9. Tempera secca e quadri incompleti

2.3K 186 221
                                    

Una sensazione come di freddo improvviso risvegliò Manuel dal mondo lontano dei sogni. Sollevò leggermente il capo, stordito, e vide la sagoma allungata di Simone allontanarsi da lui per dirigersi verso la finestra e spalancarla.

La luce che inondò la camera lo portò a coprirsi il volto con la mano ancora assopita. Riuscì a mettere a fuoco la stanza e vide il giovane ragazzo chino ad armeggiare tra le cose dietro il suo armadio. Era nudo, completamente, e si perse ad osservare le curve delicate del suo corpo che erano così diverse da quelle di Alice: le spalle larghe, il bacino stretto, la peluria che ricopriva le sue gambe.

Dopo alcuni minuti, si sollevò con in mano un cavalletto, poi ancora una tela.

Manuel poté osservare il suo viso stanco, i capelli arruffati, i segni rossi sul collo e sul bacino.

Simone continuò a muoversi su e giù per la camera, alla ricerca di un pennello piccolo, di una pezza per metà stracciata e già satura di macchie di colore, di una matita. O di un carboncino? Il ragazzo disteso non seppe riconoscerlo.

Ogni volta che Simone gettava un'occhiata al letto, Manuel chiudeva rapido gli occhi per fingere di dormire, per poi aprirli non appena l'altro si fosse girato.

Come era chiara la pelle di Simone? Lo stava notando solo in quel momento Manuel, osservandola in contrasto con i segni lasciati da lui durante la notte trascorsa insieme.

Da quanto andavano avanti in quel modo?, si era chiesto. I giorni erano scivolati via velocissimi, tra il lavoro, i libri di filosofia, le carezze di Simone. E Alice. Non aveva smesso di sentirla, nonostante Simone gli avesse chiesto in più di un'occasione spiegazioni.

Il perché non era chiaro nemmeno a lui. Aveva provato a perdersi, più di una volta, negli occhi neri di quella donna, due spilli luccicanti in un gomitolo di lana bianca. Piccoli, vispi come quelli di una volpe. Ci aveva provato, ma ne era rimasto fuori.

Non erano bastate le carezze, i baci che sapevano troppo di fragola, il profumo intenso al papavero, la morbidezza dei suoi capelli. La sua gonna corta non lo eccitava più, e mentre gliel'aveva sollevata, la mancanza di ruvidità, di peli che si scontrano con i polpastrelli, era stato come vuoto nel suo petto.

Durante la mattina vedeva Alice, ma di sera, quando le luci si abbassavano, e al buio uscivano tutti i segreti nascosti nel petto delle persone, Manuel bussava alla porta di Simone.

Prima al campanello, poi batteva come un rituale le nocche sulla sua porta in legno. Simone aveva imparato a pazientare, per il solo piacere di sentire l'urgenza in quel tocco insistente.

Aveva imparato ad assaporare ogni dettaglio.

Erano passate delle settimane, forse un mese. Il Natale, gelido e colorato, si avvicinava rapido, mentre Simone e Manuel, chiusi in quella camera, riscaldavano la loro pelle con teneri baci e disperati sospiri. E in quel momento, mentre Manuel gli toccava la schiena larga, mentre le sue dita passavano tra i capelli scomposti di Simone, la gonna di Alice era solo un lontano ricordo, i suoi capelli lunghi l'immagine di una vita passata. E quanto era semplice passare le dita tra i suoi capelli. Erano ricci anche quelli, ma parevano più morbidi, a Manuel. Li osservò abbassarsi e alzarsi alla ricerca dei vari materiali, mentre il pallido sole invernale gli riscaldava piacevolmente il volto.

Un pensiero si materializzò nella sua testa, pesante, ingombrante: Simone sapeva. Simone sapeva tutto, o quasi, di lui.

Lui mi conosce, pensò, come un ronzio incessante nell'orecchio, conosce ogni cosa di me, fino al più piccolo segreto custodito nell'anima. Lui conosce il vero me.

Carboncini Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora