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Fin da quando ero bambino, mi piaceva pensare che avrei potuto trovare, nei meandri del mio cervello, un metodo per fermare o velocizzare il tempo, in modo da controllare la realtà a mio piacimento

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Fin da quando ero bambino, mi piaceva pensare che avrei potuto trovare, nei meandri del mio cervello, un metodo per fermare o velocizzare il tempo, in modo da controllare la realtà a mio piacimento. Come un telecomando.

Avrei voluto far passare in fretta i giorni in cui mia madre piangeva, pensando di non riuscire a tenerci in piedi.
Avrei voluto rallentare i momenti in cui ridevamo insieme o quando era entusiasta per qualche mio successo.
E avrei voluto fermare il tempo quando tutto sembrava troppo, attorno a me.
Per prendermi qualche secondo per respirare.

Il mondo correva troppo veloce e io, anche a ventiquattro anni, continuavo a sentirmi un bambino con le gambe troppo corte per starci dietro.

Seoul era una città pazzesca, ma sembrava essere ancora più irraggiungibile di qualsiasi altra cosa.

Metaforicamente, era questo il motivo per cui mi ero preso tanta cura del mio corpo.
Per diventare più forte.
Per cercare di tenere il ritmo con quella rotazione terrestre troppo insostenibile.

C'erano dei giorni in cui mi ritrovavo al centro del mio appartamento, fermo, e tutto sembrava girare.
Veloce. Veloce. VELOCE.

Troppe cose da fare.
Troppe aspettative da mantenere.
Troppi obiettivi che avrei voluto raggiungere.

Come Alice nel Paese delle meraviglie, mi sentivo troppo piccolo per quel mondo gigantesco.

Tutto era sempre stato troppo.

Soprattutto la paura.
E il rimorso.

«Kook, respira»

Sbattei le palpebre, ritrovandomi davanti Namjoon.

Era sempre lì ogni volta che mi perdevo nella mia testa e smettevo quasi di prendere fiato.
Sentivo i polmoni bruciare.

«Sto bene» sussurrai, percependo il cuore tornare al ritmo regolare, mano a mano che mi concentravo su ciò che mi circondava; di solito mi aiutava a stare meglio.

Eravamo nello studio televisivo dello show.
Tra poco saremmo andati in onda.
Ero già preparato e truccato.
Kim era dall'altra parte della stanza, che mi osservava.
Puffo Park era vicino a lui.

Tirai un altro lungo respiro, annuendo piano, come a volermi rassicurare da solo.
Andava bene.
Non dovevo correre.

«Te la senti di andare in scena?»

Seppure con un po' di titubanza, feci un cenno affermativo. Per quanto non avessi la minima voglia di affrontare tutto quello, sapevo fosse importante.
Non mi sarei tirato indietro.

«D'accordo, ma se ti senti di nuovo male fammi un cenno. Io sarò qui»

Sorrisi lievemente, non concependo come potesse essere così paziente con me, che rompevo solo le palle. Eppure, ero a conoscenza di quanto il castano mi volesse bene e io ne volevo a lui.
Non che glielo avrei mai detto, ovviamente.

Act like a Lover // Kooktae Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora