1. Scontri e incontri

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Quando il sole sfiorò la sua pelle, erano ormai già passate le sette.

Si alzò dal letto con calma, emettendo strani suoni di disappunto, e solo quando fu in piedi sulle sue gambe ricordò la prima lezione in Accademia.

Un moto d'ansia lo percosse dall'interno, eppure era passabilmente felice, a tratti euforico.

Un nuovo inizio significava conoscere nuove persone, nuovi suoni, abitare nuovi luoghi. Alle amicizie non ci pensava molto. Dopo che le sue amiche del liceo erano sparite quell'estate, lasciandolo solo, non riusciva a pensare di potersi fidare ancora di qualcuno. Era diventato schivo, introverso, silenzioso. Simone era sempre stato un ragazzo semplice e simpatico, capace di essere l'amico di tutti. Ma le cose erano cambiate, e ora un muro lo isolava da tutti. A lavoro aveva conosciuto le colleghe e i colleghi, chiacchierava con i clienti abituali, ma non era riuscito più a creare legami profondi. Tutti i rapporti restavano in superficie, e se una persona provava ad avvicinarsi troppo la sua prima reazione era scappare, rinnegare ogni cosa passata e a mai più rivederci. Era diventato così punto è basta. E questa sua nuova realtà se la faceva andare bene. Come un vestito scomodo che ormai non puoi più cambiare.

Senza nemmeno fare colazione scese di casa con i capelli spettinati, l'occorrente in borsa e la musica nelle orecchie. La musica jazz lo rilassava, lo metteva di buon umore. Gli piaceva la libertà con cui ogni nota superava l'altra, stupendolo continuamente. Spesso chiudeva gli occhi e provava ad immaginare colori, persone, animali o paesaggi che potessero prendere forma seguendo il flusso della melodia. Era una cosa che gli aveva insegnato Dante quando era bambino. Era uno dei pochi ricordi che aveva della sua infanzia.

-Ascolta questa canzone Simone- gli disse un giorno il papà, -che cosa vedi? -.
Dante fece partire il disco, e le note di Test me di Mon Vondo riempirono il salone e giunsero alle orecchie del piccolo Simone.
- A me sembra una tigre rossa - esclamò il bimbo, stringendo forte gli occhi e scuotendo la testa a ritmo di musica.
- Una tigre rossa... interessante. E sentiamo, che cosa fa questa tigre rossa? -. Il papà prese ad accarezzargli i morbidi ricciolini disordinati.
-Cammina lenta, sembra attenta, forse ha paura-.
-Dici che abbia paura? -.
-Io non so bene come dirti quello che vedo, non te lo spiegare- rispose con espressione innocente e aprendo finalmente gli occhi il bambino.
-Se non sai usare le parole, allora usa qualcos'altro. Come riesci a comunicare meglio con gli altri? -. L'uomo ora lo fissava con un sorriso incoraggiante.
-Potrei...- il bimbo esitò un momento, - potrei disegnarla per te, papà-.

Camminava a passo spedito, saltellante e di tanto in tanto chiudeva gli occhi.
Mentre la sua testa creava immagini e colori che avrebbe disegnato sul suo fidato taccuino appena giunto in Accademia, Simone si trovò spalmato sul marciapiede con le mani imbrattate di polvere e terra.

Si rese conto solo dopo di essere appena caduto nel bel mezzo della strada, sotto lo sguardo curioso dei passanti. Il sole illuminava da dietro la figura del ragazzo che aveva di fronte, per cui ci mise un po' a visualizzare il suo volto.

- Ao ma che sei deficiente? - esclamò irritato il ragazzo. Simone si tolse una cuffia e si alzò, imbarazzato.

-Scusa- balbettò, -non ti avevo visto, io stavo...-.

-Stavi a fa' 'rcretino, ecco che stavi a fa'. Ma te pare che cammini con gli occhi chiusi in strada? M'hai fatto prende un colpo, e me so pure fatto male. Te non sei normale -.

Non ebbe il tempo di controbattere, perché il ragazzo con passi svelti si allontanò borbottando qualcosa di indecifrabile.

Simone si sentì imbarazzato. Si sistemò i pantaloni e pulì le mani sulla giacca, prima di rimettere le cuffie e raggiungere l'Accademia.

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