Bruma

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Eracle batteva energicamente, ormai da parecchi minuti, sullo spesso portone di legno che chiudeva l'accesso principale alla città di Tebe.
"Lassù, sulle mura, c'è qualcuno?" gridò nella speranza di ricevere una risposta.
L'unico suono che giunse alle sue orecchie fu invece quello causato dal vento che faceva stormire le fronde degli alberi. Istintivamente si portò una mano a grattarsi la guancia pelosa, come era solito fare quando era perplesso.
"Non si sente nulla. Che diamine succede?"
Alphaios era rimasto in silenzio mentre Eracle cercava di contattare qualcuno oltre la cinta "Ho la sensazione che non ci apriranno" rispose l’anziano guardandosi attorno.
Il tono delle sue parole era piatto, come se, annoiato, stesse tenendo una lezione a una classe di ragazzini svogliati.
"Mi sembri distratto. Cosa ti dicono le tue orecchie canute?" lo pungolò con una punta di dispetto.
Il vecchio arricciò gli angoli della bocca "Sento qualcosa..."
"Qualcosa di buono o cattivo?" intervenne Acmone, al solito legato al fratello e impossibilitato a fuggire.
Alphaios non rispose. Annusò l'aria come un segugio.
Passalo diede una scrollata al fratello, tirando la corda che li univa "Lascialo stare. Non tentare la sorte, il vegliardo porta sfortuna" sorrise provocatoriamente, ma il vecchio sembrava troppo preso per badare ai due ladruncoli.
"E se tentassi di scalare le mura? - propose Nikandros - Sono un buon arrampicatore, non avrei difficoltà ad arrivare in cima".
Eracle fece cenno al giovane che l'idea non gli piaceva. Dentro la città c'era sicuramente qualcuno; in caso contrario, ovvero se la polis fosse stata abbandonata o fosse caduta, di certo nessuno avrebbe badato a chiuderne l'ingresso. Il fatto che non ci fossero risposte ai loro richiami gli pareva più un segno di ostilità che di assenza di vita.
D'un tratto, il cavallo di Menodora scalciò agitato. La ragazza riuscì a calmarlo, ma la reazione del destriero la spaventò "Eracle, non è mai successo che si comportasse in questo modo. Sente un pericolo".
"Ha ragione" confermò Alphaios, senza aggiungere altro.
"E quella cos'è?" chiese Passalo, indicando un punto appena più avanti rispetto ai suoi piedi.
Eracle strizzò gli occhi per accertarsi di vedere bene. Una densa bruma si stava addensando a una velocità innaturale, minacciando di inghiottirli. L'evento atmosferico, così insolito, aveva qualcosa di sinistro.
"Eracle, - disse Alphaios toccando l'eroe sulla spalla col bastone per attirarne l'attenzione - dobbiamo entrare nella città, o siamo spacciati".
L'eroe annuì; aveva imparato che il vecchio non parlava mai a sproposito.
Si pose davanti alla porta, colpendola con un violento pugno che fece scricchiolare il legno. "Se non ci aprono i tebani - affermò deciso - ci faremo strada da soli".
"Fermi!" ruggì imperiosa una voce sulle loro teste.
Schierata sulla mura cittadine era apparsa un'intera compagnia di arcieri. Decine di frecce puntavano su di loro, pronte a compiere il loro mortale tragitto.
"Fateci entrare! - urlò Eracle - Veniamo da Oropo in cerca di aiuto, non siamo nemici!"
"Tutti sono nemici, ormai. Andatevene" rispose colui che sembrava a capo della truppa.
"Abbatterei questa barriera senza fatica, se solo..." scattò Alpahios, lasciando cadere la frase.
"Se solo avessi la mia forza, vecchio?" chiese Eracle, ma lo sguardo dell'anziano non gli svelò se avesse colto nel segno. Era un rischio sfidare quei soldati, che avrebbero potuto colpirli in qualsiasi momento. In verità non era preoccupato per sé, quanto per i suoi compagni, soprattutto i giovani principi, dei quali si sentiva responsabile.
Ormai non riuscivano più a vedere nemmeno i loro piedi. La nebbia era sempre più fitta e ormai arrivava alla cintola.
"No, buoni! No!" gridò Menodora. Presi dalla frenesia e dal panico, i cavalli strattonarono le briglie con le quali la principessa e il fratello cercavano di controllarli, e fuggirono nitrendo impazziti.
Eracle intervenne per impedire che i due giovani corressero dietro ai loro destrieri, che in un attimo si persero nella foschia. Menodora si volse verso l'eroe. Le lacrime che le bagnavano gli occhi rivelavano un misto di sentimenti difficile da decifrare: dolore, rabbia, paura. Nikandros invece era talmente pallido da mimetizzarsi nel bianco lattiginoso che gli lambiva il petto. I due ladruncoli Acmone e Passalo, dal canto loro, non muovevano un muscolo, anche se l’occasione sarebbe stata perfetta per fuggire.
Eracle alzò gli occhi sui soldati "Ve lo chiedo per l'ultima volta. Aprite le porte".
"Perché, altrimenti cosa fai? Le abbatti?" sghignazzò un arciere.
"Ebbene, - disse volgendosi ad Alphaios - se tu non puoi farci entrare, io posso. Chiamate i falegnami, manica di idioti, perché ne avrete bisogno dopo che Eracle sarà entrato in città" concluse rivolgendo la frase ai guerrieri sulle mura e accompagnandola con una violenta spallata che fece tremare le pareti.
"Che diamine fai, pazzo? Abbattetelo!" gridò il capo delle guardie, facendo segno di scoccare le frecce.
"Nessuno si muova!" comandò qualcun altro. Un soldato non riuscì però a fermarsi. La freccia partì, indirizzata a Eracle. Con una mossa di una rapidità inaspettata, Alphaios la deviò col suo bastone.
L'eroe non fece in tempo a stupirsi, perché da sopra i bastioni qualcuno lo chiamò "Per la barba di Zeus! Eracle! Che state facendo, razza di stolti, come osate impedire a un figlio di Tebe di tornare alla sua città?”
Quella voce… la conosceva. La nebbia al di fuori saliva, mentre quella nella sua mente si stava diradando. Un nome ne emerse: Laodamante, sovrano della città.
Nell'istante in cui la nebbia li inghiottì del tutto, le porte iniziarono lentamente ad aprirsi. Eracle non vedeva più i suoi compagni, per quanto fossero a pochi passi da lui. Si chiamarono allora l’un l’altro, stringendosi più vicini per farsi coraggio.
Un nitrito distante fendette l’aria, simile a un grido di dolore. “È il mio cavallo! Lo vedo” esultò Menodora.
Una figura scura, dai contorni indefiniti, si stava facendo largo nella nebbia, muovendosi verso di loro.
“Sta tornando” gioì la principessa. Intanto le porte si erano schiuse abbastanza da permettere loro di entrare uno alla volta.
“Tu va’, lo prenderò io” le assicurò Eracle, mentre la spingeva gentilmente oltre l’ingresso della polis.
“Il nitrito non veniva da quella cosa. Non si tratta di un cavallo” gli sussurrò Alphaios. La figura oscura era sempre più grande, troppo per un semplice equino.
“Lo vedo. Forza, dentro! - ordinò all’anziano compagno - Laodamante, chiudi le porte appena siamo passati” urlò poi.
Obbediente, il re tebano dispose che fossero di serrati i portoni, anch’egli allarmato dalla presenza misteriosa che si stava avvicinando.
Entrando, Alphaios notò che i principi, Acmone e Passalo erano già circondati da un folto gruppo di persone, le quali però avevano un atteggiamento ospitale nei loro confronti.
Sentendo le porte richiudersi si volse alla sua sinistra per parlare con Eracle.
Il cuore gli balzò in gola.
L’eroe era scomparso.

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