"Ci siamo solo io e te."

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La stazione di Roma Termini alle dieci del mattino di un soleggiato sabato di ottobre è la rappresentazione visiva del caos con il suo via vai di folle irrequiete.

Eppure ciò non mi impedisce di riconoscere la persona che amo, potrei riuscirci persino in mezzo ad otto miliardi di persone, come se fossi stato programmato per questo dalla nascita.

La terra smette di girare e lui è lì, accovacciato sulle ginocchia spigolose nascoste sotto pantaloni più larghi di almeno due taglie, le braccia conserte poggiate su uno zaino che sembra contenere tutte le prospettive di una nuova vita, le cuffie alle orecchie per isolarsi dal baccano assordante prodotto da sconosciuti frettolosi e gli occhi vestiti di una nuova paura, quella di aver tardato troppo ad amare.

In quest’immagine di apparente staticità io ci leggo la frenesia nel cercarmi con ogni parte di sé, accompagnata da un ingente ansia di non trovarmi.

Ma io sono qui davanti a lui e quando se ne accorge il mondo riprende la sua corsa.

Quanto è bello Manuel?

E’ bello pure mentre è goffo, mentre cerca di rialzarsi come un vecchio artritico che chissà per quanto tempo ha mantenuto quella posizione scomoda, mentre scrolla dai suoi vestiti i residui di polvere, mentre litiga affannosamente con le spalline per capire quale va a destra e quale a sinistra, mentre si fa largo tra i ritardatari per ritrovarci.

“Non ci speravo più.”

Ha l’aria stanca e la voce affannata ma è irradiato da una luce particolare, gli ride il cuore e il mio lo imita.

Afferro il suo viso tra le mani, appare così fragile che lo stringo con estrema delicatezza per il timore di poterlo frantumare.

“Io ci salgo su quel treno con te, ok? Però a due condizioni.”

Mento spudoratamente, neppure per un istante mi è balenato il dubbio di non salirci, anche se ci ho perso il sonno per rifletterci, dopo le sue parole aspettavo solo questo momento.

Queste due condizioni però hanno un senso, quello di dimostrargli che al suo bisogno di aiuto io ci sono.

“Qualsiasi cosa, spara.”

“La prima, promettimi di non farmi più del male.”

“Promesso, mai più.”

“La seconda, lasciati baciare qui e adesso, che tanto la vedi tutta questa gente? In realtà non c’è nessuno, ci siamo solo io e te.”

Lo so che forse è precoce e non glielo chiederei mai al cospetto di sguardi conosciuti, aspetterò fin quando vorrà, ma esattamente come quella notte di ormai ventisei giorni fa in cui la città era vuota e lui si sentiva libero di poter essere sé stesso, adesso tra passanti sovrappensiero io lo sprono a fare lo stesso che tanto chi se ne frega di loro, a noi deve importare solo di compiere piccoli passi alla volta, come questo.

Ce la puoi fare Manuel, non tentennare, non guardarti attorno, fidati di me.

“Ci siamo solo io e te.” sono fiero di lui.

Gli rubo un bacio e mi chiedo come abbia potuto pensare un solo secondo a rinunciarci per delle altre labbra, sono stato uno stupido a convincermi che mi sarebbe bastato,  che a furia di tentare sarebbe stato lo stesso.

Non possono esserci altre labbra come le sue che combaciano perfettamente con le mie, sono il pezzo mancate di un puzzle incompleto che è la mia vita senza di lui.

Anche stavolta ha un sapore diverso, oltre il catalogo degli sguardi dovrei creare anche il catalogo dei baci, a questo senza indugio darei il nome “maneggiare con cura” perché è sospeso in una candida dolcezza, è l’insieme unico di piccoli frammenti fatti di brevi baci stampati, punte del naso che si sfiorano, sorrisi che non svaniscono, tutto coperto sempre dalle mie mani grandi che di staccarsi dal suo viso non ne hanno mica voglia, vogliono ricordargli che tanto ci siamo solo noi.

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