Sessanta occhi sbarrati puntati su di me. Sessanta occhi di uomini che non conosco e che non avrei mai voluto conoscere puntati su di me. Mi sono sentita in imbarazzo e fuori luogo, come se mi avessero costretta a fare qualcosa che non avevo voglia di fare. Anzi, è proprio così.
E' stato mio padre a coinvolgermi in questa cosa, mi ha costretta ad essere qui. Ho lottato con tutte le mie forze per far prevalere il mio volere ma mio padre è più testardo di me e non ha voluto sentire storie. 'Il Napoli fa parte della famiglia e tu sei una De Laurentiis, devi occupartene tu' le sue parole dette davanti ad un risotto mangiato in un ristorante milanese. Ed è proprio lì che sarei voluta rimanere, a Milano, la mia Milano. Sono anni ormai che vivo lì e ormai è casa mia. Mi occupo di moda e ho un'azienda tutta mia. Sono felice di ciò che ho creato e quella è l'unica cosa che voglio fare nella mia vita. Questa cosa a mio padre non è mai andata giù, lui mi avrebbe voluta nella Filmauro o nel Napoli ma sono cose che a me non interessano minimamente. Non guardo un film di mio padre da quando ho quindici anni e non ho mai guardato una partita di calcio in vita mia. Sono cose che semplicemente non mi interessano. Ma mio padre non lo capisce e mi ha voluta qui a tutti i costi. Qui in mezzo a persone che non conosco, qui in una città che non mi appartiene.
L'altro ieri quando sono entrata in quello spogliatoio mi sentivo morire, mi sono sentita a disagio mentre loro mi guardavano curiosi ma anche stupiti. Capisco che anche per loro è una novità, c'è una bella differenza tra l'avere Edo lì con loro o me. Alcuni sono veramente giovani e siamo praticamente coetanei, altri hanno pochi anni in più a me. Spero di sapermi ambientare bene tra di loro perché staremo praticamente ogni giorno insieme.
Sono queste le cose che mi ripeto mentre parcheggio la mia Audi nel parcheggio del centro sportivo e mi incammino verso l'entrata. Non sapevo nemmeno come vestirmi stamattina, avrei dovuto mettere la tuta da rappresentanza del Napoli? Dio mio, no, mi sta malissimo. Ho optato per un jeans che ho disegnato e cucito io e una camicetta nera con una giacca di pelle. E' inizio ottobre e l'aria è ancora tenue qui. Sono una che non soffre il freddo e anche a Milano con almeno cinque o sei gradi in meno a quelli che ci sono qui mi sarei vestita così. Il problema è che a Milano sarei stata nel mio habitat mentre qui assolutamente no. Sto sudando al solo pensiero di dover rincontrare quei ragazzi ma devo farcela, devo farci l'abitudine.Entro nel centro e saluto tutti quelli che incontro cordialmente. I ragazzi sono già in campo per gli allenamenti e mi metto a bordo campo con Giuntoli ad osservarli. Non ci capisco una mazza ma lui inizia a spiegarmi qualcosa che fingo di capire annuendo. Mi dice che domenica ci aspetta una trasferta dura a Sassuolo e che i ragazzi sono carichi e pronti. Sospiro e penso all'ansia che avrò visto che dovrò andarci anche io a Sassuolo. Nemmeno so dove si trova Sassuolo, ma chi me lo fa fare? Scuoto la testa e continuo a guardare quei ragazzi che si rincorrono e che rincorrono uno stupido pallone. Oggi pranzeremo qui e poi nel pomeriggio ci sarà un'altra seduta di allenamenti. I calciatori dopo un'oretta finiscono e vanno a cambiarsi negli spogliatoio e così io ho la scusa per fuggire e andarmi a nascondere nel mio ufficio.
Mi manca ancora l'aria se mi guardo intorno e penso a dove sono ma piano piano mi ci sto abituando. Verso ora di pranzo mi arriva un messaggio di Giuntoli che mi invita a raggiungerli nella sala ristorante dell'Holiday Inn e io gli scrivo che li raggiungo subito.
Quando entro in quella sala mi sento di nuovo tutti gli occhi addosso ma fingo di non farci caso. Vado verso Cristiano Giuntoli e mi siedo accanto a lui. E' un uomo serio e ragionevole, mi sta aiutando molto nel mio ambientamento qui e gliene sono grata.
«Un poco di pane Aurò?» alzo la testa dal mio piatto e vedo Lorenzo Insigne con una fetta di pane in mano e un sorriso luccicante.
«Grazie mille capitano» sorrido a mia volta e prendo la fetta di pane. Mi fa piacere che non mi vedano come un alieno e che mi rivolgano anche la parola, è già un passo avanti.
Dopo mangiato me ne sto un po' sui divanetti seduta a rilassarmi e sono sola. Sento delle urla provenire da una stanza vicina e mi alzo per andare a vedere. Apro lentamente la porta e ci ritrovo sei o sette ragazzi della squadra che giocano alla Play Station. Non appena il mio viso si sporge nella stanza ho gli occhi di quei ragazzi addosso. Avvampo.
«Aurora entra» mi dice uno di loro coi capelli ricci e il baffetto. Molto ma molto carino.
Deglutisco e resto immobile, che faccio?
«No ragazzi, scusatemi vado via» faccio per tirarmi indietro ma sempre lo stesso ragazzo viene verso di me e apre la porta guardandomi negli occhi.
«Entra, almeno stiamo in compagnia e ti giuro che non mordiamo» mi dice e annuisco sorridendo. Come faccio a dirgli di no? E poi può essere un buon modo per conoscerli un po' meglio,no? Ah accidenti, accetto e basta.
«Va bene, se per voi va bene...»
«Vieni Aurò vieni, ora ti faccio vedere come distruggo questi quattro cretini» è Insigne a parlare e mi fa ridere. È un napoletano verace e ha dei modi molto pittoreschi di parlare e di comportarsi che mi fanno molta simpatia.
«Vieni siediti» il ragazzo riccio mi fa segno di sedermi su un divanetto dietro alle loro postazioni da gioco.
«Non ne capisco nulla ragazzi, quindi non so nemmeno cosa commentare» a quelle mie parole tutti si girano e mi fissano. Di nuovo.
«Non segui il calcio?» mi domanda Kalidou, uno dei pochi che conosco.
«No, mai seguito» scuoto la testa e sorrido «mi ricordate i vostri nomi? Ricordo solo Lorenzo e Kalidou» specifico e loro se la ridono. Il primo a presentarsi è il ragazzo riccio che mi aveva accolta all'inizio. Mi guarda di nuovo negli occhi in un modo che mi fa sentire in fiamme e mi allunga una mano.
«Piacere, Giovanni Di Lorenzo» dice e io annuisco.
«Il tuo nome è facile da ricordare, menomale» scherzo e lui ride.
«Lui in campo è quello che c'è sempre e che non si stanca mai» mi spiega Insigne e io ascolto interessata. «Sa fare tutto, lo trovi ovunque. Destra, sinistra, centro... ovunque» dice ancora e io guardo Giovanni che fa roteare gli occhi e poi sbuffa.
«Hai finito?» lo redarguisce e il capitano se la ride «ad Aurora non interessa questo»
«Per ora sì, ho finito» risponde e si presentano anche tutti gli altri con una stretta di mano e un sorriso caloroso. Stanno per iniziare le sfide alla console quando Insigne ricomincia.
«Aurò, io sono più forte di tutti a Pes ma lo vedi quello?» Indica Giovanni e io annuisco «Quello sa fare tutto e mo vedi se non mi batte pure ai videogiochi. Gli riesce tutto bene, sa cucinare, va in moto, sa fare il bucato... e chiava pure da Dio secondo me» dice e io sgrano gli occhi. I ragazzi ridono e io mi copro la bocca ridendo a mia volta.
«Ma smettila e parla bene che non siamo da soli» Giovanni gli dà una spinta e lui gli fa la linguaccia.
«Tranquillo Gio, non sono qui a fare la maestra» rispondo e loro tornano al gioco.
Resto qui per un'altra oretta e li seguo in ogni sfida ridendo e scherzando con loro. Alle quattro riprendono gli allenamenti e io me ne torno nel mio ufficio sbrigando alcune faccende interne.
Verso le sei li saluto e me ne torno nella mia stanza all'Hotel Excelsior sul lungomare di via Caracciolo e cerco di fare un resoconto della giornata: posso essere soddisfatta della mia giornata lavorativa e di come ho affrontato questa grossa novità per me.
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Impossibile || Giovanni Di Lorenzo
Fiksi PenggemarNon si poteva, no. Non avevano altra scelta che stare lontani, dovevano dimenticare quell'amore impossibile. Dovevano stare lontani, non dovevano cercarsi. Non potevano fare altrimenti o si sarebbero fatti male, ma chi decide cosa è il bene e cosa è...