Il sovrano cinse i figli, piangendo. Eracle e Alphaios attesero con pazienza il saluto tra il re e i due ragazzi. Dopo aver dato un'ultima stretta al padre, Menodora si voltò, trascinando via Nikandros, e fece segno ai due compagni di viaggio che anche i prìncipi erano pronti a partire. Da quel momento, non si girò più verso la sua città e la gente che la salutava commossa, come se, per lei, fossero scomparsi per sempre.
Il fratello, invece, guardò più volte, con le lacrime agli occhi, in direzione delle mura, fino a quando scomparvero alla vista.
Re Demetrios aveva donato loro i quattro stalloni più belli in suo possesso. Menodora montava una splendida giumenta bianca dalla criniera dorata come i raggi del sole, mentre Nikandros cavalcava un destriero nero i cui muscoli guizzanti davano la sensazione che potesse gareggiare in velocità persino con Hermes.
A Eracle e Alphaios erano toccati due cavalli del colore delle castagne mature, ugualmente alti e slanciati, tanto che il vecchio, nel salire in groppa al suo, aveva goffamente rischiato di cadere a terra. L’intervento tempestivo di Eracle gli aveva evitato qualche osso rotto, ma non la figuraccia, che aveva rappresentato l’unico momento ilare nel mezzo del triste addio.
Le bisacce che portavano a tracolla e le sacche di pelle, rigonfie di provviste, che appesantivano i cavalli, avrebbero assicurato loro il sostentamento per qualche giorno.
La meta finale del viaggio sarebbe stata Tebe, come proposto da Alphaios dopo un colloquio riservato con Menodora e Demetrios.
Eracle non si era opposto: le uniche città che potevano venire in soccorso di Oropo erano Tebe e Atene. In quel momento, una valeva l'altra, ed entrambe le destinazioni sarebbero state ugualmente difficili da raggiungere.
In ogni caso, avrebbero comunque dovuto fare affidamento sui beni che avrebbero acquistato in qualche villaggio sulla strada. Il re, per quanto la situazione fosse difficoltosa anche per lui, li aveva dotati di una scorta sufficiente di monete d'oro.
Che però, si disse Eracle, avrebbero fatto gola anche a qualche banda di furfanti. Fortunatamente erano anche stati equipaggiati con archi e spade, per quanto l’eroe dubitasse che i suoi compagni sapessero usare le armi con sufficiente destrezza.
Dopo una lunga giornata di cammino, trascorsa battendo percorsi secondari per non rischiare di incappare in incontri spiacevoli, intravidero un villaggio di pastori in lontananza.
«Avviciniamoci. Forse laggiù c'è una locanda in cui passare la notte, - propose Alphaios - o almeno una stalla in cui riposare al caldo. I prìncipi non sono avvezzi a viver da vagabondi.»
Eracle, che non aveva quasi mai aperto bocca da quando erano partiti, si concesse un mezzo sorriso «Di’ pure che sei troppo aristocratico per poggiare le terga sulla nuda terra.» lo canzonò.
Il vecchio non era tipo da farsi prendere in giro «Parli bene tu, che sei giovane e forte. Ma ti posso assicurare che un tempo avresti tenuto a freno la tua lingua, per non incorrere nella mia ira.» rispose con un tono quasi minaccioso. Eracle trattenne a stento un moto di riso, per nulla intimorito dal vibrante monito dell'anziano. Alphaios lo guardò in tralice, poi, come illuminato da un'intuizione, profetizzò «Un giorno sarai onorato di assomigliarmi, vedrai!»
L'eroe fece spallucce, volgendosi verso i prìncipi che assistevano interessati al battibecco.
Menodora rideva divertita; la sua voce argentina trasmise allegria anche a Eracle e Nikandros, che scoppiarono in una fragorosa risata quando l’anziano spronò il cavallo in direzione del villaggio, brontolando.
Erano ormai a qualche stadio dal paese quando Alphaios si arrestò d’improvviso.
«Fermi, – ordinò – c’è qualcosa di strano. Guardate.» aggiunse, indicando in alto, sopra le abitazioni ormai in vista.
Eracle dovette aguzzare la vista prima di capire a cosa si riferisse il vegliardo. Un nutrito stormo di uccelli neri volteggiava sul villaggio. Nonostante l'età, il vecchio possedeva la vista di un'aquila.
«Vado a vedere, voi non avvicinatevi. Aspettate il mio ritorno, intesi?»
I due fratelli annuirono, spaventati. Alphaios grugnì una mezza parola incomprensibile che Eracle interpretò come un sì.
Appena entrato nel paese, l'eroe venne aggredito dall'odore della morte. Non c'era anima viva in giro, ma le chiazze rossastre che sporcavano il terreno e i muri delle povere case dei pastori rappresentavano un tragico indizio circa le sorti delle persone che avevano popolato quel luogo.
Si spinse fino alla piccola piazza al centro del paese.
Una statua di un cane di notevoli dimensioni campeggiava vicino a un piedistallo vuoto, come se lì accanto in precedenza fosse presente un'altra scultura, scomparsa senza lasciare traccia.
L'espressione di quell'animale, lo sguardo sincero e fedele, gli rammentavano qualcosa. Forse una vecchia storia...
Il suo cavallo nitrì, impennandosi. Eracle venne disarcionato, cogliendo vagamente la forma che li aveva assaliti. In un attimo fu nuovamente in piedi, accanto alla sua cavalcatura; la povera bestia era scossa dai tremiti, la gola squarciata perdeva sangue in modo incontrollabile. Poté solo seguirne il trapasso, fino a quando la luce negli occhi del cavallo si spense.
L'eroe rivolse un muto ringraziamento al destriero per aver donato la vita difendendolo, poi concentrò l'attenzione nei confronti della figura che gli si era parata davanti.
Fece scorrere lo sguardo sulla pelliccia rossastra, che lasciava il posto, sul ventre, a un manto candido che terminava in una voluminosa coda. Le orecchie triangolari, mobili e tese, rappresentavano un segno di intelligenza cui i due occhi, di un viola carico, aggiungevano un tocco di crudeltà.
Aprì la bocca, scoprendo denti piccoli, affilati e grondanti sangue.
Il sangue del suo cavallo.
«Ci rivediamo, figlio di Zeus. Ti ricordi di me?»
Sorrise, come può sorridere una volpe grande quasi quanto un destriero.
L'eroe non rammentava, ma i suoi sforzi erano più orientati a valutare la pericolosità dell'essere che aveva di fronte che a scavare nel proprio passato.
«Oh, la tua memoria - disse con un tono di falsa commiserazione - non funziona bene, vero? Sono successe molte cose, ultimamente.»
«Che ne è stato della gente del villaggio?» le chiese.
La volpe si mosse, girando attorno alla statua del levriero. La coda sfiorò le zampe del cane, accarezzandolo, ma quel gesto non aveva nulla di affettuoso.
«Essere costretta a restare immobile per così tanto tempo stimola l'appetito. Se il mio amico Lelapo non fosse così rigido - rise con perfidia - potrebbe confermartelo. Questi pastori sono saporiti. Sapessi poi com'erano teneri i bimbi più piccoli...»
Eracle scattò, determinato ad annientare la volpe. Balzò al collo dell'animale, ma quando chiuse le mani catturò solo aria.
Un dolore lacerante esplose appena al di sotto della sua spalla destra, dove la pelliccia di leone che indossava lasciava scoperto il braccio. Fece partire un pugno tanto poderoso da abbattere una quercia, ma ancora una volta colpì il vuoto.
La volpe ricomparve pochi passi più avanti, le unghie arrossate dal sangue dell’eroe.
«Quando, tra breve, scenderai nell'oltretomba, e ti chiederanno chi ti ha strappato la vita, rispondi pure che sei stato sconfitto da Teumessia, la volpe inafferrabile.»
Appena terminò la frase, tanto veloce da essere quasi invisibile, l'animale balzò al collo dell'eroe con le zanne sguainate.
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Liberate Prometeo!
FantasyI miti greci... pensate di conoscerli? Allora sappiate che esiste una storia che nessuno ha mai raccontato, che gli stessi dèi non hanno mai voluto venisse tramandata. Narra di Prometeo, costretto a una tortura ancora peggiore di quella cui lo sotto...