È mattina.
La luce solare si irradia flebile, bloccata dalla tenda della finestra mentre si appoggia delicata sulle mie palpebre. Mi strofino gli occhi e mi alzo non curante della persona stesa nel mio stesso letto. Quella si inizia a girare e rigirare per poi ficcarsi sotto le coperte e sbuffare.
"Che ore sono?" Dice una voce rauca per essersi appena svegliata. Prendo il telefono appoggiato su un tavolo lì vicino e controllo.
"10:42"
"Non ho mai dormito così tanto in vita mia"
Accenno un piccolo sorriso e senza dire niente prendo i miei vestiti ormai asciutti e mi dirigo in bagno per prepararmi a questa giornata.
Penso a quello che è successo ieri sera, a tutto quello che ci siamo detti e urlati l'uno contro l'altra. Al suo non voler lasciarsi aiutare. Al suo pensare di non essere davvero la persona forte e decisa che è. Alle sue labbra a pochi centimetri dalle mie mentre entrambi siamo stesi nel letto.
Il primo giorno che l'ho vista l'ho studiata per tutte e cinque le ore di scuola. Avevo constatato che non era come tutte le altre: era fragile, un animo sensibile e quiete ma nei suoi occhi si celava anche la forza sovrumana che lei non sapeva di avere.
Esco dal bagno e noto che non c'è più nessuno nel letto, non l'avevo sentita andare via così decido di andare dalla receptionist per chiederle se l'avesse vista uscire. Non appena arrivo le porgo la mia domanda e lei con gentilezza mi riferisce di non averla vista passare. Torno in camera e prendo il cellulare per chiamarla.
"Dove sei?"
"Sono andata a comprare delle brioche" Dice la voce metallica proveniente dal telefono.
"Potevi aspettarmi, ci saremmo andati insieme"
"Due secondi e arrivo"
Senza calcolare quello che le avevo detto chiude la telefonata e io rimango ad aspettarla disteso sul letto, guardando il soffitto pensieroso.
Penso a cosa dirle non appena tornerà. Voglio assolutamente andare a casa con lei e parlare con i suoi genitori.
"Eccomi" Dice una voce femminile allungando la "i" finale, probabilmente per l'entusiasmo di poter mangiare quante brioche vuole. Appoggia il sacchetto sul tavolo e si siede sulla sedia, io mi alzo e prendo le brioche portandole sul letto.
"Vieni qui a mangiare che fai casino e sporchi le lenzuola"
"Che ti frega tanto puliscono loro"
"Che scemo"
Nonostante il suo rimprovero viene anche lei a mangiare sul letto e degustiamo ognuno la propria brioche, la mia al cioccolato e la sua al pistacchio (Riferimento a jac puramente causale).
"So che ieri sera abbiamo discusso per questo discorso ma non mi arrenderò fin quando tu mi darai il consenso per parlare con i tuoi genitori"
"Non sono i miei genitori, smettila di chiamarli così!" Urla. Quella personcina tanto fragile che fa finta di non sapere di avere dentro di se una bomba pronta ad esplodere. Vengo preso alla sprovvista, spiazzato dal suo urlo pieno di odio e rimpianto nei confronti di quelle due persone. Come darle torto, aveva perso tutto, i suoi veri genitori sono morti, lei è stata in orfanotrofio e poi adottata da quei due pazzi che di certo non erano delle figure famigliari.
"Scusa" Le mie parole suonano sincere e piene di compassione.
"Comunque va bene, ci parleremo insieme" I miei occhi si riempiono di speranza ma vengono subito spenti alla sua frase successiva "Ma non oggi, io rimango a dormire qui un'altra notte, non voglio tornare da loro, ho bisogno di una tregua".
"Teresa, rispetto la tua decisione di non tornare a casa ma non rimanere qui da sola, mio padre questa settimana andrà a Milano e la casa è libera, vieni da me"
Probabilmente questa mia proposta non le piace dato che abbassa lo sguardo, pensierosa, come se stesse decidendo il futuro della sua vita. Sembra appesa a un filo da cui può cadere, in cui giù, ad aspettarla si trova un prato di spine pronto a trafiggerla, oppure, da cui può prendere la forza per spiccare il volo e librarsi in aria finalmente libera.
"Va bene" Sussurra alla fine.-
Pov's Teresa
Nella camera d'albergo ora sono solo io, Thomas è andato a prendere il motorino con il quale torneremo a casa sua.
Casa sua.
Avevo accettato la sua proposta solo perché non avevo i soldi per restare lì.
Mi chiedo cosa ci sia tra me e Thomas, è tutto così indescrivibile quando c'è lui. Il suo modo così rabbioso e strano di preoccuparsi per me. Ma anche i momenti in cui viene piegato dalla fragilità e non riesce a trattenere le sue stesse parole dal chiedere scusa... anche quando lui non ha colpa.
Il suo modo di guardarmi. Quando quegli occhi cadono su di me mi manca il respiro, sento il cuore perdere un battito e poi accelerare.
Se riesci a comprenderlo, dai suoi occhi puoi capire tutto ciò che prova. Ma lui è anche bravo a nascondere ciò che le persone non devono sapere di se stesso: le sue debolezze. Col tempo imparerà ad amarle, di fare di loro la sua forza e di farle trapelare dal suo sguardo senza paura di rimanerne soffocato. Io non so se riesco a carpire ciò che lui non vuole far vedere. Sono incuriosita dai suoi occhi e dai suoi modi di fare un po' impacciati e misteriosi. Quando cadiamo l'uno nell'altro vedo la sicurezza provare a nascondere il tremolio impaurito di ciò che prova davvero: speranza.
Biip.
Quel suono acuto si infila tra i miei pensieri distorcendoli e stropicciandoli in palline di carta. Prendo le uniche cose ancora presenti nella stanza e scendo.
Appena varco l'ingresso dell'hotel, ad aspettarmi c'è il sorriso di Thomas. Mi fermo un istante a guardarlo: inizio dalla testa avvolta nel casco, scendo sui suoi occhi e scorgo la mia figura riflessa, passo alle labbra leggermente secche e screpolate ma sempre attraenti, passo al busto e mentre seguo con lo sguardo le sue braccia mi soffermo sulle mani, le dita affusolate e muscolose che ti fanno capire la sicurezza con la quale avrebbero suonato il pianoforte.Siamo a casa.
Davanti casa sua.
L'ultima volta che sono entrata c'era Ettore ad aspettarmi seduto come capotavola. Era più alto di me anche quando il suo corpo era adagiato sulla sedia. Trasmetteva sicurezza, determinazione e ringhiava anche stando in silenzio.
La casa era grande. C'era un ampio ingresso che dava a un enorme stanza in cui troneggiava il grande tavolo con sopra un lampadario che voleva far capire quanto fosse costato con una sola occhiata, e infine la cucina open-space color nero profondo che contrastava con il marmo bianco e le sue venature grigie.
Thomas è già sceso dalla moto e mi guarda chiedendosi perché non mi sono ancora mossa. Quando sembra capire viene da me e stringe la mia mano nella sua.
"Non c'è nessuno" Sussurra la sua voce al mio orecchio "Non ti devi preoccupare" Il suo pollice carezza la mia mano nell'intento di farmi rilassare. Mi lascio sciogliere dal quel tocco e insieme a lui entro nella casa.
L'odore pulito e quasi normale di quel posto si intrufola nelle mie narici e rischio di sentirmi male. Ricordo la paura, le mani che tremavano, il nodo alla gola che pregava di poter scacciare fuori le lacrime che tratteneva per smettere di farla bruciare. Ma niente usciva se non il mio respiro affranto. Non piangevo per paura della sua reazione.
"Vuoi qualcosa da bere?"
Chiede Thomas con fare gentile e dolce, forse aveva notato il piccolo stato di shock in cui mi trovavo.
"Si, grazie, l'acqua va benissimo"
Beviamo entrambi seduti alla penisola della cucina. Io non ho smesso un instante di osservare quella immensa casa.
Sul tavolino da salotto vedo una cornice, forse l'unica foto ricordo che ho visto fino ad ora.
Mi alzo e mi avvicino ad essa mentre dietro di me qualcuno mi segue.
Seduta sul divano prendo il quadretto con molta calma e attenzione. Vedo una donna.
Ha i capelli scuri e un po' impigliati tra di loro come quelli di Thomas.
Ma gli occhi non sono come i suoi.
Sono azzurri.
L'azzurro intenso del cielo sereno, quando non c'è nemmeno una nuvola a coprire la sua maestosità.
Passo il pollice su ogni suo lineamento, poi guardo il ragazzo di fianco a me. Ha gli occhi puntati su quella donna e nel suo sguardo c'è rassegnazione ma vendetta e il resto è tutto amore. Amore per quella donna che ormai ha perso. Amore che mangia dentro quando sei consapevole di non poterglielo più dare.
"L-La m-mia mam-ma" Balbetta lui mentre non distoglie lo sguardo. I suoi occhi si riempiono di tristezza. Prende la cornice dalla mia mano e la stringe a sé con tutta la forza che ha.
Appoggio la testa sulla sua spalla e con le mie due braccia piccine ne avvolgo uno suo.
Le lacrime avvolgono il suo viso e una cade sulla mia mano. L'impatto freddo di quella goccia con il calore del mio corpo mi fa rabbrividire.
Senza volerlo porto una mano al suo viso e lascio che vaghi su di esso. Glielo libero dalla tristezza che cola lungo le sue guance. Percorro il suo profilo con il pollice e mi fermo alle labbra. Sfiorandole appena. Rimaniamo così un momento interminabile e poi succede tutto troppo velocemente.
Velocemente si libera di qualsiasi presa io abbia del suo corpo e poi, le sue labbra si chiudono sulle mie.
Dura un istante.
L'istante più bello della mia vita. Ma come è successo, così si disfa e un momento dopo Thomas non c'era più.
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Convinto di avere lei a fianco, lei che puntualmente non c'era
Fiksi PenggemarQuesta storia non è come le altre, non è un amore ricambiato, non è un amore perfetto e non è tutto rosa e fiori. Thomas è figlio di un boss mafioso e quest'ultimo farebbe di tutto pur di rendere suo figlio indipendente, rude e crudele, al contrari...