Capitolo 1

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Può una foto, scattata per caso, riportare alla mente ricordi che nemmeno più si sapeva di avere? E possono quei ricordi indurci a compiere azioni che mai avremmo immaginato di avere il coraggio di fare? Verrebbe da dire no, a entrambe le domande. E invece…

La luce era assolutamente perfetta per scattare foto quel pomeriggio.

Sara se ne era resa conto uscendo sul terrazzo per appoggiarci il suo ultimo acquisto, un panciuto cactus irto di spine gialle tanto belle quanto letali.
Un raggio di sole l’aveva avvolta e aveva inondato il suo campo visivo di quel dorato soffuso e perfetto che i fotografi invocano come la manna dal cielo.

Così aveva rimandato la piantumazione del suo ultimo acquisto e si era predisposta alla svelta ad uscire.
Un paio di jeans e un piumino leggero, sneaker comode ai piedi e i capelli legati, perché non le fossero d’intralcio.

Aveva sceso le scale con un lieve batticuore, timorosa che nel tempo che ci aveva impiegato per arrivare in strada quella luce speciale fosse già svanita, invece incredibilmente era ancora lì a dipingere quel piccolo angolo di Roma con gocce calde d’ambra dorata.

Si era guardata intorno, indecisa se dedicarsi agli ennesimi scatti alle monumentali effigia del passato che la città eterna regalava -il Colosseo era meraviglioso sempre ed ogni scatto era diverso dal precedente ed ugualmente bello anche se lo avesse immortalato mille volte- o dirigersi al parco lì vicino a cercare i tanti volti della domenica romana.

L’indecisione era durata un attimo, poi si era diretta verso il parco, desiderosa oltre che di realizzare qualche scatto anche di godersi un po’ di natura.

La fotografia era un hobby che coltivava da molti anni, una passione vera, a cui si dedicava con entusiasmo ogni volta che i suoi impegni lavorativi gliene davano modo, che la distraeva e che le permetteva anche di entrare in contatto con varie sfaccettature del mondo, convinta com’era che attraverso l’obiettivo della sua Reflex la realtà fosse un po’ più vera di come si mostrava ai suoi occhi.

I primi scatti li aveva riservati a un paio di adorabili vecchietti seduti su una panchina, entrambi trincerati dietro i loro giornali.
Il fatto che fossero seduti così accostati e l’età simile suggeriva un amicizia di lunga data ma nessuno dei due parlava, immerso com’era nella lettura del proprio quotidiano.
Sara aveva sorriso mentre li inquadrava e scattava, curiosa di scoprire cosa avrebbe raccontato di loro la pellicola quando l’avrebbe sviluppata, poi si era diretta verso la parte più ariosa del parco dove aveva visto radunarsi parecchie persone.

Avvicinandosi si era resa conto di essere arrivata nel bel mezzo di una piccola cerimonia: svariate persone, perlopiù ragazzi e genitori si stavano dando da fare a interrare svariate tipologie di piante, sotto l’occhio vigile del  rappresentante della lista politica che aveva caldeggiato l’iniziativa e di alcuni rappresentanti delle istituzioni.

Sara aveva dato un’occhiata al titolo dell’iniziativa e aveva ricordato di averne letto, sui quotidiani on-line, poi si era dedicata alle sue foto, cercando di fare il possibile, ora che ne conosceva lo scopo, per cogliere la vera essenza del simbolismo di quell’evento.

Aveva concentrato il suo obiettivo sulle mani dei ragazzi e sulla cura con cui reggevano il fusto, o su quelle gioiose dei bimbi che gettavano la terra nelle buche in cui gli alberelli erano messi a dimora, e infine aveva cercato di cogliere la serenità che un simile gesto può procurare nei visi degli adulti radunati in gruppetti.
Aveva zoomato su volti ed espressioni e, cosa che le l’aveva a sua volta rallegrata, su svariati sorrisi, finché ne aveva inquadrato uno che le aveva fatto mancare un battito.

Possibile?

Con la punta delle dita, appena meno ferme del solito, aveva ruotato leggermente la ghiera dell’obbiettivo, fino a quando era riuscita a vedere tutto quanto il volto.

Ciuffo un po’ scomposto, sorriso ampio e piccole rughe intorno agli occhi. Fossette, rese più profonde dal sorriso e incisivi bianchissimi, quelli centrali lievemente sovrapposti, un piccolo particolare che allontanava il suo volto dalla perfezione ma lo arricchiva di quella bellezza che conferisce l’unicità di un piccolo, delizioso difetto.

Era lui, non c’erano dubbi.

Le dita avevano continuato a inquadrare e scattare, protesi sconnesse dal battito tumultuoso del cuore e la fotocamera aveva seguito il movimento della mano, salita a stringere appena il braccio di un ragazzo alto e magro, somigliante a lui come una goccia d’acqua,  poi il movimento del braccio a sovrapporsi all’altro, in quel gesto tutto suo che per lui rappresentava l’incrociare le braccia sul petto.

Aveva continuato, completamente assorta nei click consecutivi degli scatti finché una lucina rossa sul lato sinistro della macchina fotografica aveva preso a lampeggiare per avvisarla che la luce esterna non era più sufficiente e che era necessario cambiare le aperture del diaframma.

Aveva abbassato la fotocamera a fatica, con addosso una strana sensazione, la stessa di quando ci si risveglia bruscamente da un sogno che ci stava molto coinvolgendo e lo aveva guardato, senza più il velo dell’obiettivo.

Lui non si era accorto di nulla e aveva continuato tranquillamente a chiacchierare finché il ragazzo davanti a lui aveva finito di piantare l’alberello e insieme si erano voltati e avevano raggiunto un altro gruppo di persone.
Sara, con addosso la stranissima sensazione di sentirsi esclusa da qualcosa a cui non aveva nemmeno compreso di voler partecipare, aveva chiuso la macchina nella borsa e si era avviata verso casa, senza più fotografare nulla.

Giunta a casa nulla era riuscita a fare se non chiudersi nella camera oscura e sviluppare immediatamente tutti gli scatti.

E ora mentre guarda quella foto, e quel sorriso, non riesce a pensare ad altro che a lui e a quel piccolo sfarfallio nel suo battito, lo stesso di quando, anni prima le era successo di lavorare al suo fianco.

Non lo vede da allora, ed era convinta di averlo dimenticato, relegato insieme a quel passato felice che era stato spazzato via da tutto ciò che era successo dopo, ma qualcosa, nel batticuore scomposto che continua a frullarle nella gola, le sta facendo comprendere che non è così.

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