Capitolo 14

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"Cazzo, ma davvero non capisci che è una pagliacciata assurda? E che in termini di credibilità vi costerà e soprattutto ti costerà un prezzo altissimo?"

Sara è a un soffio dal far volare le file ordinate di documenti che affollano la scrivania di Filippo. Maledizione, lui così ordinato e rigoroso e loro, loro...

"Come fai a non capirlo, che una parte di paese vi riderà dietro per il resto dei vostri giorni e vi rinfaccerà questa cosa per tutti gli anni a venire, finché rimarrete sulla scena politica? E che tu verrai trattato come un sempliciotto, come uno che non sa imporsi, per avergli permesso una cosa simile? O peggio, diranno che sei, come ha detto quel coglione a Bruxelles? Un burattino?"

Filippo si volta, lo sguardo fiammeggiante e la raggiunge. Parla per la prima volta da quando lei gli è arrivata in ufficio come una furia, e lo fa quasi sibilando ma scandendo così bene le parole che Sara ha la sensazione di sentirle tagliare, sulla pelle

"Non dire più quella parola, Sara, non ti permettere"

"Non ti permettere? Ma chi credi di essere tu, per dirmi cosa devo o non devo dire?" gli si avvicina furibonda, e annulla la distanza tra i loro visi. Riesce a sentire il profumo del caffè sulle labbra di Filippo ma è talmente furiosa che diventa amaro, nelle sue narici.

"Dico quello che voglio, soprattutto se si tratta della verità!"

Filippo ora è davvero inferocito. Ansima, di quella rabbia nera che ci invade quando siamo con le spalle al muro, quando a difenderci si muove solo l'orgoglio, perché la ragione, lo sappiamo bene, è di chi ci sta attaccando.

"Io non sono il burattino di nessuno! L'ho detto a lui e lo ribadisco a te. E se sei venuta solo per insultarmi, levati dal cazzo e lasciami lavorare!"

A Sara quell'attacco così volgare e cattivo scardina l'ultimo baluardo della ragionevolezza con cui si era imposta di dire la sua opinione.

"Ha ragione lui invece! E lo sai bene anche tu... Come lo vorresti chiamare un Presidente del Consiglio che si presenta in conferenza stampa con i suoi due vice al fianco, e che prima di mettersi a parlare chiede se una determinata cosa la può dire?" prende fiato e serra i pugni, il viso vicinissimo a quello di Filippo che pare una maschera di pietra.

"E come lo vuoi chiamare uno che permette di usare il balcone di Palazzo Chigi, di Palazzo Chigi, cazzo, a una banda di idioti che si affacciano per darsi il cinque e gridare che hanno vinto, che hanno abolito la povertà?"

Strattona furiosa le braccia che Filippo tiene ostinatamente serrate sul petto.

"Rispondimi, cazzo!"

L'ultimo ansito di Filippo diventa quasi un ringhio e si muove così fulmineo da spiazzarla totalmente : le afferra le braccia, le mani due morse d'acciaio sulla carne tenera e ne cerca la bocca, furibondo e implacabile. È un bacio cattivo e rapace, per ammutolire e piegare, per prosciugare quel fiume di parole e impedire che la verità, quella che sapeva benissimo ma che non voleva venisse palesata, potesse divenire tangibile attraverso la voce di Sara.

Lei ci mette qualche istante a reagire, il tempo di spegnere i sensi che quella pretesa così mascolina le hanno immediatamente acceso, poi si divincola furiosa e, ben lungi dall'arrendersi alla prepotenza della lingua di lui, ne cerca le labbra con i denti e morde forte, finché non sente il bocca il gusto ferroso del sangue.

Si allontana e, per nulla impietosita dal suo lamento gli scocca un'ultima occhiata furiosa, le braccia lungo i fianchi e i pugni serrati, poi lascia lo studio, e raggiunge il suo ufficio inferocita al punto da mandare a sbattere forte l'uscio dietro di sé.

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