Tre mesi dopo l'incidente.

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"Comunque io ho quasi finito, se vuoi ti do un passaggio al campo tanto è di strada."

La sua voce mi riporta alla realtà.

Quasi come fosse diventata un' abitudine mi fermo ad osservarlo, di conseguenza secondo un meccanismo naturale radicato nella mia testa comincio ad immaginare quello che saremmo potuti essere ma che non saremo mai.

E cazzo se mi odio ogni volta, perché io Manuel me lo devo togliere dalla testa e non lasciare che ci entri mai più, nemmeno in punta di piedi.

Non sono stupido, so perfettamente che sarebbe la soluzione al mio malessere, questa formula miracolosa cerco di impormela almeno un miliardo di volte al giorno.

Ma io non sono tanto normale, e a questa conclusione non ci sono approdato per caso, basti pensare che non solo gli ho perdonato tutto il male che mi ha fatto, tutti i pugni che mi ha tirato, tutti i modi in cui mi ha chiamato, per di più adesso sono pure qui a fantasticare come un coglione. Non mi ferma nemmeno il fatto che sia madido di sudore e sporco da fare schifo mentre ripara il mio motorino.

Dovrebbe farmi solo ribrezzo, eppure non ci riesco.

E non ci riesco perché io quella notte ce l'ho tatuata su ogni centimetro di pelle ed il pensiero di lui che mi ama fluido nelle vene.

"Oh Simò che te sei 'mballato? Guarda che te lascio a piedi."

"Ma il campo da rugby è dall'altra parte rispetto casa tua."

"E chi t'ha detto a te che devo annà a casa?"

Ti prego fai che non debba andare a casa di una, altrimenti faccio il volo dell'angelo dal sediolino posteriore mentre siamo a 100 km/h, così si sente in colpa per sempre.

"Te la ricordi quella che me sò fatto alla festa di sabato scorso?"

"Quale delle tre Manuel?"

"La seconda, la più bassina."

"La seconda... ma tu ti ascolti mentre parli? Ma almeno te lo ricordi come si chiama?"

"Si, se chiama Giulia, va bene? Mi ha trovato sui social e mi ha chiesto di vederci."

Eccalla.
Simone hai bisogno di altre dimostrazioni? Quella notte con te è stato solo divertimento, te lo ha detto chiaro e tondo e devi accettarlo, ripeti insieme a me: tu Manuel te lo devi togliere dalla testa!

"Vatte a pijià il borsone su, te aspetto qua."

La sua sollecitazione mette fine al dialogo patetico con me stesso e corro a prendere le mie cose, le scale le faccio talmente tanto veloce che rischio di perdermi qualche gradino.

E forse a spingermi è la paura che una volta sceso lui sia già andato via, che mica può mai aspettare me.

Ma chi voglio prendere in giro, lui già è andato via tre mesi fa, e quello che mi rimane è un amico, che non lo sarà mai fino in fondo perché si può essere amici di una persona che si ama?

Quando arrivo al garage lui è lì, seduto sulla sua moto con il secondo casco in una mano e il telefono nell'altra, probabilmente messaggia con Giulia, o con Chicca o con le altre trecento ragazze di scuola che gli vanno dietro e questo mi distrugge.

"Li stacchi mai gli occhi dal telefono? Ma poi con chi parli tutto il tempo, che c'è le quattordicenni non ti lasciano scampo?"

Assumere questo atteggiamento passivo aggressivo per ogni cosa che mi manda in bestia non mi appartiene con nessuno, solo con lui, ma mi rendo perfettamente conto che non posso incazzarmi ogni volta che sta al telefono, che guarda una ragazza, che parla con una tipa, che limona tizie a caso, che riserva attenzioni ad altre persone piuttosto che a me.

Non ne ho il diritto perché io per Manuel non esisto.

"Sto parlando con mia madre coglione, devo andare a prenderla al museo."

Innumerevoli sospiri di sollievo si elevano in coro, pericolo scampato, grazie Anita.

"E con Giulia?"

"Ci vediamo più tardi o sarà per un'altra volta, che ne so io."

"Me lo dai lo stesso il passaggio anche se non sei più di strada? Sono in ritardo, e se non mi riscaldo bene prima della partita sò cazzi."

"Salta su."

Corre tra le strade di Roma e penso che le mie mani tra il freddo e la pressione sulle maniglie stiano per andare in cancrena. Sono così distante da lui, il bordo sediolino l'ho oltrepassato due quarti di chiappa fa, che se probabilmente alzassi solo un dito mi ritroverei schiantato a terra, dolore già sperimentato in tempi recenti e che sinceramente non voglio replicare.

"Ti dispiacerebbe rallentare un po'? Guarda che non siamo in autodromo!"

"Ma te non eri in ritardo?"

"Meglio cinque minuti di ritardo che un incidente."

"Simò è normale che te stai a cacà sotto se stai così, manco me sembra che ci stai su sta moto. Avvicinati no? Appoggiati a me, che non ti voglio tenè sulla coscienza."

Ora non so se è per tutto il vento che mi sta scassando i timpani, se questa volta non ha urlato come prima, se semplicemente la mia testa ha mescolato tutto, ma ho capito bene?

Nel dubbio faccio ciò che mi è parso di capire per cui appoggio le mani attorno i suoi fianchi con delicatezza, come se avessi il timore che possa scattare di rabbia e darmi del frocio di nuovo.

Invece resta tranquillo, il suo respiro è regolare, e rimane tale anche quando senza accorgermene anche il mio volto si appoggia sulla sua schiena.

Per dieci minuti di viaggio siamo immersi in una bolla di serenità, e quando vedo avvicinarsi l'enorme campo verde mi dispiace doverla scoppiare.

"Fai il culo a tutti, questa è la tua partita."

Porta la sua mano sulla mia guancia e dopo averla stretta per bene fa seguire un buffetto amichevole. Perdo circa, e senza esagerare, tremila battiti in un secondo.

"Domani arrivo alle cinque, vediamo di finirlo 'sto motorino."

"Se ti liberi torna, mi farebbe piacere un po' di tifo."

"Simò lo sai che a me lo sport non me piace, e poi la tua squadra perde sempre, che sfizio ce stà?"

Gli mostro il dito medio più plateale della storia, sentito e uscito di getto.

"A domani, arriva puntuale."

Tante volte ho sperato che un giorno qualsiasi si sarebbe rimangiato tutto quello che mi aveva detto, rendendosi conto che i ragazzi gli piacevano eccome, ed era pronto a stare con me. Ho sognato lui sugli spalti durante le mie partite, e i baci dopo, tanti quanti i punti avrei fatto, una birra di troppo per festeggiare per poi fare l'amore ed esausti addormentarci l'uno tra le braccia dell'altro.

Io del male non gli avrei mai fatto, lo avrei protetto da tutto, gli avrei riservato dolcezza ogni singolo istante, quella che gli è sempre mancata. Avrei cercato di colmare tutti i vuoti collezionati nei suoi diciassette anni di vita, riempiendo così anche i miei.

Ma devo fare i conti con la realtà.

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