Faceva freddo quel giorno, alcuni raggi del sole entravano pigramente dalle grate e illuminavano di poco il luogo angusto. I sospiri e le grida regnavano in quel luogo sinistro.
Le sbarre delle celle erano sudice di sporco, di olio e di sangue incrostato; i muri erano di pietra grezza ed erano piene di muffa e muschio.
Per terra, sul cemento consumato dal continuo camminare delle guardie, c'erano le feci dei topi e dei detenuti.
Non era la prima volta che la figlia del re si recava in quel luogo per il volere del sovrano.
Ophelia conosceva perfettamente quel luogo e l'odore di putridume e di sudore era ormai impresso nella sua mente e nei suoi ricordi.
Scortata da due guardie, sapeva già che cosa sarebbe accaduto non appena avesse varcato la porta della sala delle Giochi, così la chiamava l'intero esercito di suo padre, ma lei la considerava la sala delle torture.
Odiata per un qualcosa di cui non ne aveva colpa, punita a causa della madre e per il suo sangue diverso dalla sua famiglia.
Veniva frustata, picchiata e derisa dai soldati, il suo sangue sporcava sempre la sala e ogni volta qualcuno prendeva delle boccette, le appoggiava alle ferite di lei e le riempivano con il fluido color oro.
Sì, il suo sangue non era rosso, bensì aveva tutte le sfumature di uno dei materiali più preziosi al mondo. Si dice che le ali degli angeli abbiano la stessa medesima tonalità.
Lei non sapeva esattamente cosa se ne facevano, forse per rivenderlo o forse per studiarlo.
Ma cosa importava? In fin dei conti, lei veniva fustigata e presa a calci come un povero animale in gabbia.
Arrivò il momento in cui arrivarono a quella porta ammaccata, grigia, sporca e arrugginita, un soldato aprì la porta, l'altro la prese per un braccio e la scortò dentro senza fiatare.
La stanza era piccola, al centro c'era un enorme tavolo di legno con degli strumenti alquanto inquietanti e sui muri c'erano diverse tipologie di catene, seghe, fruste, pugnali e coltelli da lancio. Solo una piccola finestra dava un po' di luminosità a quella stanza polverosa.
<<Non abbiamo tutto il giorno, bambolina, spogliati e mettiti contro al muro>>disse il soldato più vecchio.
La parte peggiore era proprio quella di spogliarsi davanti a diversi uomini, a volte si davano piacere guardando la sua pelle candita, il suo seno nudo, le cosce scoperte e i capelli rossi e lunghi che le coprivano la schiena.
Avevano espresso più volte il desiderio di possederla, ma era pur sempre la figlia del re, Honor II aveva espresso di non toccarla a livello sessuale, la sua castità gli sarebbe servita per un matrimonio combinato.
Ma non aveva fermato certi comportamenti dei soldati, a volte gli davano qualche sculacciata sul suo posteriore, si toccavano mentre la appendevano al soffitto o la frustavano in punti in cui non era nemmeno concesso guardare. In quelle situazioni, si sentiva uno schifo, putrida e sudicia come non mai.
Si sfilò il vestito e finì a terra, insieme alle calze, e le sue braccia automaticamente avvolsero il suo corpo esile e tremante.
Asher, il più giovane dei due soldati, con un leggero rossore sulle guance, la prese per un braccio e la mise vicino al muro, le prese le mani delicatamente, gliele fece mettere sollevate, la incatenò, ma prima di andarsene incrociò lo sguardo della principessa. Erano verdi e luminosi, simili al colore degli aghi dei pini.
Il profumo di lei gli arrivò alle narici e sapeva di fiori appena raccolti. Nonostante fosse inverno, Ophelia era un insieme di colori che non passava di certo in osservato.
Lei chinò il capo, il giovane soldato si allontanò e sapeva perfettamente che il suo capo avrebbe iniziato a toccarsi, spettava a lui frustarla.
Vide il suo collega sbottonarsi i pantaloni, voltò subito lo sguardo e decise di prendere la frusta per iniziare questa atrocità.
Asher sapeva che quello che stava facendo era completamente sbagliato, ma gli ordini sono ordini.
