"Che ci fai qui?"

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“A.De Angelis-C.Tomei” sono impalato davanti a questo citofono da circa dieci minuti senza il coraggio di bussare.

Mi sento esattamente come sei mesi fa mentre aspettavo che Laura rientrasse a casa per lasciarla, con la sola differenza che lei l’avevo tradita solo con il pensiero, Alex invece con tutto il corpo, come pretesto in entrambi i casi l’amore per Manuel.

I cinici hanno ragione a sostenere che l’amore rende stupidi, ho spezzato e sono in procinto di spezzare il cuore a due persone per una che non ha mai perso occasione di spezzare il mio eppure sarà sempre l’unica soluzione possibile.

Simone smettila di crocifiggerti, parlagli e dopo ricomponi tutti i pezzi frantumati, vedrai che starai bene, non si può star male in eterno.

“Si, chi è?” è la voce candida della piccola di casa a rispondermi.

Dopo una settimana dal nostro primo incontro a me e Alex venne l’idea di fare un giro di Roma in motorino, volevamo visitarla per intero come due turisti che la ammirano per la prima volta. Caso vuole che proprio quel giorno da nuvole serene cominciarono a cascare gocce di pioggia mastodontiche, i temporali di fine agosto che non ti aspetti ma si verificano ciclicamente.
Io l’acqua non l’avevo mica scampata, bagnato fradicio cercavo disperatamente il suo cognome, De Angelis, in mezzo ai tanti campanelli di questo palazzo composto da nove piani. Lui che di perdere istanti insieme a me non ne voleva proprio sapere mi invitò a salire facendomi conoscere la mamma Carla, il padre Alfredo, il fratello Leonardo e la sorellina Ginevra. Quella che in quel momento mi diede l’aria di essere una scelta precoce adesso si è trasformato in un ricordo lieto fatto di accoglienza calorosa, giochi da tavolo e racconti divertenti sulle loro peripezie, una famiglia che di più unite le incontri solo nelle pubblicità in televisione.

“Ciao Ginni sono Simone, mi puoi chiamare Alex?” vorrei anche chiederle di abbracciare suo fratello quando lo vedrà varcare la porta di ingresso con gli occhi tristi.

“Ciao Simo, io te lo chiamo ma dopo vieni a giocare con me? Alex è per te!”

“Dopo sono impegnato però ti prometto che vengo presto.” ci spero davvero, forse alla lunga sarà in grado di perdonarmi e potremo essere amici.

“Dai sali, ti apro il cancelletto.” è lui con il suo timbro che rievoca il sapore del miele.

“Alex, forse è meglio se scendi tu.” improvvisamente mi pervade un freddo gelido sintomo dell’ansia che incombe.

“Va bene, metto le scarpe e sono da te.” tra poco vorrai solo scappare lontano da me.

Tra poco avremo festeggiato il nostro primo mese, poco tempo è vero ma ricco di tante esperienze come quella sera in cui andammo ad uno dei concerti più bizzarri a cui si possa assistere.
Quella mattina Alex mi aveva telefonato emozionatissimo, via email aveva ricevuto l’invito ad un concerto di Calcutta in un pub di periferia per dei biglietti ad un prezzo stracciato, l’avevano spacciato persino per un evento esclusivo riservato anche a lui che era accanito seguitore di tutti gli eventi musicali della capitale.
Quella sera è inutile sottolineare che non c’era Calcutta ma i Calcuttas, band indie emergente presso sé stessa composta da tre bengalesi appena immigrati intenti a suonare canzoni depresse in un italiano maccheronico con l’accompagnamento del sitar, una litania senza fine in sostanza ma io e Alex non smettemmo di ridere nemmeno ad una nota e in fondo c’erano pure piaciuti, in particolar modo “amore e kati roll” battezzata colonna sonora della nostra storia.

C’è stata pure una notte poi, una delle tante insonni prima dell’esame di riparazione, non riuscivo ad addormentarmi tartassato dal pensiero di dover studiare ma allo stesso tempo non riuscivo ad assimilare nessun concetto. Avevo mandato dei messaggi ad Alex probabilmente svegliandolo visto che è un dormiglione di natura e alle dieci già crolla, lui dopo una ventina di minuti era fuori la mia porta di casa con due cappuccini caldi in mano e tanta voglia di aiutarmi. Passammo le ore sui libri ed ogni volta che accennavo un lamento era pronto a distrarmi ballando un sirtaki sconnesso o una danza del ventre strampalata.

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