Capitolo IV

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Il cancello si chiuse alle spalle di Sofia con un suono metallico. Il suo giardino era rigoglioso, le foglie stavano spuntando sui rami degli alberi e le margherite comparivano in mezzo all'erba. Salite le scale, la ragazzina varcò la porta di casa. Non c'era nessuno. Entrò in camera sua in fretta e furia e si tolse la giacca, lasciandola sul letto. La sua stanza era piccolina. I muri erano dipinti di azzurro cielo ed i mobili (una scrivania, un letto ed un semplice armadio) erano bianchi. Sofia, per renderla personale, aveva attaccato una miriade di volantini, foto e disegni ovunque. Frasi, scritte con il pennarello indelebile, erano nascoste dietro le ante dell'armadio e sotto la scivania. La ragazza sapeva che, se sua madre avesse scoperto tale misfatto, sarebbe stata in grado di ucciderla, perciò tentava sempre di restare sola in camera. Intorno al suo letto scorreva un filo di lucine colorate, quelle che si usano a Natale. Le coperta era rossa e vi erano numerosi cuscini color panna. Sofia si distese. Il silenzio le invase il corpo. Sembrava soffocarla lentamente. La stanza si svuotava e lasciava spazio ad un vuoto pesante. La ragazza collegò il cellulare alle casse ed accese la musica. Dream-Imagine Dragons .
C'era qualcosa di misterioso in quella canzone. La voce di Dan Reynolds era meravigliosa. Interpretava perfettamente le parole del testo. La musica, per Sofia, era il modo migliore di chiudere gli occhi e andarsene dal mondo per un po'. Solo un po'. Era l'unica cosa di cui si fidasse davvero. Non aveva legami particolari con amiche o amici, fatta eccezione per Luna. Luna era la sua migliore amica sin dall'infanzia. La conosceva da quando era nata. Erano un po' l'una la certezza dell'altra. "Dream" era la loro canzone, l'avevano scoperta insieme mentre esploravano YouTube e da quel giorno se ne erano innamorate entrambe. Erano una cosa sola: amavano le stesse marche di vestiti, gli stessi film, le stesse canzoni. Ma al di là di ciò erano unite anche a livello morale: il fallimento di una significava il fallimento anche dell'altra, mentre una conquista rappresentava la felicità di entrambe. Erano legate da sempre e per sempre lo sarebbero state.
Quando fu ora di mangiare, Sofia scese in cucina e preparò un piatto di insalata. Tentava sempre di dimagrire. Il silenzio imperversò nuovamente. All'improvviso però lo schermo del suo iPhone si illuminò.
Un messaggio. Il tipico suono di notifica tintinnante giunse alle orecchie della ragazza. Svogliatamente, sollevò il cellulare e lesse.
Trasalì.
20:23 Pietro
"A volte penso che le giornate, senza di te, non siano più le stesse".
Pietro era stato il ragazzo di Sofia per circa due mesi. A dicembre, approsimativamente. Lei, per il fatto suo, aveva scelto di rimuovere completamente quel ricordo dalla sua memoria.
Un brivido le attraversò la schiena, il sangue iniziò a scorrerle più veloce nelle vene, il cuore le batteva a ritmo accelerato. Chiuse gli occhi.
Affluì alla sua mente tutto ciò che aveva scacciato per mesi.
Pietro era un ragazzo misterioso ed estremamente bello. Era alto ed aveva i capelli castani. La sua carnagione era pallida ed il suo viso era cosparso di lentiggini qua e là.
Aveva un sorriso meraviglioso, ma la cosa che più risaltava nel suo volto erano gli occhi. Azzurri. Vitrei. Enormi. Sembravano proprio due sfere di vetro. A Sofia avevano sempre ricordato il mare. Profondi. Una di quelle cose che era rimasta incisa nella sua mente.
Ad ogni modo, dopo aver letto più volte il messaggio, decise di non rispondere.

Finse indiferenza. Quante volte, in fondo, lo faceva?
Si convinceva che non le importava, era la sua arma preferita contro sé stessa. Riapriva gli occhi, tratteneva una lacrima e pensava che nulla avrebbe potuto turbare la tranquillità del suo stato d'animo. "Tranquillità". Una massa informe di pensieri in tempesta perpetua ed infinita che, per comodità, lei definiva così. Non avrebbe ammesso mai nulla. Scoppiava dentro, sorrideva fuori. Era così e basta.
Alle 10:00 circa, Sofia decise di andare a coricarsi, dopo aver guardato un po' di televisione. Spense le luci e salì le scale. Entrò in camera e chiuse la porta. Si tolse le scarpe, la gonna, le calze e la maglia. La sua pelle era bianca. Aveva addosso solamente un reggiseno nero e delle mutandine in pizzo. Si guardò allo specchio. Le sue curve erano morbide e proporzionate. Il seno non era per niente esagerato, e nemmeno scarso. Le anche erano dritte e la curva dei fianchi scendeva dolcemente fino al bacino. Le sue gambe erano di lunghezza leggermente accentuata. Sottili. Il suo corpo, nel complesso, sembrava disegnato a matita su un foglio di carta da mano esperta. Oppure, rigorosamente scolpito nel marmo. Era luminosa.
Sofia si infilò una maglietta bianca e dei pantaloncini corti e si insinuò nelle coperte. Spense la luce. Il sonno la avvolse, quasi per accudirla. E lei non pensò più a Pietro. Non pensò più a nulla. Non vi furono sogni quella notte. Era troppo rischioso.
Sognare è rischioso.

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