale, in realtà, ma non trovava più il tempo per farlo.
Quella mattina era alquanto assonnata. Faticava addirittura a tenere gli occhi aperti. Fissava le onde. I suoi pensieri si accavallavano fra di loro. Le sue idee si annebbiavano e si fondevano con la musica.
"How to save a life" era la sua canzone preferita. Amava i The Fray. Ed anche gli Imagine Dragons. Ed i Coldplay. E gli One Republic.
Una decina di minuti dopo, la voce metallica che annunciava la fermata di Sofia ebbe il sopravvento e fece irruzione nella cabina passeggeri. Lei si alzò svogliatamente. C'era un insolito silenzio a bordo, che venne interrotto dal rumore dei suoi tacchi sul pavimento di legno.
Sapeva lei stessa di attirare molta attenzione, ovunque andasse. Era davvero una bellissima ragazza e non rimanere a guardarla almeno per qualche secondo era impossibile. Aveva delle scarpe molto particolari: nere, con delle cinghie dorate ed, appunto, dei tacchi mediamente alti. Le donavano particolarmente, le conferivano un'aria aggressiva ed alternativa; anche se Sofia, apparentemente, aveva ben poco di aggressivo.
Avanzò velocemente e si diresse verso l'uscita dell'imbarcazione. Una volta scesa, si guardò intorno, come se fosse stata la prima volta che vedeva quel posto.
Non si era mai soffermata, però, ad osservarlo.
L'aria fredda della mattina le pungeva i polmoni. Era una sensazione piacevolissima. Iniziò a camminare lungo la strada. I muri delle case erano fatti di mattoni consumati dal tempo, ma ugualmente belli.
Uno scorcio di cielo si intravedeva fra i tetti, sopra la sua testa. Le nuvole lasciavano lentamente posto a timidi raggi di sole. Il colore delle cose iniziava a cambiare e a diventare più reale.
Decine di adolescenti, da soli o in piccoli gruppetti, si riversavano pian piano nella strada, come formiche in un formicaio. Sofia era da sola.
Detestava rapportarsi con le persone. Anzi, detestava proprio le persone, la mattina. Arrivata a scuola si guardò nuovamente intorno, con circospezione. Adagiò svogliatamente la borsa sul suo banco e si sfilò a malincuore le cuffiette, riponendole nel loro contenitore. Si tolse la giacca. Indossava una gonna nera al ginocchio ed un maglioncino bianco latte. Al polso portava un orologio dorato. Aveva molto stile nel vestire e dimostrava di essere più grande di ciò che effettivamente era. La sua figura slanciata (fisicamente somigliava ad una modella) avrebbe tratto in inganno chiunque. I capelli erano legati in una coda alta. Sofia non si truccava, non per la scuola per lo meno. Il suo viso era dolcissimo, naturale, non aveva bisogno di una maschera che nascondesse una parte di lei.
La campanella suonò e la ragazza si sedette.

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