Capitolo III

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La giornata scolastica fu esattamente come tutte le altre.
Solo una delle tante.
Al suono della campanella, alle 18.00, Sofia raccolse le sue cose (disordinatamente sparse per la classe) ed uscì dall'edificio.
La strada che aveva percorso la mattina stessa era ora deserta. Il sole stava iniziando a tramontare, oltre i tetti delle case. La luce veniva lentamente meno, mentre camminava. I bar chiudevano le saracinesche al suo passaggio, le luci artificiali illuminavano l'acqua dei canali.
Un artista di strada suonava la fisarmonica e rallegrava la serata ai passanti. La visione di quest'uomo, in qualche modo, mise Sofia di buon umore.

Arrivata in prossimità della stazione, le persone correvano freneticamente in direzioni diverse.
Si sentiva, in lontananza, la voce femminile registrata che annunciava l'arrivo e la partenza dei treni. Vi era gente di ogni genere e di ogni nazionalità.
Ognuno aspettava il suo, di treno.

Sofia invece doveva prendere l'autobus.
Il Piazzale era ormai scuro. I veicoli transitavano lentamente, illuminando la strada con i loro fanali. Ogni autobus era arancione ed aveva, sul fronte, un display con su scritta la sua meta. Il 24H era appena giunto al capolinea. I passeggeri sfociavano dalle porte laterali come l'acqua di un fiume. Altrettanto velocemente l'autobus si riempì nuovamente, appena terminato l'esodo. Sofia si sedette in un posto singolo, in ultima fila. Non voleva dare troppo nell'occhio. Guardò fuori dal finestrino. Il tramonto era qualcosa di meraviglioso. Venezia è una delle città con più monumenti storici al mondo. Per conoscerli tutti non sarebbe bastato viverci. Perciò, avendo l'isola un'estensione molto ridotta, camminando per la strada si potevano osservare numerosissimi palazzi e campanili e molte, fin troppe chiese. Dal finestrino dell'autobus si scorgevano tutti i tetti e le cupole in lontananza. Il sole era in procinto di coricarsi al di là dell'orizzonte, ma rifletteva ancora una luce rossastra sull'acqua. Agli occhi di chiunque sarebbe apparso, ovviamente, come uno spettacolo meraviglioso. Ma tutti gli spettacoli meravigliosi si ridimensionano, con il tempo. Ed il tempo aveva portato la ragazzina ad abituarsi alla vista di quel paesaggio. Ormai, la sua vita, durante la settimana, era pressoché monotona. Nulla era nuovo ai suoi occhi.
Il silenzio, all'interno dell'autobus, era tombale, rotto solamente dal fremere del motore. Le persone tornavano tutte dal lavoro, o da scuola. Nessuno aveva nulla da dire a nessuno. In quel caso il silenzio non era una scelta, ma un dato di fatto. E a volte, il silenzio è meglio di milioni di parole senza significato.

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