Rinascita

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Menodora percorse un lunghissimo tragitto nel volgere di pochi giorni. Si fermava di rado a mangiare qualcosa, e ancor più raramente a riposare. Le poche pause che si concedeva avevano lo scopo di far riposare il suo cavallo, più che permetterle di riprendere le forze.
Per un breve tratto si unì a una carovana di viaggiatori, ma già la prima notte sfuggì miracolosamente a un tentativo di rapina da parte dei compagni, insospettiti dalla bellezza dei finimenti del suo cavallo e dai suoi modi nobili.
Decise quindi di procedere da sola, cercando di far tesoro del pur poco tempo trascorso con Eracle.
Ogni tanto si perdeva a riflettere su cosa stessero facendo lui e suo fratello in quell'istante, ma poi scacciava i pensieri come fossero insetti fastidiosi. L'avevano abbandonata, considerandola un peso per le loro importantissime missioni. Forse il fatto che fosse una femmina non la rendeva degna di fiducia? Lo avrebbe dimostrato presto, il suo vero valore.
Hestia, quando l'aveva scoperta a tentare la fuga, invece di osteggiarla l'aveva aiutata. Era la prima volta che sentiva di avere l'appoggio incondizionato di qualcuno, e la dea le aveva infuso coraggio. Ce ne sarebbe voluto molto, per ciò che intendeva fare.
Quando giunse al porto di Eretria - miracolosamente senza incontrare ostacoli lungo il cammino - prese contatto con un armatore di nome Miltiades, col quale contrattò un passaggio in Anatolia. Miltiades era un vecchio lupo di mare, non cattivo ma pronto ad approfittare di ogni occasione gli desse il destino. Capì subito, squadrandola con l'unico occhio sano in suo possesso, che la giovane poteva essere fonte di facile guadagno; a Menodora quel viaggio costò quasi tutti i pochi gioielli rimastile.
Impietosito, prima di farla sbarcare ad Alicarnasso, l'uomo le chiese dove intendesse recarsi. Alla risposta della principessa reagì quasi inorridito.
"Tu sei pazza! Cosa credi di ottenere? Sei ti andrà bene ti passeranno a fil di spada, se invece ti andrà peggio diverrai una schiava per il resto della vita. Ascolta, - provò a convincerla - se torni indietro ti restituirò tutto ciò che mi hai dato. Appena giunti in porto, contatterò alcune persone che conosco e farò in modo che tu possa tornare a casa senza pericoli".
"Senza pericoli? Hai vissuto troppo in mare, e forse non sai più cosa accade a terra. Preferisco perire nel tentativo di fare qualcosa che attendere l'arrivo di qualche orda di mostri".
Miltiades tentò nuovamente di far tornare Menodora sui suoi passi, senza sortire alcun effetto. Le diede allora alcune indicazioni sul percorso che, secondo certi pellegrini che aveva conosciuto anni addietro, sarebbe dovuto essere più sicuro per arrivare alla meta che si era prefissata.
Prima di farla sbarcare, il marinaio si offrì di renderle comunque i suoi gioielli, ma Menodora rifiutò "Li hai guadagnati onestamente. Usali bene" concluse la ragazza scendendo a terra e lasciando Miltiades perplesso a osservare i preziosi monili che gli tintinnavano tra le dita.
La principessa dovette però accettare la compagnia di un gruppo di mercanti, che, come urlò dalla nave Miltiades, avrebbero fatto parte del tragitto con lei.
I mercanti non erano di nobili origini, ma si dimostrarono onesti e, quando le loro strade, dopo qualche giorno di viaggio si divisero, si sentì inaspettatamente dispiaciuta per quel distacco.
Cercando di farsi coraggio, in una terra aspra e sconosciuta, la principessa Menodora affrontò i pericoli armata solo della sua cieca determinazione. Fu durante una tempesta, quando, nel tentativo di proteggersi dalla furia degli elementi, si nascose, fradicia e infreddolita, in una piccola grotta alla base di una collina sassosa, che il destino benevolo si materializzò sotto forma di due guerriere che avevano avuto la sua stessa idea.
Le due donne erano alte e forti, temprate da una dura vita fatta di addestramenti continui e, probabilmente, frequenti battaglie.
Quando la principessa seppe da dove venivano le sue improvvisate compagne, non poté credere a tanta benevolenza da parte del Fato.
"Portatemi con voi, - chiese con decisione - devo assolutamente parlare con la vostra regina! Stavo proprio dirigendomi a Temiscira. È il destino che vi mette sul mio cammino".
La più anziana delle due rise sprezzante "Ragazzina, non ti manca certo il coraggio. Mi chiedo però cosa ti faccia credere che ti porteremo con noi".
"Voi dovete condurmi con voi. Ne va del vostro stesso futuro".
"Che idiozie stai dicendo? Sei forse pazza?"
"Calma Zenais, - intervenne la più giovane - in fondo non ci costa nulla portarcela dietro. Male che vada avremo guadagnato un nuovo soldato".
Zenais si limitò ad assumere un'espressione altezzosa, ma non si oppose.
"Grazie" sussurrò Menodora alla sua sostenitrice.
"Non ringraziarmi, credo tu non abbia idea in che pasticcio ti stia cacciando" fu la disarmante risposta.

Dapprima fu un puntino bianco nel nero assoluto. Effimero, distante, frutto - forse - della sua immaginazione. Poi, con indescrivibile lentezza, iniziò a crescere. Allora egli ebbe la certezza che si trattava proprio di luce.
Non aveva memoria di sé, né paura. Semplicemente osservava, senza provare alcun sentimento, quanto stava accadendo in quel nulla.
Si mosse lentamente. Divenne consapevole in quell'istante di possedere un corpo, una forma solida. Non lo vedeva, ma lo sentiva. Ma cos'era? Una roccaforte per la sua essenza, un'armatura per la sua anima, oppure una gabbia, nella quale qualcuno lo avesse rinchiuso, rendendogli impossibile disfarsene?
Il lucore crebbe, facendosi accecante. Chiuse gli occhi - occhi? Di cosa si trattava, da dove veniva quella parola? Come la conosceva? - sentendo un dolore lancinante - dolore? - scuotergli il petto, mentre iniziava a respirare.
Petto... respirare...
Fu scosso da un accesso di tosse, mentre l'aria gli fluiva tre le narici, risucchiata dai polmoni avidi di ossigeno, bramosi di vita, animati da una forza dotata di volontà propria.
Si accorse allora della superficie liscia e priva di calore sulla quale era poggiato.
Finalmente, per istinto, le palpebre si alzarono, mostrandogli figure sfocate e indefinite ma cariche di colore.
Poi quelle immagini assunsero contorni precisi. Un naso aquilino. Lunghi capelli ingrigiti. Un viso lungo e austero. Due labbra sottili e severe. Un paio d'occhi del colore del metallo brunito.
Fu quindi la volta di un suono. Le onde vibrarono limpide alle sue orecchie, frustandogli il cervello come una scossa.
"Bentornato tra i vivi, Eracle".

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