/27

1.4K 40 7
                                    

Sono finalmente riuscita a tornare a Milano per qualche giorno e mi sembra di essere rinata. Amo Napoli, il Napoli, amo i ragazzi ma ogni volta che torno qui mi ricordo di quanto era bella la mia vita prima che tutto si sconvolgesse e quanto amavo tutto questo. Mi mancano da morire le giornate in ufficio a progettare vestiti e collezioni, le sfilate, la scelta dei materiali, le cene di gala e il rapporto coi miei colleghi. Mancano pochi mesi, tre al massimo e tornerò qui alla mia vera vita. Forse il fatto che la situazione con Giovanni sia andata così male mi fa sentire ancora di più la mancanza della mia vecchia vita ma fatto sta che ultimamente ho ancora più nostalgia di Milano. Domani sera si gioca Milan - Napoli e sono qui comunque anche per seguire la partita. Sono arrivata un paio di giorni fa, ho chiesto a Cristiano se per lui andasse bene e non mi ha fatto problemi quindi mi sono anticipata e sono stata con Sandro. Ora lui è partito per una cena d'affari a Torino e io raggiungerò la squadra in hotel. Mi faccio accompagnare da un taxi e per ora di cena sono lì. Entro nel ristorante dove la squadra e lo staff sta cenando e saluto tutti con un 'buonasera' generale per poi sedermi a tavola con Cristiano e il mister.
«Come va qua? Tutto bene?» chiedo non appena ne ho l'opportunità.
«Sì, tutto bene. I ragazzi sono carichi e sanno che domani sera è importante vincere» risponde il mister con la sua solita calma. Quest'uomo sarebbe capace di addomesticare anche un lupo selvatico con i suoi modi e la sua filosofia zen, io lo adoro.
Ceniamo e non rivolgo nemmeno una parola al resto della squadra, poi una volta che la cena termina e tutti se ne vanno ce ne andiamo anche noi.
Mi metto a letto ma mi sento in trappola. Mi manca l'aria e questa camera senza balconi non mi aiuta, ho bisogno di uscire. Salgo all'ultimo piano sperando in una terrazza che dopo qualche ricerca trovo. Apro il portellone d'emergenza ed esco facendo un sospiro di liberazione. Chiudo gli occhi ed ispiro profondamente per poi soffiare fuori dalla bocca l'aria appena catturata dai miei polmoni.
«Non riesci a dormire?» il cuore, a quella voce, mi salta letteralmente fuori dal petto. Mi giro e Giovanni è seduto su una panchina, in pigiama e felpa del Napoli, con le gambe divaricate e lo sguardo perso.
«Mi mancava l'aria» dico, cercando di calmarmi. Non ci parlavamo da un mese e ora eccoci qua, su una terrazza da soli a chiacchierare come se nulla fosse.
«Capita sempre anche a me, anche se l'aria qui non è un granché» dice facendo una smorfia e io annuisco.
«Non è Posillipo e nemmeno l'Eremo dei Camaldoli» forse sbaglio a ricordare quel posto ma stasera mi sento più libera del solito e non ho voglia di trattenermi. Lui fa di sì con la testa e non dice altro. Dopo un po' mi siedo anche io su una panchina poco distante dalla sua e guardo il cielo, così come fa lui. Fa freddo qua fuori e io come una stupida non mi sono portata nemmeno un plaid.
«Copriti, fa freddo» si toglie la felpa e me la passa guardandomi negli occhi per la prima volta dopo tanto tempo.
«No tranquillo, sto bene» scuoto la testa stringendomi tra le mie braccia rendendo chiaro che ciò che ho appena detto non è la verità. Infatti lui se la ride e torna a porgermi la sua felpa. Stavolta non me lo faccio ripetere e allungo la mia mano prendendola. Le nostre dita si sfiorano per un attimo e una scossa mi percuote l'anima. Le ginocchia mi si fanno molli e inizio a respirare irregolarmente.
Solo con lui io provo tutto questo, solo e solamente con lui.
«Grazie» me la infilo e il suo profumo intrappolato nella felpa mi riporta indietro con la mente a quando quello era il profumo di casa mia. Mi manca lui, mi manca cosa eravamo e mi manca cosa saremmo potuti essere insieme.
Restiamo distanti, non ci guardiamo e quello resta l'unico tocco che ci scambiamo fino a che lui non si alza e cattura la mia attenzione. È così bello, il suo fisico atletico e il suo carattere gentile mi hanno attratta fin da subito ma è il suo cuore grande la cosa che me lo fa mancare di più.
«Buonanotte» dice e senza aggiungere altro si volta e va verso l'uscita. È quello il momento in cui scatta qualcosa in me: mi alzo e con tre passi ampi e veloci lo raggiungo.
«Vieni in camera mia tra dieci minuti, ti aspetto» dico.
Non è stata una cosa ragionata o architettata, prima di tre secondi fa non ci avevo neanche pensato a fargli un invito del genere eppure eccomi. Lui non risponde, mi fissa senza battere ciglio così, in preda all'imbarazzo e all'adrenalina lo lascio lì e vado via raggiungendo la mia camera.
Cosa diamine ho appena fatto? Cristo, sono per caso impazzita? E tutti quei discorsi sull'ognuno per la sua strada e tutto il resto che fine hanno fatto? Vado su e giù per la stanza cercando di dare una risposta a tutte queste domande ma non faccio che peggiorare la mia confusione. Tanto non verrà e domani faremo finta che non sia successo niente. Dico tra me e me, convincendomi che questa forse sia l'opzione migliore. Non verrà. Mi ripeto per poi sedermi sul letto e respirare profondamente.
Toc toc.
Il suo tocco. È lui ne sono sicura.
«Avanti» dico e la sua sagoma mi è subito chiara nella penombra. È venuto.
Mi alzo facendo dei passi nella sua direzione e lo stesso fa lui. In pochi attimi le nostre labbra si trovano per non lasciarsi più. Ci ritroviamo sul letto, attorcigliati tra le lenzuola e ci incastriamo come mai prima. E non intendo fisicamente perché quello accade sempre e sempre accadrà, no. Io intendo con lo spirito e con il cervello e con il cuore.
Siamo persi l'uno nell'altra, ci stringiamo, non vogliamo che questo momento finisca mai. Porterò questa notte nel cuore per sempre, accada quel che accada.

I suoi movimenti leggeri e silenziosi mi svegliano qualche ora dopo. Guardo l'orologio che segna le tre e sette minuti e mi sento confusa. Perché se ne sta andando? Non può di certo rimanere fino alle sette o le otto domani mattina ma nemmeno andarsene così nel bel mezzo della notte.
«Che stai facendo?» gli domando stringendogli un braccio. Lui si ferma e sospira. Si prende una pausa e poi risponde.
«Non posso, non così» si volta verso di me e inizia a darmi le sue spiegazioni.

Impossibile || Giovanni Di LorenzoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora