Atena giaceva al suolo, morente. Attorno a lei si erano stretti i superstiti dell'ultimo scontro con i Titani.
La dea nata dalla testa di Zeus aveva rappresentato per loro, nel buio delle Tartaro, ciò che suo padre era stato prima di lei: un capo. Proprio come la scomparsa del signore del fulmine, lo sventurato giorno della caduta dell'Olimpo, anche la luce che si stava affievolendo nel corpo di Atena avrebbe gettato nello sconforto gli dei greci, che sentivano di essere ormai inferiori ai Titani, abituati da tempo immemore alle asperità degli Inferi e dotati di poteri primordiali e incontrastabili.
"Non cedere, sorella" le sussurrò a un orecchio Apollo, che, in ginocchio, le teneva la testa sul grembo.
Atena pose gli occhi spenti su di lui. L'icore dorato che stillava dal suo ventre squarciato illuminava la nuda terra scura, spandendo un tenue bagliore attorno a lei.
"Che gran inganno è il dono della saggezza, fratello mio. Non mi permette di illudermi neppure in punto di morte. Io sto per abbandonarvi. Il mio spirito, la mia anima, sarà condannata a vagare accanto a voi, invisibile, e a soffrire nel vedervi cedere uno a uno, fino alla definitiva disfatta, senza poter più fare nulla per difendervi dalla vendetta dei Titani".
Nessuno parlò. Troppo fosche e logiche parevano le sue previsioni.
La guerra era sembrata impari fin da subito. Catapultati nel Tartaro, gli Olimpi avevano trovato i Titani ad attenderli, determinati a porre in atto la più crudele delle rivalse. Il primo a cadere era stato Ares, folle e arrogante, seppellito da Tifone sotto una roccia delle dimensioni di una montagna. Poi era stato il turno di Efesto, smembrato da Iperione e Crio.
Crono si era occupato del figlio Poseidone, scaraventandolo nel mare oscuro che circondava il Tartaro, ove il dio del mare aveva trovato Oceano a dargli il colpo di grazia. Dioniso, Hermes, e quindi Ade erano stati annientati senza grandi difficoltà dai violenti assalti dei Titani. Ad Afrodite, rapita, sarebbe forse toccato un destino persino peggiore della morte stessa. I pochi superstiti avevano trovato rifugio su un'altura, nel tentativo di riorganizzarsi. Ma l'unica cosa che potevano fare era ritardare la loro sconfitta.
"Che senso ha - disse Era con le lacrime agli occhi - rimandare il nostro ineluttabile destino? I Titani godono nel vederci braccati. Siamo divenuti come mortali alle mercé di dei irati che possono strappar loro la vita in qualsiasi istante. A che fine rinviamo ciò che non può essere cambiato?"
Prima che chiunque altro potesse farlo, una voce profonda e possente fendette l'aria con una forza quasi ipnotica.
"Non sei degna di essere la madre degli dei. La vita agiata dell'Olimpo vi ha forse mutati in un gregge di pecore? Se Zeus vi vedesse in questo momento approverebbe il vostro fato. Avete perso l'orgoglio! Per mia fortuna, sono un Gigante, altrimenti la vergogna che proverei sarebbe insostenibile".
Era alzò lo sguardo su Briareo, il Gigante tanto fedele a Zeus da condividerne la caduta lanciava lampi di indignazione dagli occhi.
"L'orgoglio? A cosa serve? Siamo perduti, e nessun essere umano canterà mai il nostro coraggio nell'affrontare i perfidi Titani, perché la razza umana ci ha già dimenticati, e anche se così non fosse, presto sarà anch'essa sterminata dal potere dei nuovi signori dell'Olimpo".
Briareo non rispose. Le volse le spalle, sporgendosi dalla rupe oltre la quale, più in basso, i Titani ridevano sguaiati, assaporando l'imminente trionfo.
"Venite, dannati! Briareo dalle cento braccia vi attende per darvi il benvenuto!" gridò al buio.
Urla ancora più sconce giunsero alle loro orecchie. I Titani si facevano beffe di loro.
"Adesso salto giù e..." una mano si poggiò sulle poderose spalle del Gigante.
"Non ancora. - lo arrestò Artemide - Non è ancora il momento di gettarsi allo sbaraglio".
Briareo serrò le mascelle con forza, ma non replicò.
"Ascolta, - riprese la dea della caccia - forse i tuoi fratelli sono ancora di guardia alla bronzee porte del Tartaro. Se le raggiungiamo ci faranno certamente uscire".
"Può darsi. Ma in quest'oscurità come troviamo l'ingresso? Il Tartaro è sconfinato".
Atena si alzò, facendo segno ad Apollo che non aveva bisogno di essere sorretta "Artemide ha ragione, - disse - la nostra strategia deve essere quella di cercare una via d'uscita. Ma, cosa ancora più importante, non perdete la speranza. Fino a quando anche solo uno degli Olimpi sarà in vita, noi saremo con lui e potremo tornare alla nostra forma divina. Quindi cercate di preservare voi stessi. Esiste..." una gamba le cedette. Puntellando un ginocchio a terra, si fermò un secondo, poi, con uno sforzo straordinario, si rimise in piedi.
"Esiste un piano - riprese - congegnato da Zeus e me per una situazione estrema come questa. È ardito, in verità, ma io ho fiducia in colui che non è uomo e non è dio. E anche in qualcun altro".
"Di chi parli?" chiese Demetra, fino a quel momento chiusa nei suoi silenziosi pensieri.
Atena non rispose. Si acconciò i capelli, orfani del suo elmo, sul capo, serrò le dita attorno alla lancia e strinse lo scudo. Quindi, con un balzo prodigioso, si lanciò nel vuoto, mentre Apollo e Artemide scoccavano nugoli di frecce per proteggere la sua discesa.
Nel momento in cui vide gli arti abominevoli dei Titani venirle incontro dal basso, lanciò il giavellotto mirando alla testa di Crono.
Quasi non si accorse, nel momento del trapasso, che le sue labbra, dalle quali non uscì suono, tentarono di dare la risposta che aveva negato a Demetra.
Eracle
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Liberate Prometeo!
FantasyI miti greci... pensate di conoscerli? Allora sappiate che esiste una storia che nessuno ha mai raccontato, che gli stessi dèi non hanno mai voluto venisse tramandata. Narra di Prometeo, costretto a una tortura ancora peggiore di quella cui lo sotto...