Capitolo 13

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Erano passate due settimane dalla fine della scuola e da quando avevo scoperto che mio fratello continuava a scrivere al mio padre adottivo.

Ero in camera mia, intenta a fare le valigie. Sarei partita per Okinawa, avrei trascorso lì l'estate. Ero contenta di tornare a casa. Passare un po' di tempo con Hurley e gli altri mi avrebbe aiutata a mettere in chiaro le idee. Aprii uno degli armadi e ne tirai fuori alcune magliette che depositai in valigia. Mentre sistemavo, mi squillò il telefono. Lo presi e risposi senza nemmeno vedere il numero sul display. -Buongiorno!- mi salutò una voce dall'altra parte del telefono. Staccai il dispositivo dall'orecchio e guardai il numero: Joseph King. Trattenni un urletto di gioia, mentre il mio cuore mi batteva a velocità iper sonica. -Jo! Stai bene?- gli chiesi quasi con le lacrime agli occhi. -Sì. Ecco, io vorrei parlarti, non è che puoi venire qui da me in ospedale?- mi disse. Feci un piccolo sorriso e lo avvertii del mio arrivo. Presi una canottiera azzurrina è una maglietta di seta blu, un paio di pantaloncini di jeans e delle collant nere. Indecisa se truccarmi o no, mi infilai le ballerine azzurre e mi guardai allo specchio. Decisi che non serviva truccarmi, era sempre Jo dopotutto, non serviva truccarsi.

Uscii di casa e mi diressi verso l'ospedale con il cuore che batteva sempre più forte ad ogni passo che facevo. Ero davanti all'edificio, sulla soglia del cancello. Dovevo entrare, ma avevo paura. E se Jo mi avesse chiesto di raggiungerlo perché aveva sentito che io avevo detto che lo amavo e lui non ricambiava? L'ansia continuava a salire, sentivo una stretta allo stomaco e avevo un nodo alla gola. Entrai nell'edificio e mi diressi nella stanza di Jo. Mentre andavo, incrociai Axel. Stava parlando con un uomo alto, con i capelli bianchi e blu. Era un medico, probabilmente era suo padre. Lo salutai con un sorriso e lui ricambiò con un cenno della testa.

Davanti alla porta della stanza di Jo esitai parecchio. Rimasi lì in piedi respirando troppo velocemente. Scossi la testa per liberarla dai pensieri funesti e feci per aprire la porta, ma questa si aprì da sola. Feci un salto indietro facendo echeggiare il tacco delle ballerine contro il pavimento. Sulla soglia c'era Jude. Feci un sorriso un po' forzato. Non capii se mi stava fulminando o altro, ma se ne andò senza che potessi parlargli. La porta era rimasta aperta, a quel non si tornava indietro. Jo mi sorrideva, fissandomi con i suoi occhi ambrati. Entrai e chiusi la porta, poi mi sedetti sul bordo del letto, come mi chiese lui. -Come stai?- gli chiesi, cercando di evitare il suo sguardo. Lui mi prese la mano e io sussultai. -Sissi- mi disse con una voce candida e dolce. Alzai lo sguardo e gli sorrisi anch'io con tutta la dolcezza che avevo. -Io...volevo dirti che...- Calò il silenzio. I suoi occhi fissi nei miei, i miei occhi fissi nei suoi. Nessuno parlava, nessuno respirava, perché entrambi stavamo trattenendo il respiro. Non so quanto passò, ma a me parve un'eternità. Ad un certo punto Joseph iniziò ad avvicinarsi a me. Mi pietrificai quando lasciò la mia mano. Il suo viso era a pochi millimetri dal mio, le sue labbra erano così vicine. "Oh mamma!" Pensai rimanendo immobile. Le sue labbra si appoggiarono alle mie nell'istante stesso in cui io chiusi gli occhi. Era un bacio dolce, delicato. Le sue labbra sapevano di miele. La sua mano accarezzò la mia guancia con una velocità tale da sembrare il soffio del vento. Sentii le farfalle nello stomaco e dei brividi lungo la schiena. Si allontanò da me e io mi sentii avvampare. Avevo appena dato il mio primo bacio. Lui mi sorrise e si tirò più indietro. Non riuscivo a parlare. Sentii il desiderio di scappare, ma mi obbligai a rimanere seduta. -Mi dispiace...- sussurrò lui, vedendomi pietrificata. Non sapendo cosa dire, mi lanciai tra le sue braccia. Lui avvolse le sue intorno alle mie spalle. -Ti amo- sussurrai così piano che a stento mi sentii. Lui passò le dita sulla mia guancia con delicatezza. -Anche io- mi sussurrò lui. Mi accoccolai ancora di più tra le sue braccia. Sapeva di vento, menta e miele.

Rimasi un'ora con Jo, poi dovetti andare a fare le valigie. Mi salutò con un rapido bacio delicato come la seta. Tornata a casa, mi chiusi in camera e preparai le valigie. Ne vennero fuori circa una decina, più la borsa delle scarpe e il beauty con i trucchi. La povera Agatha dovette fare troppi viaggi per portarle in macchina.

In aereo mi misi a leggere. Mia madre si stava dando da fare per tenere Riccardo tranquillo. Presi il mio fratellino in braccio e iniziai a coccolarlo. -Cosa c'è? Non ti piace viaggiare?- gli chiesi dolcemente, facendolo giocare con il suo pupazzo a forma di topo. Dopo poco Riccardo si addormentò con le manine strette intorno al peluche. Sorrisi e guardai fuori dal finestrino. Sotto di noi iniziava a comparire la massa d'acqua cristallina con le onde. Dopo un'ora l'aereo atterrò. Non appena entrai nello stabile dell'aeroporto, fui investita da Dora, la mia migliore amica. Le sorrisi, salutandola con tutta la gioia che avevo. -Non vedo l'ora di dirti cosa mi è successo l'altro giorno!- le dissi e lei aprì i grossi occhi azzurri. Non siamo mai state due ragazze da pettegolezzi, ma quando si trattava delle nostre questioni di cuore eravamo sempre dietro a parlare di ragazzi. A lei piaceva uno dei giocatori della Mary Times Memorial, Sharko. Andammo insieme al campo da calcio, parlottando tra di noi. -Quindi sei fidanzata?- mi chiese. Notai che c'era qualcosa che non andava nella  sua voce, come se fosse triste. -Sì, perché? C'è qualche problema Dora?- le chiesi preoccupata. Lei rimase in silenzio, poi si fermò e mi fissò con gli occhi tristi. -Perché Hurley è innamorato di te e voleva dichiararsi alla festa dei fiori...- disse Dora. Fu come un pugno nello stomaco. Prima David e ora il mio migliore amico. Mi sentii crollare, morire dentro. Non potevo crederci...

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