Capitolo 四十

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Sorte amara

Ji Soo non aveva compreso il motivo dell'improvviso distaccamento che Jin e Ara avevano dimostrato nei loro confronti. Il principe si stava costringendo a non porre domande e a concentrarsi sul proseguimento del loro viaggio, ormai giunto al suo termine.

Erano arrivati quella mattina a Samarcanda, una città immensa, dalle lunghe mura di cinta sopra cui si infrangevano le orde di sabbia provenienti da sud. Oltre di esse, si riuscivano a scorgere le cupole dei palazzi, blu, verdi e rosse. Le larghe porte facevano sì che i mercanti, di ritorno dai loro viaggi, potessero accedere a quella città piena di vita.

"Siamo arrivati?" domandò Na Ra, voltandosi a guardare Jin.

Lui annuì solamente e mostrò un sigillo lascia passare alle guardie dello scià, che sorvegliavano chiunque osasse entrare o uscire.

"Sì, siamo proprio arrivati" constatò Jin, una volta oltrepassata la soglia d'entrata. Si inoltrò subito nel bazar, facendo loro strada. "Adesso, però, seguite me. Vi porterò alla dimora di mio padre, dove troveremo ristoro."

Ji Soo annuì e spronò il cavallo affinché andasse più veloce del cammello di Na Ra. Il principe si guardò intorno, osservò le donne agghindate con abiti scollati e dalla pelle ambrata afferrare gioielli scintillanti sui banchi espositivi e uomini dalla testa coperta mangiare fuoco e sputarlo vicino a una folla di bambini in visibilio.

"Sembra quasi Chang'an" mormorò il principe, venendo affiancato da Ara. "Cosa c'è?"

"Samarcanda è una delle più belle città del deserto" replicò lei, facendogli cenno di imboccare una via costeggiata da templi dorati. "Se ci rimanessi, la preferiresti a qualsiasi altra."

Ji Soo rise, mellifluo. "No, non penso."

Ara scosse il capo, agitando i lunghi capelli castani. "Prima di parlare in questo modo ti consiglierei di provare a restare qui. Solo per qualche mese, troveresti una calma che pensavi di aver perso."

Ji Soo le lanciò uno sguardo dubbioso, ma prima che potesse porgerle delle domande Jin fermò i cavalli di fronte a un portico di legno che celava un giardino rigoglioso e profumato, abbellito da fontane marmoree da cui colava della splendida acqua zampillante. La dimora dipinta d'azzurro, era larga e si stagliava su due piani percorsi da finestre larghe, coperte da tende che non avrebbero impedito all'aria fresca di attraversarle.

"Questa è la casa di mio zio." spiegò loro Jin, scendendo dal carro e chiamando le serve accanto alla porta. Fece loro cenno di occuparsi dei cavalli e dei carri, poi si rivolse a Na Ra. "Quando ti presenterò a lui, non togliere il velo dal viso, gli piacciono le belle donne."

Ji Soo sentì la rabbia montare nel petto. In quei giorni, lui e Na Ra avevano discusso di tutto, fuorché dei loro sentimenti. Tuttavia, l'amore della principessa nei suoi confronti era palese, per questo non avrebbe permesso a nessuno di portargliela via.

"Non c'è problema" asserì Na Ra, scendendo dal cammello insieme a Tianmen.

Jin osservò le dame portare dentro i bauli colmi di denaro sonante, poi si voltò a guardare Ji Soo. "Chiamerete mio zio signore, e non parlerete se non interpellati. Cercate di non dare troppo nell'occhio."

"Jin, non mettergli soggezione" lo redarguì Ara, scendendo dalla sella e avviandosi all'interno del giardino rigoglioso. "Stanno incontrando un capo mercante, non il sultano lo scià in persona."

"Ma lui si atteggia a sovrano, lo sai meglio di me" continuò Jin, aprendo la fila che li avrebbe condotti all'entrata della dimora.

Ji Soo approfittò di quella situazione e si ricongiunse a Na Ra, la prese per mano e posò un bacio sopra la sua testa. "Restami vicino, mi raccomando."

"Lo farò" decretò la principessa, intrecciando le dita alle sue prima di addentrarsi nella loro nuova casa.

**

Un oppiomane, ecco cos'era lo zio di Jin. Nient'altro che un uomo dalla pelle bruciata dal sole, con una veste verde sul corpo smagrito e una barba ingrigita dalla vecchiaia. Delle donne giovanissime gli stavano accanto, ridevano e lo imboccavano con acini d'uva succosi, mentre lui, adagiato sui cuscini ricamati, li osservava con un cipiglio talmente imperioso da costringerli ad abbassare lo sguardo.

"Zio" lo salutò Jin, chinando il capo, insieme ad Ara e Tianmen.

Ji Soo lo imitò e Na Ra, con la mano ancorata alla sua, decise di prodigarsi nel porgergli i suoi saluti. "Mio signore."

L'uomo congedò le donne con un gesto della mano e si mise a sedere sui divani morbidi, con la pipa ancora in bocca e gli occhi impenetrabili fissi su di loro. "Sono cinesi?" domandò, al nipote, parlando la lingua delle pianure centrali.

"Sì" rispose Jin, sollevando la testa. "Si sono offerti di lavorare per me, così gli ho permesso di viaggiare insieme a noi. Sono marito e moglie."

L'uomo inspirò altro oppio, poi posò la pipa sul largo tavolo di fronte a lui. "Io sono Duban, sentitevi pure i benvenuti nella mia grandiosa dimora."

"Vi ringraziamo per l'accoglienza" lo lusingò Ji Soo, sorridendo con la sua solita tranquillità. "Non vi daremo problemi."

"Voglio ben sperare" replicò prontamente l'uomo. "Qui non siamo nel deserto, se trasgredirete alle regole della casa o ci porterete disgrazie, vi farò tagliare la testa."

Na Ra sentì il sangue gelarsi nelle vene, e per calmarsi diresse gli occhi scuri in direzione delle finestre ad arco acuto, notando un altro palanchino fare la sua entrata nel giardino della dimora. Un palanchino rosso, da cui scesero un ragazzo e una fanciulla, vestiti a festa.

"Non temete" continuò Ji Soo, imperterrito. "Non siamo venuti qui a cercare la morte."

Duban annuì, senza sprecarsi in chiacchiere inutili. "Mi sento più tranquillo nel sentirvelo dire, visti i tumulti che ci sono stati di recente. Ora mio nipote è tornato, e immagino abbia guadagnato."

Jin sorrise orgoglioso. "Molto più di quanto speravo, zio."

La bocca del mercante si incurvò in un sorriso amaro. "Dunque mio fratello ha vinto la scommessa, e io credo proprio dovrò tenere fede agli accordi, ma prima festeggeremo il tuo ritorno e quello di Yunan con una grande festa."

"Yunan è tornato?" domandò Ara, senza avere bisogno di risposte. Le porte rosse della sala si aprirono e il giovane che pochi istanti prima Na Ra aveva visto in giardino attraversò, con aria vittoriosa, i larghi tappeti, tenendo per mano una ragazzina dallo sguardo basso. "Oh, sei davvero qui."

Yunan si inchinò di fronte al padre e la sua sposa fece lo stesso, ma non degnò nessuno di uno sguardo.

"Si, sono qui" replicò il giovane, soddisfatto. "Con la mia nuova moglie. Sarete felice di sapere che è già incinta, pedar."

"Questo è un bene..." Duban sollevò lo sguardo verso Jin. "Tuo padre mi ha fatto sapere che tra pochi anni ti sposerai, nipote. In tal maniera, tu e Yunan potrete dirvi alla pari."

Na Ra sorrise nel vedere Ara stringere i pugni e Jin irrigidirsi. Forse quei due condividevano un sentimento sincero, che non sarebbe mai potuto fiorire.

"Ciò che mio padre comanda farò" mormorò Jin, indietreggiando. "Ora ci ritiriamo, io e Yunan parleremo stasera."

"Ma certo" li congedò Duban, con un gesto della mano. "Andate pure. A stasera."

Finalmente libera, Na Ra si affrettò a uscire da quella larga stanza, impregnata dai fumi dell'oppio. L'angoscia continuava a opprimerla, le impediva di respirare correttamente, e ciò la faceva sentire come soffocata. 

La Giada di Chang'an Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora