Parte 8

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Joe mi portò al parco, non era molto affollato, anzi, non c'era nessuno. -Vieni con me- disse lui trascinandomi per il polso verso le altalene. -Non siamo troppo grandi?- gli chiedo arrossendo leggermente. -Ma va!- fece lui correndo verso un'altalena e salendoci, mettendosiin piedi e iniziando a dondolarsi pari a lentamente, poi più velocemente. -Dai vieni! Chi vuoi che ci veda?- disse lui e io mi avvicinai alla tavoletta nera di plastica, salendoci lentamente, stringendo la catena in metallo. La lega era molto fredda, a contatto con la mia pelle calda mi causò dei brividi lungo le braccia. Iniziai a dondolarmi, mantenendo una lenta velocità. Passammo un'ora a giocare sulle altalene come fossimo bambini prossimi all'adolescenza, mentre invece eravamo già in pieno periodo adolescenziale. -Dai, non dirmi che non ti sei divertita!- mi disse lui, sogghignando. -Nano malefico- gli dissi dandogli una spinta amichevole. -Dai andiamo- mi disse prendendomi sottobraccio. Sentii che il cuore prese a martellarmi violentemente nel petto come fosse stato un martello pneumatico fuori controllo. Sentii le guance scaldarsi, il sangue salire alle guance che assunsero un color rosso fuoco. -Va tutto bene? Non è che ti stai ammalando?- chiese Joe ansioso. Gli sorrisi dolcemente. -No, fa solo un po' caldo, non preoccuparti- dissi iniziando a camminare, seguita da lui, che mi teneva sempre a braccetto.
-Dove sei stata?- mi chiese Paolo non appena misi piede in casa. Sbuffai e gli lanciai uno sguardo di fuoco che avrebbe potuto incenerire una pietra. -Stavo con un amico- gli risposi sibilando. -Un amico eh?- chiese lui inarcando un sopracciglio e alzando i lati della bocca in un malizioso sorriso odioso. -Lasciami in pace!- gli dissi e andai verso la mia stanza, sbattendo la porta con estrema violenza, chiudendola a chiave. -Qualche problema signorina?- chiese Agatha sbucando da un angolo della stanza. Sobbalzai, portandomi una mano al cuore che martellava più lentamente rispetto a quando Joe mi aveva preso il braccio. -Agatha!- la rimproverai e lei indietreggiò con un'espressione di scuse in volto. -Che ci fai qua?- le chiesi più dolcemente -La signora Di Rigo mi aveva detto di riordinare la vostra stanza.- disse lei tormentandosi il bianco grembiule. -Ti manca tanto?- le chiesi con una certa impazienza nella voce. -Ho appena finito, tolgo il disturbo signorina.- disse uscendo dalla porta. La richiusi a chiave e mi buttai sul letto come un peso morto. Mi balenò davanti agli occhi il magnifico sorriso di Joe, la sua mano che avvolgeva la mia, il suo braccio che si adagiava dolcemente intorno al mio avambraccio provocandomi un rossore violento, la sua espressione preoccupata vedendo il mio volto rosso fuoco. Chiusi gli occhi per assaporare meglio quei pochi ricordi che mi facevano sentire il battito del cuore. Ormai era certo: avevo una cotta per Joe, però quando ero con lui c'era qualcosa che mi bloccava, come se avessi delle catene che frenavano i miei movimenti. Quando lui era troppo vicino avvertivo come una stretta, qualcosa che mi bloccava, qualcosa di molto simile alla paura. Sentii bussare alla porta. Mi alzai sbuffando e girai la chiave, poi abbassai la maniglia e vidi Agatha davanti alla porta. -Dimmi- le dico forse troppo villanamente -Signoria, la aspettano giù per la cena- disse lei e si scostò dalla soglia per lasciarmi uscire. Scesi e scoprii con mia grande sorpresa che mio padre era lì, seduto a capotavola. Guardai mio cugino seduto sulla mia sedia e lo fulminai. -Alzati subito!- gli dissi ringhiando. -Ehi calma, per una volta non puoi sedetti da qualche altra parte?- mi chiese e io tirai indietro la sedia. -No e ora alzati- gli dissi indicando una sedia vicino a quella su cui sedeva mio zio. -Dai Paolo alzati, sii un cavaliere- disse mio zio con un dolce sorriso. Gli volevo bene, era un uomo molto simpatico e altruista, lavorava come architetto ed era molto apprezzato dalla clientela, sia per la sua bravura che per il suo carattere gentile ed educato. Suo figlio non aveva certo presa da lui. Con una smorfia Paolo si alzò, venendomi volontariamente addosso, scostando il cardigan dalla spalla. Lo fulminai cercando di placare gli istinti omicidi. -Allora Jessica, come va qui a Tokyo?- mi chiese lo zio non appena mi fui seduta. Ripensai un attimo alla Royal. Si materializzò il ricordo di Jude che diceva:-Sai che Ray Dark è l'allenatore della Royal Academy vero?- Un impulso di rabbia percorse il mio corpo. Scacciai quel pensiero frettolosamente, per poi rivolgere uno sguardo a mio zio. -Tutto bene zio, ho fatto amicizia con tre ragazzi molto simpatici. E ho anche un'amica- L'amica di cui parlavo sarebbe Nelly, ma in quel periodo la odiavo a morte, l'avevo detto solo per rendere felice mio padre, che ci teneva proprio tanto al fatto che io andassi d'accordo con Nelly. Mi era cotanto un grosso sforzo di volontà dirlo, ma ne era valsa la pena, perché per la prima volta dopo tanto mio padre mi sorrise fieramente, prendendomi la mano. -La mia bambina è davvero brava- disse. -Sono proprio fiero di lei- continuò. Sorrisi un po' sotto sforzo. -Hai un ragazzo?- chiese mia zia impicciandosi dei fatti miei, come faceva sempre, d'altronde. -No zia, nessun ragazzo- dissi diventando rossa e abbassando lo sguardo. Con mia grande sorpresa non pensai a Joe, bensì ad Hurley. Mi strofinai gli occhi con violenza. Perché Hurley? Lui era solo il mio migliore amico, una persona alla quale io potevo raccontare tutto, eppure in quel momento avevo pensato a lui come al mio ragazzo.
-E allora chi era quello con cui sei uscita stamattina?- mi chiese Paolo. Non lo fulminai, mi limitai a fissarlo con il forte desiderio di strangolarlo. -È solo un amico! Quante volte dovrò ripetertelo?- gli chiesi con gli occhi che sputavano fuoco. -Sì certo- fece lui con un sorrisetto malizioso, iniziando a mangiare gli spaghetti. -Posso ucciderlo?- chiesi sussurrando a mia madre, che mi ammonì con uno sguardo che mi fece venire i brividi.
Quella notte feci uno strano sogno che mi provocò vari dubbi e domande alla quale non seppi dare risposta.
Ero in piedi davanti al mare che tramontava. Su uno scoglio in mezzo al mare c'era Hurley, nel bosco scuro dietro di me c'era Joe, con il viso coperto da un'ombra. Andai verso Joe con un sorriso, poi mi girai verso Hurley, ma lui era scomparso. -Non ti aspetterò per sempre...Lui per te è un pericolo- diceva una voce lontana, era quella di Hurley. Intorno a me il paesaggio prese a creparsi come vetro infranto, mentre io gridavo e correvo verso Joe. Gli presi il braccio, era freddo. Lui si allontanò da me e io notai che dalla mano colava del sangue. Urlai ancora e tutto divenne buio.
Mi svegliai tra le urla, la fronte ricoperta di perle di sudore. Cosa poteva voler dire quel sogno?

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