capitolo 9

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Simone si stiracchia in un involucro di fastidiosi granelli di sabbia e sbadigli. La luce del mattino è ancora troppo debole per ottenere un nome, e fatica a bucare lo strato di notte che è ancora ospite nel motel del cielo. Il sole non è ancora sorto del tutto, e lo spazio su questa sdraio è troppo piccolo per due.

"Simò?"

Simone affonda la testa nel tessuto rigido bucherellato che gli ha lasciato segni rossi su gambe e braccia, lamentoso, ma la voce non accenna a demordere: "Simò, svejate."

"Mollami."

"Eddai Simò."

"Ancora cinque minuti." biascica, con la bocca premuta sul braccio. Si capisce ben poco.

"Che hai detto?"

"Ho detto" alza la testa "ancora cinque minuti." e ora si capisce.

"No, cinque minuti un cazzo Simò, sta salendo il sole."

"Mbè?"

"Mbè, non la vuoi vedè l'alba?"

Simone sospira pesantemente, senza aprire gli occhi. Sì, l'alba, con Manuel, la vuole vedere, eppure è troppo stanco per dargli retta, anche solo per lasciare che il sonno lo abbandoni ufficialmente, pretendendo di vederlo vigile a sufficienza da godersi i primi minuti di luce. Che poi, pensa, per lui i primi minuti di luce sono quelli in cui vede l'altro ragazzo. Gli basta la lucentezza dei suoi occhi, quella nel suo sorriso per convincersi che il giorno sia iniziato, e che sia il giorno più soleggiato del mondo. Tuttavia, è insistente la mano di Manuel che lo scuote, facendo tremare il lettino, poi gli si abbassa direttamente sull'orecchio:

"Dai, Simò, l'alba." soffia, sul collo del corvino. Simone si ritrova a contorcersi per evitare che il fiato di Manuel lo solletichi, ridacchia. "Ah, soffri il solletico?"

"No." biascica Simone, con la voce impastata da una leggera risata e dalla notte appena trascorsa.

"No? Sicuro?"

"Sì."

"Vediamo." decide Manuel. E se prima la brandina da spiaggia era instabile, con le gambe argentate affondate nella sabbia e la parte dedita ad ombreggiarne il cuscinetto staccata, che minaccia di cader loro in faccia, ora che Manuel ha costretto Simone a girarsi a pancia in su e gli punta le ginocchia ai lati, praticamente a cavalcioni su di lui per torturarlo di risate e pelle d'oca, è già un miracolo che questa sdraio non crolli, che non si ribaltino a terra.

"Ti prego Manu statte fermo."

"No." sentenzia il ricciolino, e inizia ufficialmente a tormentare l'altro ragazzo. Simone è appallottolato sotto il solletico di Manuel, che si sposta dalla pancia al collo e da lì ai fianchi. Non riesce a controllarsi mentre si contorce inumanamente, ed è difficile anche per Manuel mantenersi in equilibrio, con la lingua tra i denti e il naso arricciato. Ignora categoricamente i Basta Manu! disperati con cui Simone lo prega. Si ferma solo quando il minore inizia ad annaspare, alla ricerca di aria, ripete drammaticamente "Non respiro!", perché inizia a preoccuparsi veramente che Simone possa morire dal ridere. Così smette di torturarlo, pesa le mani sull'addome del ragazzo sdraiato sotto di lui, mentre si asciuga gli occhi dal troppo ridere e cerca di riprendere aria. Non si sposta.

"Visto che lo soffri? Lo sapevo io."

"Stronzo, mi stavi ammazzando."

Manuel ride: "Esaggerato!", poi si ferma e punta gli occhi nei suoi. Ormai l'alba se la sono persa, perché è un sole pallido quello che brilla dietro di loro. In realtà, qui, dal mare, nemmeno si vede.

"Ecco, m'hai pure svegliato per niente."

"Ah, e io sarei gnente?"

"Non mi sono svegliato per te, mi sono svegliato per l'alba."

ANCORA CINQUE MINUTIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora