Un salto nell'ignoto

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San Felice Circeo, 1 marzo 1944

La fortuna volle che parecchi mezzi - dai carri e alle Api, dai camion alle poche automobili - fossero diretti verso Sud, cosicché Tiberio poté arrivare da Terracina a San Felice Circeo entro il primo pomeriggio.
Non appena si ritrovò davanti quelle case così mangiate dal tempo e dalla salsedine, ma così potentemente familiare, non poté non cedere all'emozione: l'ultima volta che era stato lì era il funerale di suo cugino Cesare, mentre l'altra sua cugina Elena non era ancora diventata una novizia; si trattava di pochi mesi prima, ma gli sembrava una vita.
Il suo pensiero immediato fu quello di correre a casa Cataldo, dove Iris era già arrivata da pochi giorni; passò accanto ai cantieri navali - dove suo cugino Enrico lavorava giorno e notte, e che avrebbe salutato una volta a Villa Belmonte - e poi la piazza principale, il bar, la Taverna Filomusi, la pensione di Gisella Marini, per poi arrivare ad un'antica abitazione vicino al porto, poco prima delle case dei pescatori: suonò il campanello con su scritto "Cataldo".
Pochi secondi dopo una figura esile con lunghi riccioli biondi e occhi celesti si affacciò ad uno dei balconi del primo piano: era Iris.
Indossava una veste color verde chiaro e sembrava avere un colorito più salubre: Tiberio penso che fosse merito dell'aria di mare, e sapere che la donna che aveva sempre amato si era rimessa dopo la febbre presa ad Anzio gli riempiva il cuore di serenità.
<< Tiberio! Finalmente sei venuto... >> sorrise calorosamente la giovane, sinceramente contenta di vederlo.
<< Ho fatto prima che ho potuto. Il Centro-Sud è diventato un caos con la battaglia di Montecassino. Magari penserai che non sia stato onorevole lasciare i compagni partigiani, ma per correre in tuo aiuto avrei disertato anche l'esercito italiano di cui facevo parte fino all'8 settembre >> confessò il ragazzo.
<< Perché non sali? Ho fatto il caffè proprio adesso... >> lo invitò la Cataldo, e Belmonte non ci mise molto a salire le scale ed entrare dentro l'appartamento.
<< Mettiti seduto in cucina, io carico la Moka... >> disse lei, cosicché lui ubbidì, prendendo posto in cucina.
<< Ho trovato la maniera per farti incontrare Rebecca Tagliacozzo, o la signora Menotti, chissà come preferisce farsi chiamare... >> le comunicò.
<< Sono talmente uniti dalle lettere nonostante la distanza, lei e Gianfranco, che dubito abbia abbandonato il cognome da sposata. E poi quello da nubile corrisponde ad un posto, ed è pericoloso tenere il cognome di un posto di questi tempi. Comunque, come hai intenzione di agire? >> domandò l'una, mettendo il caffè in polvere nel filtro, aiutata da un cucchiaino.
<< C'è un mio compagno partigiano, si chiama Antonio Ricci e conosce mia sorella e Neri. Sa fabbricare passaporti falsi, che loro danno alla gente che scappa dall'Italia. Se glielo chiedo, ce ne fornisce due per andare Londra indisturbati >> rispose l'altro, mentre la sua interlocutrice chiudeva la Moka.
<< Passaporti falsi? Londra? E come ci andiamo? >> si girò di scatto quest'ultima, col cuore che le batteva forte.
<< Con l'aereo. Ho dei soldi da parte per i biglietti >> spiegò il primo.
La seconda lo guardò stupita.
<< Davvero fai tutto questo per me? >> gli chiese, tenendo a stento la macchinetta tra le mani tremanti.
Tiberio gliele prese, impedendo il tremore.
<< Per te mi farei anche fucilare. E non mi importa se il tuo cuore appartiene ancora a Rinaldo. Aspetterò tutto il tempo necessario >> affermò il ragazzo, con sicurezza.
Se ne andò soddisfatto a casa, dove fu accolto festosamente dalla madre, dalle zie Livia e Viola e dal cugino Enrico, che lo informò sul ruolo delle attività commerciali della Provincia di Latina nel processo di liberazione del Centro-Sud.
Dopo cena, nel momento in cui tutti furono andati a dormire, si diresse in soggiorno e compose il numero di Antonio Ricci.
<< Pronto? >> fece una voce maschile a Tiberio nota.
<< Antonio, sono Tiberio. Ti devo chiedere un favore enorme. Cioè non è per me, è... per un'amica >> spiegò Belmonte.
<< La stessa amica che ti levava il sonno, quando eravamo nella Brigata Marittima? >> indovinò Ricci.
<< Sì, è per lei. Devo accompagnarla a Londra, a risolvere una questione familiare. Ho bisogno di due passaporti >> lo pregò l'uno.
<< Sei fortunato, ne sto sfornando a migliaia. Ma voglio una copia autografata del prossimo disco di tua sorella Annalisa. E un posto in platea per il suo prossimo concerto >> pattuì l'altro.
<< Annalisa sarà ben felice di farti queste concessioni. E grazie ancora! >> concluse Tiberio, attaccando la cornetta.
All'improvviso sentì dei passi dietro di lui.
<< Ho sentito bene? Te ne vai a Londra con la figlia della Cataldo? >> domandò sua madre Cristina, che si era alzata per prendere un bicchiere d'acqua.
<< Devo aiutarla a risolvere una questione vitale >> spiegò il figlio.
<< Non perdere tempo con quella. La sua reputazione e quella di tutta la sua famiglia è rovinata per sempre da anni ormai. Getteranno nel baratro anche te, se ti lasci coinvolgere >> l'ammonì lei.
<< Non m'importa di quello che penserete voi o la gente del paese. Ho conosciuto il mondo, anzi lo abbiamo conosciuto tutti noi giovani Belmonte, mentre tu e le zie siete rimaste sempre qui, a San Felice Circeo, in questa comoda villa, al massimo andando al circolo del tennis. E questo mondo sta cambiando, e presto queste condizioni sociali non avranno più alcun valore! >> sostenne lui, lasciando la madre senza parole.
Cristina lo guardò come se si ritrovasse davanti uno sconosciuto, prima di augurargli sbrigativamente la buonanotte.

Storia d'amore e di guerra - Il ritornoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora