“Cazzo”
“Cazzo”
Francesca si toglie gli occhiali e li posa sul tavolo poi li rinforca, riguarda il test e li toglie nuovamente.
“Porco cazzo”
Finalmente si decide a guardare Sara e ridacchia, poi le stringe la mano.
“Sono come al solito di grandissimo aiuto, vero?”
L’altra scaccia a fatica le lacrime maledicendosi, lei non ha mai pianto così tanto in vita sua, e prova a sorridere.
Le esce una piccola smorfia tremolante.
“Eh sì. Non so cosa farei senza di te”
È mattina, presto.
Il caldo non è ancora insostenibile e gli avventori del bar sono pochi, assonnati e per nulla inclini a farsi gli affari altrui.
Sara ha convinto Francesca a raggiungerla in quel piccolo locale, tra i Palazzi del Potere come li chiama lei, proprio perché sa che a discapito della sua posizione è un posto discreto.
Ha pochissimo tempo, l’agenda di quei giorni è fittissima e in più la lettura delle agenzie, appena sveglia, le ha fatto il quadro di una situazione che tenderà a ingarbugliarsi sempre più, ma ha bisogno di parlare con qualcuno, di avere un conforto, un sostegno. Che a breve potrebbe anche diventare una spalla su cui piangere perché non è assolutamente certa di come potrà reagire Filippo. Potrebbe anche darsi che…il respiro le si affretta, così come il battito e si ritrova a vagare con lo sguardo oltre l’uscita, in direzione di Chigi, intrappolata in quel silenzio troppo pesante da sostenere.
“Sara, che c’è? Scusami, sono una deficiente… dimmi tesoro, sono qui”
La voce di Francesca ha il potere di richiamarla e forse di ricondurla su un sentiero conosciuto, quello dell’amicizia e della fiducia assoluta che in qualche modo la tranquillizza.
Sorride, con più convinzione di prima.
“Niente… c’è che devo dirlo a Filippo e c’è che cinque minuti prima di scoprire che ero incinta ero decisa a lasciarlo, perché non sono assolutamente più disposta a calpestare le mie convinzioni per lui. Anche perché insomma non so nemmeno cosa sono io per lui, non ho capito…e c’è la possibilità che lui…e c’è che a volte non so nemmeno io se… Non so, non so più niente Fra”
Stavolta le lacrime le lascia uscire, e scendono a rigarle le guance pallidissime sotto il trucco.
Francesca sospira e per qualche momento non sa davvero che dire, perché le notizie sulle ultime prodezze di Perduti le ha lette anche lei e quando Sara l’ha chiamata, con la solita comunanza d’intenti che le fa muovere sincronizzate come se fossero una mente sola, stava per chiamarla, per chiedere conto di quanto ancora avrebbero tollerato delle asinerie di quel cretino.
Cerca qualcosa di adatto da dire ancora qualche istante, ma la sofferenza di Sara le svuota la testa e le chiude la gola, così fa la sola cosa che l’istinto le suggerisce.
Sposta la sedia accanto alla sua amica e le passa un braccio intorno alle spalle scosse dai singhiozzi, poi appoggia la fronte ai bei capelli biondo cenere di lei.
“Quindi divento zia?”
Sara annuisce appena.
“Ma come è successo, voglio dire…”ridacchia tra sé e sé e stringe più forte le spalle dell’amica “No, per carità, non me lo dire, che lo so come succede. Non pratico da un sacco di tempo ma lo so. È che…cioè, immaginavo steste attenti, che prendeste…?” scuote la testa, come a rimproverarsi e sospira “madonna santa ma cosa dico? sembro mia nonna, sembro. Che poi, ma chissenefrega. La cosa bella è che divento zia. E di chi?”
Sente la tempia di Sara gravare contro la sua fronte, ad accogliere quel conforto che sembra l’unica cosa di cui a bisogno.
L’ha chiamata apposta, ne è sicura, per sentirsi avvolta da quella ventata di follia e nonsenso che spesso caratterizza i suoi discorsi. E se è di quello che la sua amica ha bisogno, lei non si sottrarrà di certo, sarà la zia più folle e affettuosa dell’universo.
Sara intanto si è soffiata il naso e ora la guarda, gli occhi brillanti malgrado le lacrime.
“Di Massimo” sussurra, trattenendo un ultimo singhiozzo “come mio padre”***** * *****
Quando arriva al piano dei loro uffici ha una vaga idea di cosa fare, parlare con Francesca le è servito a fare il punto della situazione e a darsi delle priorità. Si è anche preparata mentalmente un piccolo discorso, e sta provando a contenere l’ansia, anche se è molto meno facile di come immaginava.
Ma le basta mettere piede fuori dall’ascensore per capire che nella settimana in cui sono stati assenti l’atmosfera è cambiata.
Sapeva cosa stesse succedendo, sono sempre stati in strettissimo contatto con Chigi e sa che il Ministro degli Interni ha praticamente spostato la sede del Viminale in un noto locale sulla spiaggia e da lì, tra un mojito e una corsa col figlio sulle moto d’acqua delle forze dell’ordine, mette in pratica alla lettera la sua assurda idea di impedire gli sbarchi.
Quello che non sapeva, perché ancora non lo aveva visto né respirato, è il caos che il suo comportamento sta disseminando, all’interno delle stanze di Chigi, quasi che i precari equilibri raggiunti in mesi e mesi di trattative e mediazioni siamo andati polverizzati in pochissimi istanti.
