13. Il museo dei pezzi rotti

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Accadde alle 9:24.

Era appoggiato con la testa sul tessuto fresco delle lenzuola.

L'odore di disinfettante arrivava alle sue narici pizzicandole.

Nel silenzio della stanza, come un ticchettio puntuale, la finestra a pochi metri da lui era colpita violentemente dalle raffiche di vento. Il suo fischio gli sembrava un lamento, l'eco lontano delle grida che pareva averlo raggiunto fin lì. Come un boomerang era tornato da lui, per ricordargli che ciò che stava accadendo era vero.

Le pareti bianche altro non erano che tele prive di vita. Dall'alto come su un sipario le luci fredde piovevano su ogni superficie, rendendo più vivaci i colori. I due protagonisti erano immobili: da un lato un ragazzo con la schiena piegata, le spalle basse, una mano sul letto e l'altra penzoloni; dall'altro, una figura piccola, gracile, rannicchiata come uno scheletro sotto le lenzuola spesse e anonime. I loro respiri lenti si muovevano all'unisono. Una conversazione muta avveniva mentre il fischio lieve dell'aria che entrava nelle narici e poi usciva correndo si incontrava con i suoni silenziosi dell'altro, in un'unione che altro non era se non semplice, banale, incredibilmente forte vita.

Due tableaux vivant, Manuel e Simone.

Perché sì, Manuel era vivo.

Manuel era vivo perché si era aggrappato, alla vita. Gliel'avevano detto i dottori a Simone, qualche ora prima. Era quasi finito in coma. L'overdose e l'avvelenamento lo stavano per strappare via dalle sue braccia.

Le ricordava ancora, le luci blu dell'ambulanza.

Pericolo.

Simone l'aveva letto in uno di quei libri di primo soccorso, con tutte le regole.

Luci blu era sinonimo di pericolo. Voleva dire che qualcuno era in rischio di vita.

L'avevano trascinato via sull'erba, per la schiena, quando erano arrivati i soccorritori.

Simone non se n'era accorto subito, aveva continuato a stringerlo a sé, a chiamare il suo nome, a baciargli il viso ormai pallido.

Quando fu trascinato via, strappato dalla sua stessa anima, Simone si guardò intorno, confuso. E vide la barella trasportata a fatica a mano, Manuel sollevato dai medici mentre incuranti lo strattonavano frettolosamente. Simone restò immobile a guardare la scena, ignaro delle mille domande che gli stava ponendo un'infermiera al suo fianco. Simone osservava il corpo di Manuel sollevato e poi gettato lì, la testa riversa all'indietro.

Attenti, è il mio Manuel quello, pensò, state attenti.

E parve sussurrarlo ai dottori, quando gli passarono a fianco diretti all'auto parcheggiata lì dove c'era la sua moto. State attenti, ripeté, con un filo di voce appena udibile. Come la brezza leggera che smuoveva le foglie degli alberi quella sera. Come il suono delle cuffie ai suoi piedi.

Mentre tutto si muoveva a rallentatore, mentre il corpo di Manuel veniva trasportato all'interno dell'autoambulanza e un dottore correva indietro verso Simone per richiamarlo, lui si abbassò per raccoglierlo. Portò le cuffie alle orecchie e le parole di Tenco gli marchiarono il cuore di una cicatrice che avrebbe avuto per sempre.

"M'appare il volto che ho tanto amato
E ritorno col pensiero al passato ed allora
Tutto intorno a me sembra grigio
Sento che vivrò un'altra triste sera
Solo col ricordo di te"

Simone venne strattonato dal medico che lo stava intimando a raggiungere l'autovettura. Come uno zombie fu trascinato al suo interno. Prese posto e guardò le porte sbattersi rapidamente. L'ultima immagine di quel posto fu la moto di Manuel parcheggiata e abbandonata lungo il ciglio buio della strada.
Simone si voltò e vide i dottori indaffarati a rianimarlo. Non capiva nulla. Le parole erano tutte confuse nella sua testa, come se qualcuno avesse preso il suo cervello e gliel'avesse messo a soqquadro. L'unica cosa che riuscì a vedere fu il profilo di Manuel pallido, gli occhi chiusi, i capelli disordinati. Una mano era rilassata lungo il suo corpo. Simone si avvicinò per toccarla e, quando sentì la sua pelle ruvida, si chinò con la fronte su di essa e scoppiò a piangere. Uno dei medici dovette soccorrerlo quando, improvvisamente colto da un malore, si lasciò cadere su di essa, senza più forze. Come se l'assenza di Manuel avesse potuto svuotare il suo stesso corpo.

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