Il sigillo di Zeus

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Eracle tentò di alzare le braccia per proteggersi il viso, ma comprese che il suo gesto, puramente istintivo, non sarebbe servito a nulla.
Troppo rapida, troppo fulminea era la bestia che lo fronteggiava.
Chiuse gli occhi nel momento dell'impatto. Fu sorpreso dal sentire l'animale arrivargli addosso di peso, caricandolo, invece che mirare ad azzannarlo al collo.
L'eroe cadde all'indietro, incolume, mentre Teumessia guaiva, strisciando a terra.
Cos'era accaduto?
La volpe si leccava una zampa, trafitta da una freccia, e guardava con occhi pieni di astio oltre Eracle.
Il figlio di Zeus comprese tutto nel vedere Menodora, fiera sul suo cavallo candido, incoccare un altro dardo e puntare l'arma verso la volpe.
Eracle strinse i pugni: la ragazza lo aveva salvato, ma adesso erano in due a rischiare la vita.
"Menodora! Scappa!"
La principessa non rispose. Teneva sotto tiro la volpe, che restava immobile, come attendesse la mossa della ragazza.
Menodora rilasciò la corda dell'arco. La freccia saettò piantandosi sul terreno, nel punto in cui un attimo prima si trovava il corpo dell'animale.
La volpe, nonostante la ferita, era ancora troppo rapida; scattò attorno al cavallo bianco, che si impennò terrorizzato, rischiando di disarcionare il suo cavaliere.
Un'altra freccia costrinse però la bestia a fare qualche passo indietro. Adesso anche Nikandros la teneva sotto tiro.
Eracle guardò verso Alphaios, che si era portato alla destra del giovane. L'espressione dell'eroe era di rimprovero nei confronti del vecchio, che avrebbe dovuto tenere distanti i due ragazzi dallo scontro.
L'anziano si strinse nelle spalle, come a voler dire che non era riuscito a fermarli, poi, cogliendo tutti di sorpresa, si rivolse alla volpe che si muoveva guardinga.
"Teumessia, mi piacevi molto di più quando eri di marmo."
"Ti ricordi di me? Chi sei tu?"
Nikandros e Menodora, trattenendo a stento i cavalli impauriti, iniziarono a girare intorno alla fiera, nel tentativo di circondarla. La volpe faceva scattare la testa da uno all'altro per non perderli di vista, senza dimenticarsi mai di Eracle, che, dal canto suo, in piedi accanto al cadavere del proprio destriero, non muoveva un muscolo.
"Io sono solo un povero vecchio che crede ancora negli antichi dèi, che già una volta punirono la tua perfidia, e oggi lo faranno di nuovo."
Sulla bocca dell'animale si allargò un sorriso crudele "Non capisco se la tua stupidità è dovuta all'età, ma forse non ti sei ancora accorto che gli olimpici sono stati scalzati dai loro troni dorati. Non esiste più alcun dio in grado di opporsi all'avanzata dei miei padroni."
"E chi sarebbero costoro?"
Teumessia digrignò i denti "Non sei degno di conoscere i loro nomi."
"Non importa, lo scopriremo comunque. Dopo che sarai tornata al posto che ti compete: accanto a quel cane. Eracle, afferrala!" gridò rivolgendosi verso un punto alla destra della volpe.
Istintivamente, Teumessia si voltò nella direzione da cui Alpahios le aveva fatto credere sarebbe giunto Eracle. L'eroe, che invece aveva intuito l'inganno del vecchio, le si precipitò addosso dal lato mancino, afferrandola per la coda. Come se stesse per lanciare un sasso con una fionda, iniziò a farla roteare sempre più velocemente.
"Lanciala contro il cane!" ordinò Alphaios.
Eracle scaraventò la bestia contro la statua di Lelapo. Con un guaito disperato, nell'istante in cui toccò il cane, Teumessia divenne di pietra, sbattendo ai piedi del levriero, come se, ironia del destino, la volpe più veloce del pianeta fosse stata catturata da un cane nemmeno in grado di muoversi.


