6. Disordine

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Simone afferrò la scatola in legno ai piedi della scrivania.

Era rovinata, ma quei segni di usura le conferivano un aspetto affatto sgradevole.

Le mani gli tremavano mentre cercava di aprire la macchinosa chiusura di metallo.

Quando finalmente ci riuscì, una leggera polvere grigia si sollevò davanti ai suoi occhi. Prima ancora di toccare il suo contenuto, piccole particelle di carbone avevano preso a sporcare la sua pelle.

Recuperò un foglio vuoto dal tavolo sopra la sua testa e, accovacciato sul pavimento, prese a sfiorare i carboncini in cerca della dimensione giusta.

Il più sottile fu identificato solo dopo qualche attimo, complici anche le lacrime che avevano iniziato a scivolare delicate lungo la pelle chiara del ragazzo. Con la manica della felpa si pulì il naso colante.

La sensazione di stare sbagliando tutto lo aveva attanagliato in quella mezz'ora successiva al confronto avuto con Manuel.

Ora piangeva come un bimbo e, nonostante fosse consapevole della sua esagerazione, non riusciva a placare le emozioni che provava.

Perché non era solo Manuel.

Non era solo il suo sentimento di inadeguatezza. Era anche l'assenza di suo padre, le volte che gli aveva urlato addosso che avrebbe preferito vederlo morto. Era la mancanza del calore di una madre.

Tutte quelle emozioni si erano mescolate in lui come un vortice e guardando il soffitto non ci riusciva a vedere alcuna stella.

Solo macchie. Come quelle che aveva dentro di sé.

Simone era un accumulo di macchie informi, di umidità e di muffa che gli aveva ricoperto il cuore.

Così vomitò tutto ciò che stava provando su quel foglio. E fece quello che lui immaginò essere un ultimo vero disegno di Manuel.

Il carboncino sfiorava il foglio lasciando dietro di sé resti di colore come rivoli di sangue; ogni linea era una cicatrice che Simone sentiva sotto la sua pelle.

I lineamenti di Manuel erano deformati, gli occhi colavano lungo il suo viso come sciolti, il viso sembrava essere risucchiato dal vento che circondava la sua figura.

Dai suoi capelli, più mossi del solito, scendevano sicuri dei serpenti dallo sguardo truce. Tutto veniva sfumato sotto le dita lunghe del ragazzo, nessun lineamento era lasciato nella sua nitidezza.

Si alzò per andare in bagno, aveva bisogno di sciacquarsi la faccia.

Quando si guardò allo specchio vide il suo volto macchiato di carboncino.

I suoi occhi grandi presero a sciogliersi in lacrime, gli zigomi scolpiti persero il loro contorno mescolandosi con le tracce di colore nero sul volto. Anche lui era diventato un suo disegno.

Tutto era troppo sfumato e non riusciva più a riconoscere se stesso.

Allungò le mani interamente ricoperte di nero sotto l'acqua; la piletta del lavandino risucchiò il pigmento inghiottendolo in pochi istanti.

Nella mente di Simone si figurò improvvisamente l'immagine delle sue mani nel bagno della scuola. Nel giro di pochi istanti si ritrovò lì: faceva caldo, le mattonelle scheggiate di quel luogo umido emulavano la rottura che aveva dentro di sé.

Simone respirava a fatica mentre le lacrime si mischiavano all'acqua corrente. Era gelida ma non poteva sentirla. Tutto ciò che vedeva era la scia di colore rosso che si sfumava in quel liquido trasparente.

Il padre gli era sembrato addormentato, ma mentre tra le urla lo aveva scosso, il sangue che gli era uscito dalla bocca aveva sporcato le candide mani del figlio.

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