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Taehyung

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Taehyung

Tutto era successo troppo velocemente.

Io, Sorim e mio padre avevamo appena messo piede in casa, che la voce preoccupata di mia madre ci raggiunse all'ingresso, facendomi allarmare.
Soprattutto quando pronunciò il nome del corvino.

Senza pensarci due volte, corsi in direzione della cucina, trovando un Jungkook tremante e bianco come un fantasma, contro la credenza.
Come se fosse stato in trappola.
Come se si fosse sentito in trappola.
Mi si mozzò il respiro.

Non sapevo cosa fosse successo di preciso, ma un'occhiata veloce a mia madre mi fece capire che fosse colpa sua. Le avrei parlato, però, più tardi; la mia priorità, ora, era il ragazzino spaventato che sembrava starsi perdendo nella sua testa. Ancora.

Cercando di sopprimere la paura, mi avvicinai, posando le mani sulle sue guance, in modo da riportarlo indietro. Da me.

«Jungkook» lo chiamai, ma non ebbi alcuna risposta, se non un suo tentativo di allontanarsi. E l'umiliazione che lessi nel suo sguardo fu come un pugno allo stomaco.

Quanto fragile era Jeon Jungkook?
Mi sembrava si stesse sbriciolando fra le mie mani ed ero terrorizzato.
Lo vidi cercare di posarsi una mano sul polso, come per ascoltare il batitto.
Il suo meccanismo di autocontrollo.

«Va tutto bene, Kookie» riprovai, sperando che il suono della mia voce potesse ricordargli dove si trovava e che era al sicuro.

Ma forse non era davvero così.
Forse, ero proprio io quello a farlo sentire in pericolo, per un motivo sconosciuto.
Lo stesso motivo che mi faceva tremare le gambe, perché sapevo mi avrebbe distrutto, una volta scoperto.
Per quanto ancora potevo fingere di essere cieco?
Per quanto ancora Jungkook poteva fingere di vivere in quella realtà parallela?

Eravamo entrambi dei codardi.

Ma se lui aveva ancora la forza di correre, io non ero mai stato un asso nello sport.

Così, quando provò a sottrarsi ancora una volta dalla mia presa, dandomi un leggero spintone, lo tenni a me, con ancora più forza.
Cercando di dimostrargli che non importava quanto il mondo stesse vorticando, ci sarei stato io a tenerlo fermo.

«Lasciami andare» quel sussurro fu l'ennesima pugnalata, ma sapevo fosse la sua parte spaventata a parlare, e che, dentro di lui, ce n'era un'altra che lo stava pregando di rimanere.
E io avrei fatto le veci di quella.

Con delicatezza, gli presi un polso, posando il pollice sul suo battito, permettendogli poi di sentire anche il mio, allo stesso modo.
Avevo notato quanto questo gesto lo calmasse, in situazioni del genere, e mi ero preso la libertà di usarlo a mio vantaggio.
Facendogli ascoltare come anche il mio battito fosse reale tanto quanto il suo.
Il mondo non poteva niente contro di noi.

«Siamo fermi, Jungkook. Non sta girando nulla, non c'è bisogno di correre» mormorai, con decisione, puntando lo sguardo dritto nel suo.

Il modo in cui stava cercando di trattenere le lacrime non sapevo se fosse dovuto all'umiliazione o al voler riprendere controllo di sé stesso, ma non mi sfuggì quel cambio di luce nei suoi occhi.

Act like a Lover // Kooktae Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora