Tamerici
Na Ra era disperata. Con il cuore in gola e il fiato corto aveva caricato Ji Soo sulla sella di uno dei cavalli lasciati dai meng-ku. Poi, anche lei era salita in groppa a una di quelle bestie e si era messa in marcia.
Non sapeva dove stava andando, sapeva solamente di dover trovare un’oasi nel minor tempo possibile. Ji Soo era debole, dalle sue ferite colavano gocce di sangue che gli avevano imbrattato del tutto le vesti. Il suo viso era pallido e le labbra erano secche, da esse trapelavano dei lamenti ogni volta che il cavallo avanzava.
Na Ra cercava di rassicurarlo, promettendogli che presto tutto si sarebbe aggiustato. In realtà, la principessa stava solo cercando di riempire un silenzio che le faceva paura.
Na Ra si ritrovò a singhiozzare, ma nemmeno una lacrima sfuggì ai suoi occhi. Era come se tutta l’acqua si fosse prosciugata sotto un sole cocente che non avrebbe lasciato loro scampo.
Un altro gemito irruppe nell'aria.
Ji Soo stava male e il suo respiro si stava facendo sempre più flebile.“Ji Soo, resisti” sussurrò Na Ra, tirando in su col naso. “Non puoi lasciarmi sola, non posso farcela senza di te.”
Lui socchiuse gli occhi e, quando provò a parlare, solo un singulto di dolore lasciò la sua bocca secca. “Le... le...”
Na Ra fermò i cavalli e cercò di intuire cosa Ji Soo volesse dirle. Il principe, però, non era in grado di comunicare, dunque lei provò a seguire la direzione del suo sguardo, posato su delle tamerici. Quelle piante si muovevano placide al soffio del vento.
“Vuoi che mi avvicini alle tamerici?” domandò Na Ra, e, vedendolo annuire, fece in modo che i cavalli imboccassero un’altra traettoria improvvisata, che non sembrò portarli da nessuna parte. Le ore passavano e infinte distese di sabbia si aprivano davanti ai loro occhi, finché al tramonto, qualcosa sfiorò gli occhi deboli di Na Ra. Una frescura insolita, che si provava nelle vicinanze dei corsi d’acqua.
La ragazza spronò il cavallo ad andare avanti e fu allora che un’oasi si stagliò di fronte alla principessa. Era rigogliosa, le palme svettavano su un tappeto d’erba fresca e una pagoda dai tetti neri si innalzava fiera sopra un letto d’acqua limpida, talmente grande da sembrare un’illusione.
“Ji Soo!” lo chiamò Na Ra, scuotendolo dolcemente. Lui socchiuse gli occhi, sempre più debole. “Ci siamo, ho trovato un’oasi. Presto mi prenderò cura delle tue ferite.”
Lui sorrise, prima di piombare di nuovo in un sonno oscuro e pesante. Na Ra, dunque, colpì i cavalli per farli galoppare e inoltrarsi con loro nel folto dell’oasi, beandosi di un’ombra che solo gli alberi sarebbero stati in grado di donarle. In lontananza, si udivano dei rumori. Un chiacchiericcio allegro, risate e musica, a cui la giovane non prestò attenzione.
Come una stupida, si gettò dal cavallo e si inginocchiò sulle rive dello stagno. Infilò le mani nell’acqua fresca e cominciò a dissetarsi, sempre di più, senza fermarsi, finché un rigurgito di vomito le salì in gola e la costrinse a rigettare ciò che era rimasto nel suo stomaco sull’erba.
“Na Ra...” la chiamò Ji Soo, preoccupato. Cercò di scendere da cavallo, ma inciampò sui suoi stessi passi e crollò al suolo, urlando di dolore.
“No!” gridò la principessa, raggiungendolo. Gli tolse in fretta e furia i vestiti, e notò come le ferite si fossero infettate. Dovevano bruciare molto. La giovane provò così a trascinare il compagno sulle sponde dell’acqua, ma cedette a causa della mancanza di forze. “Ji Soo...”
Lui non rispose, aveva di nuovo perso i sensi e lei stava per fare lo stesso.
Poi, una voce la raggiunse dal folto della vegetazione. Una voce maschile, che ripeteva un nome così simile al proprio da farle pensare di essere stata trovata da un conoscente o da un vecchio parente.
“Ara!”
Na Ra fece leva su un gomito e si mise a sedere, avvertendo delle risate riempire l’aria fresca del tardo pomeriggio. Le foglie vennero scosse da una ragazza minuta e bassa, con dei lunghi capelli castani che le scivolavano sulle spalle. Possedeva una carnagione abbronzata e due perfetti occhi a mandorla, che davano forma a uno sguardo furbesco.
Le due si guardarono per un istante, poi la ragazza si voltò verso un secondo sconosciuto comparso dal viale. Anche lui era abbronzato, con degli occhi affilati e delle guance piene, nonostante la sua corporatura fosse esile.
I due estranei si scambiarono qualche parola in una lingua che Na Ra non riuscì a riconoscere.
Doveva essere arabo.
La principessa decise ugualmente di tentare un approccio. Quei due erano sicuramente due mercanti, ma avrebbero potuto dar loro una mano.
“A… aiutatemi” mormorò, in cinese, scandendo ogni sillaba. “Il mio amico sta morendo. Lo hanno ferito i… meng-ku.” Continuò Na Ra, nonostante parlare fosse diventato faticoso.
La sconosciuta fece per avvicinarsi, ma il suo amico non glielo permise. Teneva una mano sulla sua spalla e li guardava con diffidenza.
“Chi siete?” le domandò l'estraneo, inginocchiandosi di fronte a Ji Soo.
“Noi… siamo...” Na Ra non riuscì a dire nulla, si accasciò sull’erba e si addormentò, troppo stanca per dire altro, troppo esausta per fronteggiare una discussione che avrebbe potuto decretare le sorti della propria vita.
STAI LEGGENDO
La Giada di Chang'an
Literatura Feminina[COMPLETA E AUTOCONCLUSIVA] Nella fiorente Cina della dinastia Tang, durante la festa delle lanterne, due giovani lasciano che i loro destini si intreccino in maniera indissolubile. Lui è un principe in ostaggio, lei la figlia di un ricco uomo dell...