Tornò da lei, fece scoccare la frusta sul pavimento e si mise in posizione.
<<Soldato inizia, ho voglia di sentirla urlare>>disse il vecchio iniziando a stuzzicarsi il membro con le dita.
Schifato da quella visione, il giovane si concentro sulla principessa, i suoi occhi grigi osservarono i suoi fianchi, i suoi capelli e le sue gambe scoperte. Sapeva che la sua bellezza era un qualcosa di raro e puro, ma non avrebbe mai e poi mai fatto quello che stava facendo il suo collega.
Ophelia era una ragazza che potevano permettersi in pochi e non meritava tale trattamento.
Sospirò, sollevò il braccio e fece schioccare la frusta contro la parte bassa della schiena. Udì il suo sussulto, la schiena arcuò e i suoi occhi si spalancarono per lo stupore.
<<Prova tra le cosce, sono sicuro che lo troverà più piacevole>>dice il vegliardo avvicinandosi a lei.
Prese il viso della giovane in una mano, premendo con i polpastrelli le sue guance rosate e spruzzate di lentiggini.
Asher sapeva che si sarebbe masturbato davanti a lei, avrebbe visto il seme colargli dal membro maschile del suo collega.
Voleva impedirlo e lo avrebbe fatto a qualsiasi costo.
<<Sei troppo vicino Modeus, ti ricordo cosa ha espressamente detto il nostro sovrano?>>
Gli occhi di lui lo trafissero. <<Mi sto solo concedendo un piccolissimo piacere, giovane soldato, se potessi farei di più, ma i confini non devono essere varcati.>>
<<Appunto, mi sembra che tu la stia toccando, o sbaglio?>>
<<Questa è una minaccia?!>>ringhiò contro il ragazzo.
<<No, ma ti sto mettendo in guardia, non hai il diritto di farle vedere cosa stai facendo mentre lei viene torturata!>>
<<Sono un tuo superiore, ragazzino insolente, faccio quello che mi pare e se voglio fare questa cosa la faccio, mi sono spiegato?!>>
Asher fece per ribattere, ma la principessa con voce gelida e tagliente, rispose al vecchio bavoso. <<Mi disgusta assai vedervi l'uccello, ce lo avete così raggrinzito e molliccio che qualsiasi donna, persino una vecchia decrepita, lo guarderebbe con disgusto. Quindi, è inutile che mostriate come se fosse un trofeo.>>
Ferito nell'orgoglio, l'uomo strinse i denti.<<Ebbene principessa, ora sarò io a darvi le frustate e mi implorerete di smetterla.>>
Sulle labbra della giovane, si increspò un sorriso tirato.<<Fate pure, il dolore è un qualcosa che non mi mette più paura come un tempo.>>
Era vero, lei conviveva perennemente con quella sensazione di bruciore e di vuoto, quelle sensazioni che non puoi dimenticare. Non era l'atto fisico, le cinghiate o le fruste a farle più male, ma la consapevolezza che suo padre, nonostante l'avesse accolta nella sua corta, non la amasse e la denigrasse, come se fosse un qualcosa di troppo osceno o inguardabile.
In lei c'era sua madre, ma anche un pezzo del suo vero padre, un angelo che aveva ingravidato la donna che l'aveva messa al mondo per amore.
Era una benedizione, ma anche una sconfitta per il sovrano di quel regno.
Il soldato più vecchio si tirò su i pantaloni, prese il posto del giovane e gli strappò di mano la frusta.
Sollevò lo strumento di tortura, il pezzo di cuoi si schiantò violentemente sulla pelle di lei, le ferite si crearono man mano, le frustate divennero sempre più potenti e feroci.
La principessa chiuse gli occhi, cercò di non pensarci, si tappò la bocca e trattenne le lacrime per il dolore inferto.
Sentì il sangue colarle lungo la schiena e si abbandonò a quel dolore che aveva imparato a conoscere.
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Shadow - Il principe oscuro
FantasyDue regni, due civiltà ostili e una principessa marchiata dal fato. Ophelia, nata dall'unione di un angelo e di una mortale, principessa della Luce e secondogenita del re Honor II, non si trova bene all'interno del suo regno. Suo padre, disgustato d...