La dimora di Zeus si trovava sul picco più alto del monte Olimpo, in una posizione che dominava sugli sfarzosi alloggi degli altri dèi prima ancora che sul mondo intero. Il Signore del fulmine aveva riservato per sé un imponente tempio dalle colonne istoriate, al centro del quale campeggiava un trono di alabastro le cui decorazioni ricordavano a tutti gli immortali che venivano ammessi in quel luogo sacro le più straordinarie imprese compiute dal padre degli dèi.
Una lunga scalinata conduceva al tempio divino; posta sopra l'arco che delimitava lo spazio tra i gradini e la reggia, una meravigliosa aquila in marmo nero, come una poderosa guardia, vigilava su coloro che avevano l'ardire di chiedere udienza.
Deimos si alzò in punta di piedi per toccare le zampe della statua, colpito dalla perfezione delle forme del rapace.
"Io non ci giocherei troppo. Si dice che, quando viene pronunciato il suo nome, si animi e attacchi chiunque tranne colui che l'ha chiamata. Pare sia per questa ragione che l'unico a conoscerne l'appellativo fosse Zeus."
Deimos tolse istintivamente la mano dal gigantesco volatile, tra le risate del fratello.
"Phobos, ti diverti a farmi paura, come al solito. È una bugia, vero?"
Senza rispondere, ma con un largo sorriso sulle labbra, Phobos fece segno al fratello di seguirlo dentro l'uscio.
Persino lui, però, ebbe un momento di esitazione, se non addirittura di timore reverenziale, nell'osservare i due numi in mezzo al tempio.
Seduto sul trono stava Kratos. Il titano emanava un'aura di potere così forte da avere una forma e un peso, che faceva gravare su coloro che posavano lo sguardo su di lui.
La potenza di Kratos era accresciuta da colei che stava in piedi, alla sua destra. La titanide Bia, personificazione della forza, poggiava le dita sulla spalla del fratello.
I capelli corvini, sciolti sulle spalle tornite e muscolose, ne addolcivano la figura, che trasudava femminilità nonostante l'energia che ne permeava l'essere.
"Avanzate, figli reietti di Ares."
Kratos fece vibrare le pareti con la profondità della propria voce.
I due fratelli si avvicinarono allo scranno, poggiando un ginocchio a terra in segno di sottomissione quando furono in prossimità dei due titani.
"Quali notizie portate?" domandò Bia.
"Il terrore dilaga. Ormai gli uomini sono arroccati nelle proprie città, gli unici luoghi nei quali abbiano, per ora, speranza di trovare salvezza." rispose Deimos rivolgendosi prima alla titanide e poi a Kratos.
"Molti villaggi e paesi sono stati distrutti dai nostri demoni e mostri. - aggiunse Phobos - Sparta è sotto assedio, e presto attaccheremo Tebe. Quando questa cadrà, daremo l'assalto ad Atene, che raderemo al suolo e ricostruiremo come città dedicata al culto dei nuovi déi."
I due fratelli si aspettavano di compiacere la nuova coppia che dominava l'Olimpo, ma non fu così.
Kratos si erse sul trono, spandendo vibrazioni di potere talmente forti da far tremare la montagna.
"Lui dov'é?" chiese.
Deimos e Phobos si scambiarono uno sguardo preoccupato. Temevano quella domanda.
Phobos, il dio della paura, ebbe il coraggio di rispondere "Non lo sappiamo ancora. Il sigillo di Zeus è potente e offusca la nostra vista. Non riusciamo a distinguerlo in mezzo ai mortali."
Kratos non batté ciglio, mentre gli occhi di Bia si accesero di un fuoco violento. "State abusando della nostra clemenza. Vi abbiamo risparmiato il destino di vostro padre e affidato le nostre armate. "l vostro compito era semplice, ma avete fallito."
Fece due passi in direzione dei figli di Ares, sui quali svettava per forza e imponenza.
"La prossima volta che tornerete al nostro cospetto, avrete compiuto il vostro dovere. O sarà l'ultima volta che vedrete la luce."
I due fratelli abbassarono il capo, in segno di rispetto, e uscirono dalla casa di Zeus.


Quando furono distanti, Kratos si alzò in piedi, inondando il tempio di potere "Il sigillo di Zeus è ancora potente, nonostante egli sia scomparso."
"Ha infuso in esso tutto ciò che gli restava dopo la battaglia. - considerò Bia - Dobbiamo trovare ciò che cerchiamo. Se quei due buoni a nulla dovessero fallire, guiderò io stessa la caccia."
Senza che la sua voce tradisse alcun sentimento, Kratos replicò "Il sonno di Mnemosyne si è fatto più leggero, lo sento. Quando si sveglierà, la missione dovrà essere compiuta."
"E così sarà, fratello. Ma non è questo che ti inquieta, vero?"
"Non posso mentirti, Bia. Tu sola, tra tutti gli immortali, sei in grado di leggere nel mio animo insondabile."
"Non dubitare. Quando romperemo il sigillo, Nike e Zelos torneranno tra noi. E domineremo insieme a loro su titani, déi e mortali per i tempi a venire."
"Che il fato ascolti le tue parole, sorella."


"Dobbiamo trovarlo, - esclamò Deimos appena messo piede all'esterno della dimora usurpata da Kratos - non voglio fare la fine di nostro padre."
Phobos, corrucciato, scese la maestosa scalinata, lungo la quale fiaccole inestinguibili illuminavano il percorso a intervalli regolari.
Messo piede oltre l'ultimo gradino, posò lo sguardo sulla fontana dorata al centro del foro, poi si voltò a guardare verso l'alto.
Ebbe la sensazione che l'aquila lo stesse osservando.
"Forse abbiamo preso la decisione sbagliata, Deimos."

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