La sensazione che Sara riceve, dall’andirivieni continuo che la ingloba, mentre percorre il corridoio sino all’ufficio di Filippo è che si respiri già qualcosa di dirompente e che ognuno stia provando a salvarsi come può.
Quando arriva allo studio del Presidente la sola cosa che gli è chiara in una frazione di secondo è che per il momento l’idea di reclamarlo per sé e parlargli è assolutamente da accantonare: la stanza è gremita di gente che consulta monitor, parla al telefono, discute…e Filippo è esattamente al centro di quella bolgia, con almeno tre interlocutori che gli si rivolgono contemporaneamente.
Quando la vede arrivare però li zittisce tutti con l’indice perentoriamente alzato e la raggiunge. Ha segni scuri sotto gli occhi e il viso segnato di stanchezza perciò quando nonostante tutto le sorride Sara riesce ad udire distintamente il crack con cui tutti i buoni propositi di essere prima di tutto ferma e ragionevole vanno in pezzi.
“Sei arrivata, finalmente. Ho bisogno di te come mai prima d’ora”
È difficile resistere a quella voce e a quel viso, soprattutto considerando che accompagna le parole a un gesto azzardato, per il luogo in cui sono. Allunga la mano, in direzione del suo avambraccio, e le sembra quasi già, di quelle dita, di percepirne il calore, e a quella presa dolce e ferma che è tutta loro, dei loro momenti insieme in una sfera così lontana da dove sono ora, è sicura, non riuscirebbe a reggere. Ricaccia con forza le lacrime oltre le ciglia e serra le braccia al petto, le dita arpionate alla stoffa del completo grigio che indossa. Uno scudo, a quella mano, che sbriciolerebbe le sue difese come un proiettile in un vetro. E a lui, che in quel frangente deve necessariamente tenere lontano dal proprio corpo e dal proprio cuore, o sarebbe finita.
Se Filippo si stupisce del gesto non lo mostra, se non con un lievissima ombra nello sguardo. La mano cambia in fretta direzione e raggiunge la tasca del pantalone così come l’altra. Le si ferma vicino, forse un po’ troppo, per il respiro di Sara che fatica a trovare un ritmo regolare, poi abbassa appena il capo e le indirizza uno sguardo arreso.
“Avevi ragione tu, su tutto” mormora dopo qualche istante, mentre si porta una mano ai capelli e li ravvia all’indietro con un gesto nervoso.
“Perduti non ha fatto niente di quello che gli avevo chiesto. Niente”
L’ultima parola è quasi un ringhio, di frustrazione e di impotenza.
“E non ha intenzione di fare un cazzo… tranne tenere quei poveretti in scacco, senza lasciarli sbarcare. Le autorità sanitarie riferiscono di condizioni raccapriccianti e…”
Sara non interviene, anche se sa che lui vorrebbe lo facesse. Ma il percorso per prendere coscienza fino in fondo di che idiota ha per vice lei glielo ha già suggerito ed alleggerito troppe volte. Stavolta deve fare da solo.
“…e io non so che fare”
Nemmeno io so che fare vorrebbe rispondere di noi, dell’amore che sento per te e della rabbia che provo, standoti davanti e rendendomi conto che tu ancora non vedi e non mi vedi. E che non hai visto o voluto vedere tante altre cose.
Ma lo ama. E non ce la fa a lasciarlo annegare in quel fango senza provare ad aiutarlo.
Ma è l’ultima volta, giuro.
“Sei il Presidente del Consiglio” parla con voce ferma, anche se lei stessa non sa bene dove le sia riuscito di trovarla “e sei un uomo di legge. Sai cosa fare”
Le sue parole hanno su Filippo l’effetto di un flusso di energia che lo attraversa e lo corazza, rendendolo pronto alla battaglia che sta per affrontare.
Lo vede tornare sui suoi passi e reclamare l’attenzione, poi lo sente impartire direttive precise, senza una sola esitazione, benché contengano il germe per uno scontro durissimo.
A Sara sfugge un piccolo sorriso mesto, mentre fa dietrofront e si avvia verso il suo ufficio.
Sapeva benissimo cosa fare, solo aveva bisogno di qualcuno che glielo rammentasse.
Quando raggiunge la sua scrivania, prima di mettere mano alla mole inusitata di lavoro che si è accumulato nei giorni in cui è stata assente, prende il telefono dalla borsa e scrive un messaggio per Filippo.
“Quando puoi, vieni nel mio ufficio. C’è una cosa importante che devo dirti”
Lo invia al suo numero privato, nella speranza comprenda che ha davvero bisogno di parlargli, e che si tratta di una cosa personale.
Il messaggio viene inoltrato subito e le spunte diventano azzurre immediatamente, ma malgrado Sara spii ansiosamente lo schermo una risposta non arriva.
Lo farà appena potrà. Si libererà, e verrà da me e parleremo. Gli dirò tutto e mi abbraccerà e finalmente potrò respirare e sorridere e smettere di piangere e vomitare per la tensione.
Lo pensa tutto il giorno, anche se quando spegne la luce, e chiude dietro di sé la porta del proprio ufficio è un poco più difficile esserne convinta.
Sotto alla porta dello studio di Filippo filtra ancora la luce e la sua voce, alterata, urla qualcosa che non le riesce a sentire. Risponderà, ne è sicura.
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Istantanee
أدب الهواةPuò una foto, scattata per caso, riportare alla mente ricordi che nemmeno più si sapeva di avere? E possono quei ricordi indurci a compiere azioni che mai avremmo immaginato di avere il coraggio di fare? Verrebbe da dire no, a entrambe le domande. E...