Ad Ostia ci arriviamo in moto, quaranta minuti di malinconia e felicità.
I ricordi dei viaggi con mio padre a bordo di paperella risalgono a galla con prepotenza accompagnati dal pensiero di Jacopo, immagino la sua voce al grido "libertà", il suono delle risate per gli schizzi di acqua fredda, gli occhi famelici di nuove esperienze, quanto sarebbe stato bello se solo non se ne fosse andato via così presto.
Ma poi mi basta guardare il ragazzo alla guida attraverso i suoi capelli ricci per comprendere che mio fratello non mi ha lasciato solo, senza metà mancanti, secondo uno strano scherzo del destino mi ha donato Manuel affinché potesse colmare ogni senso di vuoto e per questo gliene sarò per sempre grato.
La prima tappa è il ritiro dei libri antichi per sua mamma, in una libreria sgangherata che profuma di muffa e secoli di storia. Ci impieghiamo più tempo del previsto alle prese con il direttore ultrasettantenne armato di stampelle e apparecchi acustici, uno di quelli che la vita non la mollano neppure quando il filo si sta per spezzare.
La seconda tappa, dopo aver pranzato in un chiosco di panini, è un saluto a dei vecchi amici che mi domando seriamente come li abbia conosciuti e se non mi imbatterò in una banda di criminali, cosa che con Manuel è potenzialmente possibile.
Li raggiungiamo in un lido vuoto su una spiaggia desolata, segno che settembre ha spazzato via persino le reminiscenze dell'estate.
Sono due tipi che di losco hanno le movenze e l'atteggiamento, sono visibilmente più grandi di noi e sul tavolo hanno già radunato una ventina di birre vuote, specifico che non sono nemmeno le tre di pomeriggio."Bella regà!"
"Oh chi non more se rivede, te sei fatto li sordi Manù?"
Si salutano in un grossolano tentativo di abbracci virili e strette di mano possenti, una sceneggiata che trasuda mascolinità tossica da tutti i pori, che io detesto, però mi è inevitabile scoppiare a ridere per quel "Manù", ma che soprannome è? Lo prenderò in giro fino alla fine dei miei giorni.
"Manù non mi presenti ai tuoi amici?"
Aggiungo al catalogo degli sguardi la nuova categoria "sto per commettere un omicidio" secondo cui se non fosse un reato penale da scontare in trent'anni mi avrebbe già ucciso.
"Lui è un mio amico, Simone."
Ci sediamo al tavolo con loro, Manuel sembra a suo agio al cospetto dei due energumeni mentre le chiacchiere si consumano in argomenti aulici come ragazze bone, ragazze bone che ti faresti e ragazze bone che ti sei fatto.
Io dal canto mio resto in disparte a messaggiare con Alex al quale dico di essere tornato a casa per smaltire l'ansia in solitudine, non perché mi piaccia particolarmente mentirgli ma perchè non voglio farlo preoccupare, scatenare una reazione di gelosia inutile.Il telefono sfortunatamente mi abbandona dopo dieci minuti, proprio quando mi stava informando che sarebbe passato a prendermi a casa alle sei per poi andare in un posto a sorpresa come regalo per il mio esame.
Quando vedo lo schermo diventare nero vengo assalito dalla disperazione di dover approfondire la conversazione con questi due trogloditi."Scusate ragazzi, avete un caricabatterie?" vi prego dite di si altrimenti vado ad annegare tra le acque gelide.
"A ragazzetta tua non te da tregua vè? Te lo presto io che alle femmine se nun glie rispondi so cazzi." mi risponde quello che se non mi sbaglio si chiama Francesco.
"Ragazzetto in realtà" mi pento subito dopo, mi arrabbio perché sono costretto a pentirmene.
"Ma che sei un frocio de merda? Manuel che te la fai con le checche?" si alzano in piedi tutti e due ed io inizio a tremare.
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Quello sguardo
FanfictionTre mesi dopo l'incidente Simone deve fare i conti con la realtà, il costo è di dover reprimere i propri sentimenti. Lui che si era sempre sentito difettoso per l'incapacità di amare, adesso è costretto a smettere pur di essere felice. Manuel però...