capitolo 2

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È il quarto giorno di vacanza per Simone e Laura e i due si sono appena concessi un pomeriggio passato alternando mare e spiaggia. Sui loro teli stesi sotto l'ombrellone, ora Simone tiene tra le mani una copia trasandata di Lolita, di Nabokov  e la testa posata sulla pancia di Laura la quale, nel mentre, gli accarezza i capelli bagnati. Sicuramente fa più piacere a lei di quanto non ne faccia a lui, ma non si lamenta.

Il cielo non è completamente sgombro, oggi. Ci sono alcune nuvole che oscurano il sole, facendolo apparire fievole dietro le loro tende, e un breve venticello fa venire presto i brividi sulla pelle scoperta di Simone.

Sono le sette di sera e la spiaggia sta iniziando a liberarsi, molto lentamente.

"Ho freddo." dice Laura.

Simone la sente ma non si preoccupa di ascoltarla. È assorto nel suo libro e non ha voglia di smettere di leggere. Così mima un cenno di assenso, senza cambiare posizione o curarsi di offrirle i suoi vestiti, dato che lei è venuta direttamente in costume.

"Simo?"

"Che c'è?" biascica.

"Ho freddo."

Solo adesso il ragazzo alza la testa, liberando la fidanzata che si affretta ad alzarsi in piedi e a infilarsi la camicia azzurra di Simone senza chiedergli il permesso, rassegnata ormai all'idea che lui non gliela offrirà.

"Vabbè, vado a casa." decide Laura, sbuffando.

"Arrivo anch'io, così portiamo via la roba."

"No, lascia stare, vado da sola.", non è un gesto di cortesia. Lo dice con tono di rimprovero.

"Eddai La', e sta roba?"

"Sta roba la porti tu." risponde Laura e, senza curarsi più delle parole di Simone, se ne va impettita dalla spiaggia, preoccupandosi di portare via soltanto la sua borsa.

Simone sbuffa, appallottola l'altro telo e lo usa come cuscino, sostituendo la pelle bagnata della ragazza. Legge ancora un po', poi però si concede di chiudere il libro e di bearsi del sole che, lento, inizia ad entrare timido nel mare, come se l'acqua fosse troppo fredda anche per lui.

Alla fine è costretto a raccattare teli, vestiti, la seconda borsa in cui avevano riposto della frutta e l'ombrellone e ad avviarsi verso gli armadietti della spiaggia. In realtà l'ombrellone lo sta praticamente trascinando sulla sabbia perché è maldestro e se se lo caricasse in spalla rischierebbe di accoppare qualcuna delle ultime anime rimaste attorno a lui. 

Rovista nella borsa per trovare la chiave del suo - loro - armadietto e così facendo fa inavvertitamente cadere entrambi i teli, piegati malamente e stretti sotto l'ascella. Adesso li raccoglie, si dice. Ma non è abbastanza veloce.

"T'è cascato questo." dice una voce alle sue spalle. Non la conosce, ma ha parlato romano, e per un secondo rimane immobile per cercare di capire a chi possa appartenere. Si gira.

"Grazie." dice. Si preoccupa solo di recuperare uno dei due teli dalla mano del ragazzo che gli sta di fronte, senza guardare in faccia il suo interlocutore.

"Ah, ma sei te!" esclama l'altro, come se si conoscessero da una vita, e sorride.

Solo adesso Simone alza gli occhi sul suo viso, e resta incantato per un secondo. Sta sorridendo davvero, un sorriso grande, e due fossette si fanno strada agli angoli della bocca. È di nuovo lui, per la terza volta in due giorni, è il ragazzo riccio del pallone.

"Eh, sono io." risponde Simone, e non può che restituire il sorriso con il proprio.

"Ce se becca ovunque, oh." constata il riccio, annuendo alle sue stesse parole.

ANCORA CINQUE MINUTIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora