Identità perdute

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«Arriva!»

L'urlo di terrore lo fece sobbalzare. I contorni sfumati di quanto stava sognando evaporarono, lasciandogli nell'animo solo una moribonda malinconia, subito sostituita dall'apprensione che ogni nascente notte di sangue portava con sé. Gli era parso di cogliere, nel sogno, brandelli di ricordi confusi, come se, lentamente, la memoria perduta tentasse di tornare a galla, ma la superficie tempestosa della sua coscienza glielo impedisse.

Indossò i calzari e la pelle di leone, afferrò la robusta clava e si precipitò fuori dalla traballante capanna che la gente di Oropo gli aveva messo a disposizione. Per tempi come quelli, era già un miracolo trovare qualcuno che lo ospitasse.

Certo, i suoi benefattori non erano disinteressati: le sue incredibili doti di guerriero lo avevano presto reso indispensabile per quel popolo composto principalmente da contadini e pescatori, che senza di lui sarebbero stati spazzati via dai demoni tempo addietro.

Le scene di panico cui assistette, alla luce traballante delle torce in mano alla gente che scappava, gli serrarono lo stomaco in una morsa di tensione; c'era qualcosa che non andava, qualcosa di diverso dagli altri attacchi.

Corse verso la cinta muraria.

Una mano bianca e scheletrica lo afferrò, le unghie lunghe e scheggiate gli graffiarono il braccio quasi senza che lui se ne accorgesse.

«Fermati, potente guerriero! Questa volta non è una squadra di demoni quella che dovrai affrontare. Servirebbe un dio per sconfiggere il mostro alle porte del villaggio. Scappa, finché sei in tempo.»

Il guerriero straniero afferrò il polso dell'anziano, allontanandolo «Hai di nuovo voglia di fare il menagramo, vecchio? Trovati un posto sicuro, non voglio che tu ti faccia male.» lo ammonì, serio, mentre si allontanava in direzione delle grida di terrore.

Il vecchio gli urlò un ultimo ammonimento «Vuoi morire? Pazzo! Allora almeno rammenta le mie parole: non guardare mai la creatura negli occhi!»

Senza rispondergli, il guerriero alzò il pugno, come per segnalargli che aveva compreso il suo avvertimento.

Il vecchio lo osservò scomparire nel tumulto, mentre uno strano sorriso si allargava sulle sue labbra «Finalmente scoprirò se ho ragione.»

Facendosi strada a forza tra la gente che correva in modo confuso, incerta su dove andare a nascondersi, giunse di fronte alle porte, difese da un consistente numero di soldati impegnati a tenere chiuso l'accesso, come se, dall'altra parte, una forza straordinaria cercasse di aprirsi la via per penetrare nella cittadina.

Proprio in quel momento, la truppa a difesa dell'accesso cedette. Le porte si abbatterono, schiantandosi sugli uomini, che non ebbero il tempo di fuggire. Molti morirono, schiacciati dal legno che avrebbe invece dovuto proteggerli.

Dalla porta squarciata penetrò una gigantesca testa di serpente. Gli occhi emanavano un bagliore simile alla luce di un faro. I pochi superstiti che ne incrociarono lo sguardo, avrebbero portato nell’oltretomba, come ultima immagine, quella del mostro che li aveva tramutati in pietra.

La lingua biforcuta guizzava famelica, quasi pregustasse il lauto pasto di cui avrebbe presto goduto.

Il guerriero si arrestò un momento, non solo per ammirare lo spettacolo, straordinario e terribile, del serpente gigante.

Accanto alla paura che umanamente sentiva mordergli i visceri, iniziò a provare una strana brama di sfida, come se avesse già affrontato e sconfitto mostruosità tanto terribili.

Ma quando? Non ricordava.

Il serpente roteò la testa. Stava cercando qualcosa. Quando si arrestò, fissando le iridi allungate su di lui, comprese che l'Anfisbena aveva riconosciuto la preda designata.

Anfisbena... come faccio a conoscere il nome di questo orrendo animale?

Distolse lo sguardo, memore dell'ammonimento del vecchio; in quell'istante, la testa guizzante tentò di azzannarlo, muovendosi con inaudita rapidità. Non bastò, perché il guerriero fu più veloce. Come se un dio si fosse impossessato del suo corpo, spiccò un balzo impossibile per un essere umano, calando un fendente di traverso in direzione della gola gorgogliante della bestia.

Questa volta fu la creatura a reagire fulminea. Rapida come la folgore di Zeus, l'Anfisbena chiuse le fauci sulla clava, frantumandola.

Con una capriola l'uomo cadde a terra, per poi rialzarsi immediatamente, ma solo per subire un colpo così poderoso da dargli la sensazione di essere stato percosso da un maglio. Centrato tra le scapole, crollò nuovamente al suolo a molti metri di distanza.

L’impatto col terreno lo intontì. Ci mise alcuni attimi a tornare lucido. Alzò lo sguardo, scuotendo i capelli impolverati. Ciò che vide, però, lo fece dubitare dei suoi stessi occhi, perché il mostro che si trovava di fronte a lui non si differenziava da un normale serpente solo per le colossali dimensioni. Dove avrebbe dovuto trovarsi la coda, era infatti presente una seconda, orrida testa, del tutto simile a quella presente all’altra estremità del corpo flessuoso, ed era proprio con quel secondo muso che la bestia lo aveva centrato pochi secondi prima.

Rotolando sulla schiena, riuscì a evitare di essere infilzato dai denti appuntiti dell’enorme serpe bifronte. La lotta impari cui lo costringeva l'impossibilità di fissare direttamente il nemico, invece di impaurirlo, lo rese più furioso.

Sentendo la rabbia moltiplicargli le forze, afferrò con le braccia la testa che lo stava attaccando. Quasi fossero il laccio di un forca, strinse i bicipiti con forza sovrumana, nel tentativo di strangolare l’animale.

Come aveva previsto, l’altra testa lo attaccò, abbattendosi su di lui alla stregua di un gigantesco colpo di frusta. Ma stavolta era preparato: evitò con uno scarto di lato l’assalto del mostro, e, senza lasciare la presa sull’altro capo, saltò con i piedi al centro della testa triangolare, proprio in mezzo agli occhi, inchiodandola a terra.

Fece appello a tutte le sue energie, mentre con le braccia soffocava un’estremità e con le gambe premeva sull’altra con tale forza da dare la sensazione di volerla seppellire.

Il mostro provò in tutti i modi a divincolarsi, scuotendosi come impazzito, ma l’eroe non mollò la presa, moltiplicando le forze.

«Sei forte, ma stupida!» gridò alla bestia, in un impeto di ferocia.

Dopo un tempo che parve interminabile, il serpente iniziò a perdere furore, indebolendosi fino ad afflosciarsi, abbandonato dal soffio vitale che ne aveva animato l'impeto omicida.

Ansante, il guerriero cadde in ginocchio, mentre ampi rivoli di sudore scorrevano sul suo petto.

La gente, festante per lo scampato pericolo, lo attorniò, aiutandolo a rialzarsi, e circondandolo in un grande abbraccio.

«Ah, lo sapevo!»

Il grido del vecchio sovrastò tutte le altre voci. Decine di occhi si voltarono su di lui.

L’anziano si avvicinò lentamente, poggiandosi a ogni passo sul vecchio bastone, comparso tra le sue mano d'improvviso. La folla si aprì al suo passaggio, come in soggezione di fronte a quello sguardo spiritato.

Il vecchio prese fra le mani il viso sporco e sanguinante dell’eroe. «Ti ho ritrovato, ultima speranza di dèi e uomini. Salute a te, prode Eracle

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