Parte 12

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Rimasi immobile, totalmente pietrificata. Che cosa gli potevo rispondere? Lui era un mio carissimo amico, gli volevo bene, non potevo spezzargli il cuore. Lui mi guardò con sguardo preoccupato. -David...io...- Rimasi paralizzata, no, non potevo dirgli che non ricambiavo, ma sarebbe stato come mentirgli. -Io non...- Il suo sguardo si rattristò leggermente, segno che aveva capito che io non ricambiavo. Avrei preferito non dirglielo, ma lui mi incalzava a continuare, magari nutriva la speranza di essersi sbagliato. -Non provo gli stessi sentimenti per te...insomma, tu sei il mio migliore amico, ma...- non feci in tempo a finire la frase che lui era già corso via. -David!- lo chiamai sentendo le lacrime scorrermi lungo le guance. Lui si fermò e mi guardò un attimo. -Non lasciarmi anche tu...- dissi piangendo. Lui ritornò sui suoi passi e mi abbracciò. Scoppiai in lacrime tra le sue braccia, stringendo forte il tessuto della sua maglietta. Lui mi accarezzava i capelli sussurrandomi che sarebbe andato tutto bene, che lui era lì e non se ne sarebbe andato. Smisi di piangere, ma continuai a restare abbracciata a lui, come se se l'avessi lasciato andare, lui non sarebbe più tornato, sarebbe svanito. Rimanemmo abbracciati per un po', ma poi si fece tardi ed entrambi dovevamo andare. -David- lo chiamai. Lui si fermò e mi guardò con un sorriso. -Cambierà tutto, vero?- gli chiesi, alludendo al fatto che avrei cambiato scuola e non avrei più potuto parlare con loro, perché non ci saremmo più visti. -No, tu resterai sempre la nostra Jessica e noi resteremo sempre i tuoi tre moschettieri, non ti lasceremo mai- mi rispose e io gli sorrisi.

Ultimo giorno alla Royal Academy, di David nemmeno l'ombra. Lo cercai dappertutto, chiesi delle informazioni ai suoi compagni, ma nessuno sapeva. Allora pensai che Jude sapeva qualcosa, ma anche lui era scomparso nel nulla. -Grande- mi dissi scuotendo la testa. La campanella dell'ultima ora suonò, tutti saltarono in aria gioiosi, io rimasi inchiodata alla sedia. Guardai il banco vuoto di Jo, pensando che avrei voluto averlo lì. Prima di uscire dall'aula, mi voltai per immagazzinare quanto più possibile di quella stanza. Insomma, era pur sempre una classe, il luogo dove i professori mietono le loro vittime, ma era proprio lì che io avevo iniziato a legare con Jo. Uscii dalla scuola molto lentamente, i miei compagni mi schiacciavano e mi spingevano, tutti euforici. La scuola era finita! Che gioia! Tutti che urlavano e lanciavano libri, io che mi trascinavo tutta rattristata fuori dal cancello. -Beh, credo che questo sia il nostro ultimo saluto.- dissi rivolta alla scuola. Mi guardai intorno, come se dal nulla potesse spuntare fuori una chioma sbarazzina castana e un paio di occhi ambrati. -Addio- dissi infine sforzandomi di sorridere.

Mi incamminai verso casa. Mi fermai un attimo in un negozio per prendere delle bustine di tè, dato che quelle che avevamo sono state distrutte dalla nuova tata di Riccardo. Dato il mio comportamento chiuso e scontroso, mia madre aveva deciso che a suo figlio serviva una babysitter che lo curasse quando lei era al lavoro. Durante il colloquio la signorina Wang era sembrata una dolce ragazza matura, perfetta per Riccardo. Invece era un puro disastro, peggio di Aghata. Mio padre non aveva avuto tempo per trovarne un'altra, così Uraganositter era rimasta con noi, causando più disastri di un tornado.

Mentre prendevo le bustine dal ripiano più alto, inciampai e per poco non caddi a terra. -Ma perché tutte a me?- mi chiesi con una smorfia. -Faccio io!- mi disse una voce alle mie spalle. Mi voltai e non vidi nessuno. Tornai a guardare lo scaffale, notando che davanti a me c'era Axel con in mano il pacchetto di bustine per il tè. Sobbalzai, sbattendo contro l'altro scaffale. -Ma si piomba così davanti alla gente?- gli chiesi strappandogli dalle mani il pacchetto. -Comunque grazie- dissi. Lui non rispose e se ne andò. Scossi la testa, poi mi voltai e andai alla cassa. Mentre uscivo, notai un uomo con un cappuccio alzato abbastanza da coprirgli il viso che mi spiava da dietro un muro. Iniziai a camminare rapidamente tra la gente, sperando di nascondermi da lui. Sbucai fuori da una via che portava dritta a quella dove si trovava casa mia. Purtroppo la via era quasi deserta. Camminai velocemente, lo sentivo alle mie spalle. Cercai di non pensarci e mi ritrovai a correre. Il sacchetto si ruppe e il pacchetto di bustine volò a terra. Mi voltai un attimo. Lui era sparito. Presi il pacchetto e mi voltai urlando. No, non era sparito, era davanti a me. Riuscii a vedere una cicatrice sulla guancia sinistra. I suoi occhi erano coperti dagli occhiali neri stile spia. Era alto e muscoloso, emanava una fragranza di mare, come Hurley quando esce dall'oceano dopo un'ora spesa a nuotare. Ansimai indietreggiando. Lui non si mosse. Mi voltai per vedere se c'era qualche suo amico. Nessuno, eravamo solo noi. -Jessica Di Rigo?- mi chiese lui con una voce profonda, come quella dei malati che hanno la tosse. Annuii facendomi forza. -Sta lontana da Ray Dark e dalla Royal Academy- mi disse e scomparve in una via secondaria molto buia. Rimasi un po' perplessa, guardandomi intorno. -Poteva almeno presentarsi!- dissi stizzita. Quella giornata andava di male in peggio.

Tornata a casa vidi mio padre armeggiare con la cassetta della posta. -Faccio io!- gli dissi. Una volta aperta la cassetta, fui inondata di lettere e volantini. -Ma da quant'è che non la aprite?- chiesi inginocchiandomi per prendere le lettere. Notai che una era più scura delle altre. Lessi il mittente: J.M. Mio padre mi strappò la lettera di mano, ordinandomi di prendere le altre. J.M. Queste lettere mi ronzarono in testa per ore, così decisi di prendere la lettera dall'ufficio di papà. Una volta entrata, la notte, scoprii che la lettera era stata bruciata. Mi sedetti sulla poltrona girevole e pensai. Cosa mi nascondeva mio padre? A chi appartenevano le iniziali J.M.? Poi mi venne una sorta di illuminazione, scattai in piedi e schioccai le dita. J.M. Jasper Marber! Mio fratello!

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