5. Dolce Amaro

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Il gatto grigio miagolava insistentemente da ore. Camminava per la camera buia sfiorando tutto col suo corpo esile. La coda ondeggiava nell'aria proiettando ombre informi sulle pareti, dove il sole era riuscito ad insinuarsi con alcune difficoltà dalla finestra semi aperta.

Le ante dell'armadio riversavano il loro contenuto sul pavimento, da cui con non poca difficoltà potevano identificarsi alcuni pantaloni, un paio di felpe, qualche boxer dalla fantasia discutibile. Accanto all'armadio, la scrivania in legno era ricoperta da schizzi, matite, fogli stracciati o accartocciati.

Manuel si riconobbe subito in quei disegni. Si avvicinò lentamente. Un gatto nero entrò di soppiatto e si strusciò vicino alla sua gamba, facendolo sobbalzare lievemente. Si chinò ad accarezzarlo, ma subito riportò la sua attenzione alla scrivania.

La sua immagine era riflessa come in uno specchio, ovunque posasse lo sguardo rivedeva il suo volto, le sue mani, i suoi occhi. Accarezzò con due dita uno dei fogli, poi si voltò.

Nella penombra di quella stanza una figura indefinita respirava sommessamente. Simone dormiva con la schiena scoperta, un lenzuolo lo copriva indeciso, mostrando molti lembi di pelle nuda. Il volto era sereno, ma stanco. Alcune bottiglie di birra erano riverse accanto al letto. Qualcuno aveva passato la serata con lui, andandosene nelle prime ore del mattino.

Afferrò uno dei disegni e con una matita scrisse qualcosa. Si accostò, appoggiò il biglietto sul comodino.

Lanciò poi un'ultima occhiata al ragazzo che dormiva beato prima di lasciare la camera. E, nel silenzio più profondo, uscì dalla porta da cui era entrato pochi minuti prima, avendola trovata leggermente aperta. Questa volta la chiuse per bene.

Si fermò per qualche istante in quel corridoio spoglio. Una lampadina lampeggiava a intermittenza producendo uno strano rumore. Ad ogni accenno di luce nella mente di Manuel prendeva vita l'immagine di un disegno di Simone.

Pensò a quanto fosse strano quel ragazzo. E a quanto avesse avuto l'impressione di averlo già incontrato da qualche parte. Scosse la testa, confuso, e si allontanò dall'appartamento silenzioso.

Mentre la porta dell'ascensore si chiudeva, gli occhi di Simone si aprirono di soprassalto.

La camera era sfocata, le luci che entravano troppo forti, il miagolio dei gatti insistente. Il gatto nero salì sul letto, si avvicinò con passo felino, fino a sfiorargli il petto come aveva fatto con la gamba di Manuel solo pochi istanti prima. Allo stesso modo suo, Simone lo accarezzò un attimo, prima di tirarsi sul letto.

Era nudo, stordito e puzzava d'alcool. Alcuni ricordi della sera prima riaffiorarono. Era stato con un tizio di cui non si ricordava il nome. Era arrivato parzialmente ubriaco a casa. Si ricordò pian piano delle birre prese dal frigo, del ragazzo che aveva provato a toccare i libri della biblioteca e di lui che lo aveva strattonato per allontanarlo. Delle sue labbra calde su tutto il corpo. Poi il vuoto totale.

Quando si alzò per andare in bagno, l'orologio a parete segnava le dodici. Aveva perso ufficialmente le lezioni in Accademia. Controllò il cellulare che trovò sul pavimento. Era completamente scarico. Chicca aveva tentato di chiamarlo e messaggiarlo senza risultato.

Una fitta alla testa gli fece contrarre il viso in una smorfia, mentre barcollando raggiunse il bagno nel corridoio. Si appoggiò ad uno stipite per non cadere e con un altro passo fu vicino al rubinetto. Sciacquò via i residui della sera prima, poi si gettò nella doccia. Il getto freddo dell'acqua lo svegliò immediatamente.

Ignaro del messaggio lasciato solo pochi minuti prima a fianco al suo corpo privo di sensi, Simone eseguì tutte quelle azioni a rilento, senza alcuna energia in corpo.

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